Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 687 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 687 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 25743-2010 proposto da:
COMUNE CASALETTO SPARTANO C.F. 84001470651, in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY l, presso lo studio
dell’avvocato MALDONATO FRANCESCO, che lo rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

3148

IUDICE TERESA C.F. DCITRS62R55B888H;
– intimata –

Nonché da:

Data pubblicazione: 15/01/2014

IUDICE TERESA C.F. DCITRS62R55B888H, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE VATICANO 48, presso lo
studio dell’avvocato FENUCCIU DEMETRIO, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

COMUNE CASALETTO SPARTANO C.F. 84001470651, in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA AUGUSTO AUBRY 1, presso lo studio
dell’avvocato MALDONATO FRANCESCO, che lo rappresenta
e difende giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 917/2009 della CORTE D’APPELLO
di SALERNO, depositata il 18/12/2009 r.g.n. 525/08;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/11/2013 dal Consigliere Dott. DANIELA
BLASUTTO;
udito l’Avvocato FENUCCIU DEMETRIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO, accoglimento del
ricorso principale assorbimento incidentale.

contro

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Iudice Teresa adiva il giudice del lavoro di Sala Consilina esponendo di essere

nominata, con decreto del Sindaco in data 11.10.2002, responsabile con
funzioni dirigenziali del neoistituito settore tributi; che con deliberazione della
Giunta n. 118 del 21.10.2003 il Comune aveva proceduto, per ragioni di
bilancio, alla soppressione dell’area tributi e che, con successivo decreto n.
3939/2003, il Sindaco le aveva revocato l’incarico e l’aveva assegnata all’area
amministrativa con funzioni di istruttore e di addetta alla biblioteca. Ciò
premesso, deduceva che, a seguito della attribuzione delle nuove funzioni, era
stata costretta a soggiornare in una stanza in disuso ed era rimasta, di fatto, in
una condizione di totale inattività, non essendo la biblioteca comunale
frequentata da alcun utente; che la forzata inattività, alla quale era stata costretta,
le aveva provocato una sindrome ansioso-depressiva reattiva. Chiedeva, in
ragione di ciò, di essere reintegrata nelle mansioni in precedenza svolte
nell’ambito del settore tributi, o in altre mansioni equivalenti, e di essere risarcita
dei danni subiti a causa del comportamento mobbizzante.
Il giudice adito, in parziale accoglimento della domanda, riteneva l’illegittimità ,
della delibera della Giunta n. 118 del 2003 con cui era stato soppresso il settore
tributi senza previa consultazione con le 00.SS.; disponeva la reintegra della
,icorrente nelle mansioni in precedenza svolte e condannava il Comune
convenuto al risarcimento del danno biologico, ravvisando la sussistenza del
comportamento vessatorio.

R.G. n. 25743/2010
Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano dludice

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dipendente del Comune di Casaletto Spartano dal 1985 e di essere stata

A seguito delle opposte impugnazioni, la Corte di appello di Salerno, con
sentenza depositata il 18 dicembre 2009, in parziale riforma della decisione di
primo grado, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in ordine

responsabile del settore tributi, ravvisando nella domanda proposta una
contestazione che investiva direttamente l’esercizio del potere amministrativo e
l’atto di macro-organizzazione di modifica della dotazione organica dell’ente, la
cui asserita illegittimità era posta a base delle pretesa di accertamento della
invalidità del successivo atto di assegnazione al servizio biblioteca, con funzioni
di istruttore.
In merito alla domanda risarcitoria per danni da mobbing, la Corte di appello,
ritenuta la giurisdizione del giudice ordinario, osservava che dall’ampia e
dettagliata attività istruttoria espletata in prime cure era emersa la sussistenza di
un chiaro intento persecutorio e discriminatorio degli organi di vertice dell’Ente
territoriale e che tale intento si era concretizzato nell’ottobre 2003 con
l’assegnazione della Iudice al settore biblioteca, presso il quale, dopo un’iniziale
attività di catalogazione, la dipendente era rimasta dal tutto inattiva, a causa
dell’assoluta mancanza di visitatori e/o fruitori della biblioteca comunale. La
condotta si era protratta nel tempo ed aveva arrecato alla ricorrente una lesione
della personalità. Era pure emerso che vi era stato un intento persecutorio posto
in essere dal Sindaco, il quale era stato ritenuto colpevole in sede penale di
abuso continuato d’ufficio, proprio con riferimento al comportamento tenuto
nei confronti della Iudice.
In merito alle conseguenze risarcitorie, la Corte territoriale, ritenuto
comprovato il danno biologico con riduzione della capacità lavorativa pari al
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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano c/ludice

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alla domanda di Teresa Iudice di reintegrazione nell’incarico e nelle mansioni di

35%, liquidava, per tale titolo, un risarcimento pari ad euro 21.000,00; ravvisata ‘
l’autonomia del danno morale, riconosceva, per tale titolo, un ulteriore
risarcimento pari ad euro 7.000,00; respingeva, per difetto di prova, la richiesta

domanda nuova, inammissibile in appello ex art. 437, secondo comma, cod.
proc. civ., la domanda volta all’inclusione nel risarcimento del danno
dell’ulteriore componente costituita dalla c.d. indennità di compatto.
Per la cassazione di tale sentenza il Comune di Casaletto Spartano propone
ricorso, affidato ad otto motivi. Resiste Iudice Teresa con controricorso,
proponendo a sua volta ricorso incidentale, sulla base di tre motivi.
Il Comune ha resistito alle richieste formulate nel ricorso incidentale con
controricorso.
Stante il carattere pregiudiziale dell’eccezione venente sulla giurisdizione,
sollevata con ricorso incidentale, in ordine alla domanda di reintegrazione nelle
mansioni precedentemente occupate dalla Iudice nell’ambito del settore tributi,
soppresso con delibera della giunta comunale, di cui la ricorrente incidentale ha
chiesto la disapplicazione in quanto illegittimo, si sono pronunciate le Sezioni
Unite di questa Corte che, con sentenza del 27 dicembre 2011, hanno dichiarato
la giurisdizione del giudice ordinario in ordine a tale capo di domanda,
rimettendo la causa a questa Sezione lavoro, anche per le spese.
Entrambe le parti hanno depositato memoria per l’udienza dinanzi alle Sezioni
unite. Per l’odierna udienza il Comune ha depositato ulteriore memoria
illustrativa ex art. 378 cod. proc. civ..
MOTIVI DELLA DECISIONE

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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano elludice

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di risarcimento del danno da dequalificazione professionale; qualificava come

Preliminarmente i due ricorsi, principale e incidentale, vanno riuniti ai sensi
dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto aventi ad oggetto la medesima sentenza.
Col primo motivo del ricorso principale, si censura la sentenza per violazione

marzo 1999 e vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc.civ.), per avere ‘
ritenuto vietata l’assegnazione della lavoratrice a mansioni diverse da quelle di
assunzione, o equivalenti a quelle effettivamente svolte, seppure appartenenti
alle qualifica di inquadramento, secondo la classificazione contenuta nel
C.C.N.L. applicabile al rapporto.
Il motivo è inammissibile.
In tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52, comma 1, del d.lgs. 30
marzo 2001, n. 165, che sancisce il diritto alla adibizione alle mansioni per le
quali il dipendente è stato assunto o ad altre equivalenti, ha recepito – attese le
perduranti peculiarità relative alla natura pubblica del datore di lavoro, tuttora
condizionato, nell’organizzazione del lavoro, da vincoli strutturali di
conformazione al pubblico interesse e di compatibilità finanziaria delle risorse un concetto di equivalenza “formale”, ancorato alle previsioni della
contrattazione collettiva (indipendentemente dalla professionalità acquisita) e
non sindacabile dal giudice, con la conseguenza che condizione necessaria e
sufficiente affinché le mansioni possano essere considerate equivalenti è la mera
previsione in tal senso da parte della contrattazione collettiva,
indipendentemente dalla professionalità acquisita (Cass. n. 11405 del 2010).
Ove, tuttavia, vi sia stato, con la destinazione ad altre mansioni, il sostanziale
svuotamento dell’attività lavorativa, la vicenda esula dall’ambito delle
problematiche sull’equivalenza delle mansioni, configurandosi la diversa ipotesi

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degli artt. 2103 cod. civ. , 1,2 e 52 del D. Lgs. n. 165/2001 e 3 del C.C.N.L. 31

della sottrazione pressoché integrale delle funzioni da svolgere, vietata anche
nell’ambito del pubblico impiego (Cass. n. 11835 del 2009). Questa è l’ipotesi
ritenuta sussistente nella fattispecie dalla Corte di appello, la quale non ha

mansioni dall’alveo della previsione contrattuale della categoria di
inquadramento, ma ha ritenuto che la lavoratrice avesse subito, nel periodo
relativo alla sua adibizione alla biblioteca comunale, un radicale svuotamento
della sua prestazione lavorativa, costretta ad una forzata inattività. La questione
sollevata con il primo motivo è dunque non pertinente al decisum.
Col secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 115, 116 e 416 cod. proc.
civ., in relazione agli artt. 2087, 2103 cod. civ. e 52 D. Lgs. n. 165/01 e vizio di
motivazione, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare, anche
travisando le risultanze probatorie, che la situazione di inattività nella nuova
assegnazione presso la biblioteca era imputabile alla stessa lavoratrice, che non si
era sufficientemente attivata nella nuova funzione, nonostante le sollecitazioni a
lei indirizzate dall’Amministrazione comunale. La Corte di appello aveva altresì
omesso di motivare sulle incongruenze emergenti dal raffronto tra le
dichiarazioni rese in sede civile dal teste Amato e quelle rese dal medesimo teste
in sede penale nel procedimento a carico del sindaco per il reato di abuso
d’ufficio.
La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.
In tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero
convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. è
apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione
di cui all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere

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disatteso le ragioni svolte dall’appellante per avere escluso la sussumibilità delle

direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, ,
inammissibile in sede di legittimità (Cass. n. 14267 del 2006; cfr. pure Cass. 12
febbraio 2004 n. 2707). L’art. 116, primo comma, cod. proc. civ. consacra il

salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale – è pertanto rimessa la valutazione
globale delle risultanze processuali, essendo egli peraltro tenuto ad indicare gli
elementi sui quali si fonda il suo convincimento nonché l’iter seguito per
addivenire alle raggiunte conclusioni, ben potendo al riguardo disattendere taluni
elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata; e tale apprezzamento è
insindacabile in cassazione in presenza di congrua motivazione, immune da vizi
logici e giuridici (Cass. n. 12912 del 2004; conf. Cass. 13441 del 2004). Il ricorso
in esame sollecita, nella forma apparente della denuncia di error in indicando, un
riesame dei fatti, inammissibile nella presente sede.
Quanto al vizio di motivazione (art. 360 primo comma, n. 5 cod. proc. civ.),
premesso che questo può rilevare solo nei limiti in cui l’apprezzamento delle
prove — liberamente valutabili dal giudice di merito, costituendo giudizio di fatto
— si sia tradotto in un iter formativo di convincimento affetto da vizi logici o
giuridici, restando altrimenti insindacabile, deve rilevarsi che la Corte di appello
ha dato conto delle fonti del proprio convincimento ed ha argomentato in modo
logicamente congruo; a fronte di ciò, il ricorso si limita ad opporre un’altra
soluzione interpretativa, basata su una diversa ricostruzione fattuale, all’evidenza
inammissibile.
Il controllo di logicità del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 n. 5 cod.
proc. civ., non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione

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principio del libero convincimento del giudice, al cui prudente apprezzamento –

della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe
altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova
formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice

motivazione ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo’
giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze
degli atti di causa. Né, ugualmente, la stessa Corte realizzerebbe il controllo sulla
motivazione che le è demandato, ma inevitabilmente compirebbe un (non
consentito) giudizio di merito, se – confrontando la sentenza con le risultanze
istruttorie – prendesse in considerazione fatti probatori diversi o ulteriori
rispetto a quelli assunti dal giudice del merito a fondamento della sua decisione,
accogliendo il ricorso “sub specie” di omesso esame di un punto (v. Cass. n.
3161/2002).
Nella specie, i dedotti vizi di motivazione non corrispondono al modello
enucleabile negli esposti termini dal n. 5 del citato art. 360 cod. proc., poiché si
sostanziano nel valutare le stesse risultanze istruttorie esaminate dal giudice di
merito, nel trarne implicazioni e spunti per la ricostruzione della vicenda in
senso difforme da quello esposto nella sentenza impugnata; nel desumerne
apprezzamenti circa la maggiore o minore valenza probatoria di alcun elementi
rispetto ad altri. Essi, dunque, incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali
propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee
all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di
legittimità (v. pure, tra le più recenti, Cass. n. 6288 del 2011).
Col terzo motivo di ricorso la difesa del Comune denuncia la violazione del
principio di autonomia del processo civile rispetto a giudizio penale, dell’art. 27

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di legittimità; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di

Cost., degli artt. 132, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc.
civ., e 111, primo comma Cost., nonché vizio di motivazione. La censura è
riferita al passo della sentenza che ha valutato come elemento indiziario la

in relazione al decreto prot. n. 3939/03 con cui era stata disposta la revoca di
Iudice Teresa dalle funzioni di responsabile dell’area tributi e il suo inserimento
nell’area amministrativa, con l’assegnazione alle funzioni di bibliotecaria.
Denuncia l’attuale ricorrente che il giudice di appello non avrebbe potuto ,
limitarsi a richiamare sic et simpliciter la sentenza penale (peraltro non ancora
definitiva), ma avrebbe dovuto valutare autonomamente gli elementi di prova e
le circostanze poste a suo fondamento.
Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
In via generale, va osservato che, in applicazione del principio di autonomia e
separazione dei giudizi penale e civile, il giudice civile investito della domanda di
risarcimento del danno da reato deve procedere ad un autonomo accertamento
dei fatti e della responsabilità con pienezza di cognizione, non essendo vincolato
alle soluzioni e alle qualificazioni del giudice penale. Nondimeno, il giudice civile
può legittimamente utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove
raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in cosa giudicata e
fondare la decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di ‘
legge in quella sede, procedendo a tal fine a diretto esame del contenuto del
materiale probatorio, ovvero ricavando tali elementi e circostanze dalla sentenza,
o se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da accertare esattamente
i fatti materiali sottoponendoli al proprio vaglio critico; tale possibilità non
comporta però anche l’obbligo per il giudice civile – in presenza di un giudicato

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condanna riportata dal sindaco per il reato di abuso d’ufficio continuato, proprio

penale – di esaminare e valutare le prove e le risultanze acquisite nel processo
penale (Cass. n. 15112 del 2013).
La valorizzazione della sentenza penale ha costituito – come è reso evidente

elemento dotato di sinergica convergenza, che con la sentenza…”) – un elemento
solo integrativo dell’ iter formativo del convincimento giudiziale, di talché la
censura che investe tale punto è priva del carattere di decisività.
Come questa Corte ha avuto modo di ribadire recentemente, costituisce fatto
(o punto) decisivo ai sensi del’art.360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. quello
la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una
decisione diversa (Cass. n.18368 del 31 luglio 2013); la nozione di decisività
concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso, bensì la
stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una
diversa ricostruzione e, dunque, asserisce al nesso di causalità fra il vizio della
motivazione e la decisione, essendo, peraltro, necessario che il vizio, una volta
riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si sarebbe avuta
una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non
già la sola possibilità o probabilità di essa. Infatti, se il vizio di motivazione per
omessa considerazione di punto decisivo fosse configurabile sol per il fatto che
la circostanza di cui il giudice del merito ha omesso la considerazione, ove
esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione del
fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di
motivazione per insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile sol perché
su uno specifico fatto appaia esistente una motivazione logicamente
insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la decisione possa reggersi, in

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dal tenore della sentenza impugnata (“non va inoltre trascurato, quale ulteriore

base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi del n. 5
dell’art. 360 si risolverebbe nell’investire la Corte di Cassazione del controllo sic

et sempliciter dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla

ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi nella fase di merito
(v., in tal senso, Cass. n. 3668 del 14 febbraio 2013; cfr. pure Cass. n.22979 del
2004).
Col quarto motivo viene denunciato error in iudicando in relazione agli artt. 2087
e 2103 cod. civ. , oltre che vizio di motivazione (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc.
civ.), sostenendo parte ricorrente che il

mobbing sarebbe costituito e si

esaurirebbe, a tutto voler concedere, in una singola condotta, ovvero nel
presunto demansionamento subito dalla Iudice e dunque in un singolo atto (di
natura istantanea) di gestione del rapporto, che non può tradursi in quel
conflitto sistematico e persecutorio che configura la fattispecie del mobbing.
La censura è priva di fondamento.
Oltre al carattere permanente del demansionamento (cfr., tra le altre, Cass.
S.U. n. 1141 del 2007), che integra un comportamento illegittimo in sé,
connotato dal suo protrarsi nel tempo, l’atto di assegnazione alle mansioni di
istruttore presso la biblioteca fu seguito da una serie di condotte attive ed
omissive, specificamente manifestatesi – secondo la ricostruzione fattuale
compiuta dal giudice di merito – attraverso “il più assoluto disinteresse degli
organi di vertice dell’amministrazione comunale nei confronti delle reiterate
rimostranze formulate dalla citata dipendente” ed estrinsecatesi “in tutta la sua
evidenza mediante il mantenimento della stessa in una condizione di prolungata
inattività e in uno stato di progressivo isolamento nell’ambiente di lavoro”. La

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funzionalità rispetto ad un esito della ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ‘

prova presuntiva del carattere vessatorio è stata tratta dalla Corte di appello dal
fattore oggettivo, in applicazione dei principi di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c.;
costituisce corretta inferenza logica ritenere che il riferito comportamento integri

tempo e idoneità lesiva, a integrare in modo inequivoco la prova indiretta del
carattere vessatorio della condotta datoriale, secondo una sequenza deduttiva
che da elementi noti tragga la certezza dell’esistenza del fatto ignoto.
Col quinto motivo, il Comune censura la sentenza per violazione degli artt. ‘
115, 116, 414, 420 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2087, 2103 e 2697 cod.
civ. , e per vizio di motivazione, nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza del
danno biologico sulla base della c.t.u. medico-legale espletata in primo grado,
che la difesa del Comune aveva contestato in modo specifico, senza ottenere
dalla Corte di appello la rinnovazione delle operazioni peritali, né soddisfacenti
spiegazioni in merito alle ragioni per le quali tali censure erano state disattese.
Inoltre, non era stata fornita la prova della riconducibilità del danno psichico ai
pretesi comportamenti vessatori.
La censura è infondata.
Il difetto di motivazione, denunciabile in cassazione, della sentenza che abbia
prestato adesione alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio è ravvisabile
in caso di palese devianza dalle nozioni correnti della scienza medica, la cui
fonte va indicata, o nella omissione degli accertamenti strumentali dai quali
secondo le predette nozioni non può prescindersi per la formulazione di una
corretta diagnosi, mentre al di fuori di tale ambito la censura anzidetta
costituisce mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico
formale traducendosi, quindi, in un’inammissibile critica del convincimento del

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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano c/ludice

una serie causale idonea, per le sue caratteristiche di ripetitività e protrazione nel

giudice (cfr. ex plurimis, Cass. n. 9988 del 2009, 22707 del 2010, n. 569 del 2011,
1652 del 2012).
Nel caso di specie, parte ricorrente, nel riportare le doglianze mosse alla c.t.u.

illogiche o scientificamente errate, ma si duole del giudizio valutativo condotto
alla stregua della documentazione medica agli atti. La censura finisce così per
risolversi in una inammissibile critica delle conclusioni medico-legali e nella
altrettanto inammissibile proposta di una soluzione diversa. Del pari, in merito
al nesso causale, contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente, l’indagine
sul riscontro probatorio non è stato omesso, né è rimasto immotivato, avendo la
sentenza argomentato, sulla base delle indicazioni di ordine medico-legale
fornite dal C.t.u. , che la patologia riscontrata a carico della Iudice era da ritenere
etiologicamente riconducibile alle condotte del Comune convenuto, cui doveva
ascriversi “la rottura dell’equilibrio psicologico…” riscontrato a carico della
lavoratrice in forma di “disturbo dell’adattamento con gravi manifestazioni
patologiche dell’umore di tipo depressivo”.
Il sesto motivo denuncia violazione degli artt. 2043 e 2059 cod. civ. e vizio
di motivazione della sentenza (art. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ.), in ordine alla
percentualizzazione del danno biologico. La Corte territoriale aveva riconosciuto
l’erroneità della quantificazione operata dal C.t.u. (che aveva indicato un grado
di invalidità del 70%), ma nel procedere alla autonoma determinazione della
percentuale del danno, non aveva correttamente applicato i criteri fissati dalla
tabelle, in quanto il D.M. 12.7.2000 emesso ai sensi del d.lgs. n. 38/2000 ,
prevede per il “disturbo post traumatico da stress cronico” nelle forme di grado

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,

espletata in primo grado, non denuncia deficienze diagnostiche o affermazioni

lieve/moderato una percentuale di danno biologico fino al 6% e nelle forme di
grado severo fino al 15%.
Il motivo è inammissibile.

i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificità, completezza e
riferibilità alla decisione impugnata (Cass., n. 13259 del 2006; Cass. n. 5637 del
2006 ; Cass., n. 2312 del 2003). La sentenza impugnata ha dato conto delle
conclusioni peritali che deponevano per una diagnosi di “disturbo
dell’adattamento con gravi manifestazioni patologiche dell’umore di tipo
depressivo” ed ha affermato che, “alla stregua dei criteri fissati dalle tabelle
indicative delle percentuali di invalidità per le menomazioni e le malattie
invalidanti, di cui al D.M. 5 febbraio 1992”, a tale menomazione era ascrivibile
una riduzione della capacità lavorativa del 35%. Il motivo di ricorso muove da
altri presupposti di fatto, e precisamente da una diagnosi diversa da quella
indicata nella c.t.u. medico-legale e dalla disamina di tabelle diverse da quelle ,
ritenute dal giudice appello applicabili alla fattispecie. Pertanto, il motivo difetta
di specificità rispetto alla sentenza impugnata e viola i parametri di cui all’art. 366
cod. proc. civ..
Col settimo motivo, la difesa del Comune ricorrente censura la sentenza per
violazione degli artt. 1226 e 2059 cod. civ. e vizio di motivazione (art. 360 nn. 3
5 cod. proc. civ.), nella parte in cui ha accolto la domanda di risarcimento del
danno morale, disattendendo l’orientamento delle Sezioni Unite in materia di
risarcimento del danno non patrimoniale di cui alla sent. n. 26972/08. Contesta
parte ricorrente la duplicazione del risarcimento del danno biologico e del danno
morale, compiuta sulla base del solo presupposto della autonomia ontologica del

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Il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per

secondo, invece esclusa dal richiamato orientamento interpretativo. Il danno
morale – sostiene parte ricorrente – costituisce una componente del danno non
patrimoniale e non è liquidabile separatamente. In ogni caso, la sua sussistenza

Quanto poi alla sua liquidazione in misura pari ad una frazione dell’importo
riconosciuto per il risarcimento del danno biologico, occorre che il giudice tenga
conto delle peculiarità del caso concreto, effettuando la necessaria’
personalizzazione del criterio e dia atto di non avere applicato i valori tabellari
con mero automatismo.
Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Alla stregua del “diritto vivente” segnato dall’arresto delle Sezioni Unite civili
del 2008 (sentenza n. 26972 del 2008, Cass. n. 24015 del 16/11/2011), la
liquidazione del danno non patrimoniale deve essere complessiva e cioè tale da
coprire l’intero pregiudizio a prescindere dai “nomina iuris” dei vari tipi di
danno, i quali non possono essere invocati singolarmente per un aumento della
anzidetta liquidazione. Tuttavia, sebbene il danno non patrimoniale costituisca
una categoria unitaria, le tradizionali sottocategorie di danno biologico e danno
morale continuano a svolgere una funzione, per quanto solo descrittiva, del
contenuto pregiudizievole preso in esame dal giudice al fine di dare contenuto e
parametrare la liquidazione del danno risarcibile.
Pertanto, è erronea la sentenza di merito la quale a tali sottocategorie abbia
fatto riferimento, ove, attraverso il ricorso al danno biologico ed al danno
morale, siano state risarcite due volte le medesime conseguenze pregiudizievoli
(ad esempio ricomprendendo la sofferenza psichica sia nel danno “biologico”
che in quello “morale”); se, invece, facendo riferimento alle tradizionali

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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano c/ludice

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va distintamente provata da colui che agisce per ottenerne il risarcimento.

locuzioni, il giudice abbia avuto riguardo a pregiudizi concretamente diversi, la
decisione non può considerarsi erronea in diritto (cfr. Cass. n. 25222 del
29/11/2011; v. pure, da ultimo, Cass. n. 4043 del 19 febbraio 2013).

danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. preclude la possibilità di un
separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite
dalla persona (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale,
ecc.), che costituirebbero vere e proprie duplicazioni risarcitorie, fermo
restando, però, l’obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità
di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l’incremento ,
della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di personalizzazione della
liquidazione (Cass. n. 21716 del 23 settembre 2013).
Nella fattispecie in esame, la sentenza impugnata non ha fatto corretta
applicazione di tali principi, in quanto, muovendo dalla premessa della diversità
ontologica del danno morale rispetto a quello biologico (e così disattendendo
l’indicazione interpretativa offerta dalle Sezioni Unite secondo cui entrambe le
voci sono riconducibili alla unitaria categoria del danno non patrimoniale), non
ha dato adeguata motivazione delle ragioni per le quali, dopo avere liquidato una
somma per il danno biologico imputabile al disturbo dell’adattamento con gravi
ripercussioni patologiche dell’umore di tipo depressivo, ha riconosciuto un
ulteriore risarcimento – liquidato equitativamente – per danno morale. La
motivazione, una volta espunta l’errata premessa logica, risulta carente in ordine’
alle ragioni delle sussistenza del danno morale nel caso di specie. Per il resto la
sentenza argomenta in ordine alla “personalizzazione” della liquidazione del
danno morale, ma ciò presuppone il superamento della questione vertente sull’an

R.G. n. 25743/2010
Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano clludice

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Va poi ulteriormente osservato che il carattere unitario della liquidazione del

debeatur. Limitatamente a tale punto e nei termini sopra esposti, va accolto il
settimo motivo di ricorso.
Con l’ultimo motivo del ricorso principale, si lamenta la violazione del

e 437 cod. proc. civ. e si denuncia il vizio di motivazione (artt. 360 nn. 3 e 5 cod.
proc. civ.), per avere la Corte territoriale omesso di prendere in considerazione
la richiesta di revoca delle ordinanze del giudice di primo grado che avevano
disatteso la richiesta del Comune di audizione di alcuni testi e di attivazione dei
poteri istruttori d’ufficio, in una situazione caratterizzata da incertezza
probatoria.
In proposito va osservato quanto segue.
Nel rito del lavoro, la necessità di assicurare un’effettiva tutela del diritto di
difesa di cui all’art. 24 Cost., nell’ambito del rispetto dei principi del giusto
processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. e in coerenza con l’art. 6
CEDU, comporta l’attribuzione di una maggiore rilevanza allo scopo del
processo – costituito dalla tendente finalizzazione ad una decisione di merito che impone di discostarsi da interpretazioni suscettibili di ledere il diritto di
difesa della parte (cfr. per una recente applicazione del principio, Cass. n. 18410
del 1 agosto 2013). Ciò rileva significativamente in tema di acquisizione
probatoria, traducendosi nel dovere del giudice di pronunciare nel merito della
causa sulla base del materiale probatorio ritualmente acquisito – da qualunque
parte processuale provenga – con una valutazione non atomistica ma globale nel
quadro di una indagine unitaria ed organica, suscettibile di sindacato, in sede di
legittimità, per vizi di motivazione e, ove ne ricorrano gli estremi, per scorretta
applicazione delle norme riguardanti l’acquisizione della prova (Cfr. Cass.n. ,

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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano c/ludice

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,

principio del “giusto processo” ai sensi dell’art. 111 Cost., nonché degli 134, 421

21909 del 25 settembre 2013). Tuttavia, la maggiore pregnanza del dovere del
giudice di pronunciare nel merito della causa sulla base del materiale probatorio
ritualmente acquisito non interferisce direttamente sulle regole che presiedono

Nel processo del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio in grado
d’appello presuppone la ricorrenza di alcune circostanze: l’insussistenza di
colpevole inerzia della parte interessata, con conseguente preclusione per
inottemperanza ad oneri procedurali, l’opportunità di integrare un quadro
probatorio tempestivamente delineato dalle parti, l’indispensabilità dell’iniziativa
ufficiosa, volta non a superare gli effetti inerenti ad una tardiva richiesta
istruttoria o a supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della
domanda, ma solo a colmare eventuali lacune delle risultanze di causa (Cass. n.
5878 del 2011; n. 154 del 2006).
Nel caso di specie, il rigetto delle istanze di revoca delle ordinanze istruttorie è
basato sul raggiunto convincimento giudiziale della completezza degli elementi
di conoscenza già acquisiti con la prova testimoniale espletata. A fronte di ciò
parte ricorrente si è limitata a dedurre che – a suo avviso – il quadro probatorio
era ancora incerto e che, pertanto, i giudici di merito avevano errato nel
disattendere l’istanza di integrazione probatoria, riproposta in appello.
Trattasi di una censura radicalmente inammissibile, in quanto la valutazione
relativa alla indispensabilità di cui all’art. 437 cod. proc. civ. involge un giudizio
di opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale del ,
giudice di merito, che può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto
come vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc.
civ., qualora la sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione per

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Comune di Casa/etto Spartano clludice

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all’esercizio del potere istruttorio d’ufficio (artt. 421 e 437 cod. proc. civ.).

disattendere la richiesta di mezzi istruttori relativi ad un punto della controversia
che, se esaurientemente istruito, avrebbe potuto condurre ad una diversa’
decisione (cfr. Cass. n. 12717 del 2011).

dell’art. 63 del D. Lgs. n. 165 del 2001, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 1,
cod. proc. civ., sostenendo che in primo grado aveva chiesto la reintegrazione
nelle mansioni precedentemente occupate nell’ambito del settore tributi ovvero
l’assegnazione a mansioni equivalenti nell’ambito del settore finanziario, al quale
il primo era stato accorpato. La richiesta era sostenuta dalla deduzione di
illegittimità (per mancata consultazione col sindacato ai sensi dell’art. 9 del
contratto collettivo decentrato 1998-2001 e dell’art. 8 del regolamento comunale
di organizzazione degli uffici) e di pretestuosità della soppressione dell’area
tributi (degradata a servizio e inglobata nel settore finanziario), all’origine della
revoca dell’incarico e dell’assegnazione di mansioni dequalificanti. Mentre il
primo giudice aveva accolto la domanda di reintegrazione nelle precedenti
mansioni presso il settore tributi, disapplicando la delibera che aveva soppresso
l’area relativa, la Corte territoriale, ritenendo che la contestazione investisse
direttamente il provvedimento di modifica della dotazione organica dell’ente al
fine di conseguire il risultato, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice
ordinario, pronuncia che la ricorrente incidentale contesta, in base alla
considerazione che l’accertamento richiesto relativamente all’illegittimità del
provvedimento di soppressione del settore tributi aveva mera natura incidentale.
Col secondo motivo, si denuncia violazione degli artt. 112 e 345 cod. proc.
civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto nuova, e come tale
inammissibile, la domanda contenuta nell’appello incidentale vertente sul ,

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Comune di Casaletto Spartano c/ludice

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Col primo motivo di ricorso incidentale, Teresa Iudice deduce la violazione

mancato risarcimento del danno rappresentato dalla notevole riduzione
dell’indennità di comparto. La ricorrente sostiene che viceversa tale richiesta
sarebbe da ricomprendere in quella di “pagamento dei danni tutti, nessuno

quelli all’immagine, alla carriera e alla salute, per essere stata illegittimamente
demansionata e costretta ad uno stato di forzata inattività”, formulata già nel
ricorso introduttivo.
Con l’ultimo motivo, Teresa Iudice deduce la violazione degli artt. 1226,
2087, 1218 cod. civ. e delle norme e dei principi in materia di risarcimento dei
danni nonché il vizio di motivazione della sentenza, laddove, dopo aver
deteiminato nella misura del 35% il danno biologico derivante dal mobbing subito
dalla lavoratrice, aveva utilizzato per la relativa liquidazione, “quale ulteriore
parametro di riferimento”, ma senza spiegarne le ragioni, la tabella approvata
con D.M. 12 luglio 2000, emesso ai sensi dell’art. 13 D. Lgs. n. 38/2000. Criterio
che, secondo la ricorrente, non garantisce il risarcimento integrale del danno da
illecito. Il vizio denunciato si riverbera – secondo la ricorrente – anche sulla
liquidazione del danno morale, operata in una misura che fa riferimento a quella ,
relativa al danno biologico.
Stante il carattere pregiudiziale dell’eccezione vertente sulla giurisdizione,
sollevata con ricorso incidentale, in ordine alla domanda di reintegrazione nelle
mansioni precedentemente occupate dalla Iudice nell’ambito del settore tributi,
soppresso con delibera della giunta comunale, di cui la ricorrente incidentale ha
chiesto la disapplicazione in quanto illegittimo, si sono pronunciate le Sezioni
Unite di questa Corte che, con sentenza del 27 dicembre 2011, hanno dichiarato
la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di reintegrazione

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Udienza del 6 novembre 2013
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,

escluso, subiti dalla ricorrente in seguito alla vicenda per cui è causa, inclusi

nelle funzioni di responsabile del settore tributi del Comune ed hanno rimesso la
causa a questa Sezione Lavoro, anche per le spese.
Le Sezioni Unite hanno osservato come il giudizio promosso dalla Iudice abbia

sindaco ebbe a disporre la revoca dell’incarico di responsabile del settore tributi
e l’assegnazione di mansioni dequalificanti, e come sul diritto azionato incida in
maniera mediata il provvedimento della giunta comunale, di soppressione del
settore tributi. Trattasi cioè di un caso in cui l’atto di gestione del rapporto di
lavoro che consegue ad uno degli atti di macro-organizzazione indicati all’art. 2,
primo comma del D. Lgs. n. 1 65/01, che l’autorità giudiziaria ordinaria è
autorizzata a disapplicare, ove illegittimo.
Ai sensi dell’art. 376, primo comma cod. proc. civ., la causa è stata rimessa a
questa Sezione lavoro, poiché la decisione adottata dalle Sezioni unite sulla
giurisdizione non ha definito il giudizio. Alla stregua dell’art. 142 disp. att. c.p.c.,

se nel ricorso sono contenuti insieme con motivi di competenza delle Sezioni

Unite motivi di competenza delle Sezioni semplici, queste pronunciano con
separata sentenza dopo la pronunzia delle Sezioni Unite”.
Occorre muovere quindi dalla presa d’atto della pronuncia delle Sezioni Unite
che hanno ritenuto la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda
avanzata dalla ricorrente incidentale diretta ad ottenere la reintegrazione nelle
funzioni di responsabile del settore tributi del Comune. Ciò posto, deve tuttavia
rilevarsi che fg disapplicare il provvedimento della Giunta municipale n. 118/03
con cui fu accorpata, per asserite ragioni di bilancio e di economicità, l’area
tributi al settore finanziario, e che costituì il motivo per il quale la Iudice venne
privata dell’incarico di Responsabile dell’Ufficio Tributi -, non potrebbe

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investito direttamente l’atto di gestione del rapporto di lavoro col quale il

comunque condurre all’accoglimento della domanda di reintegra nelle mansioni ,
di dirigente dell’ormai soppresso Ufficio Tributi. L’illegittimità della revoca
dell’incarico rileverebbe unicamente ai soli fini risarcitori, questione che,

ha ravvisato la sussistenza di un demansionamento ed ha accolto la domanda
volta al risarcimento del danno, nei termini sopra esaminati, dovendo solo
aggiungersi che non esiste un diritto soggettivo del dirigente pubblico al
conferimento di un incarico dirigenziale (vedi, per tutte: Cass. n. 3003 del 2007,
n. 3880 del 2006; n. 7131 del 2005; n. 27888 del 2009) e che nella specie è stata
respinta (con statuizione passata in giudicato) l’ulteriore domanda di
risarcimento del danno da dequalificazione professionale.
In caso di revoca illegittima di un incarico dirigenziale da parte del datore di
lavoro pubblico, le ragioni dell’illegittimità del provvedimento di revoca, le
caratteristiche, la durata e la gravità dell’attuato demansionamento, la
frustrazione di ragionevoli aspettative di progressione, le eventuali reazioni poste
in essere nei confronti del datore di lavoro comprovanti l’avvenuta lesione
dell’interesse relazionale, sono altrettanti profili rilevanti ai fini del diritto del
lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale (arg. Cass. n. 4479 del
2012). Tutti profili già esaminati dal giudice di appello nella specie.
Il secondo motivo del ricorso incidentale è, del pari, inammissibile.
Nella richiesta diretta al risarcimento dei “danni tutti, nessuno escluso…
inclusi quelli all’immagine, alla carriera e alla salute…”, formulata nel ricorso
introduttivo, non poteva ritenersi compresa l’indennità di compatto, in alcun
modo riconducibile nelle voci di danno indicate e richiedente un ampliamento
dei temi di indagine e di decisione.

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Comune di Casaletto Spartano c/ludice

– 21 –

tuttavia, ha già trovato accoglimento nella pronuncia del giudice di appello, che

Si configura domanda nuova – come tale, inammissibile in appello (con
rilevabilità dell’inerente violazione del divieto anche d’ufficio in funzione
dell’attuazione rigorosa del principio del doppio grado di giurisdizione) – quando

costitutivi del diritto azionato, integrando una pretesa diversa, per la sua
intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e ciò anche se tali fatti
erano già stati esposti nell’atto introduttivo del giudizio al mero scopo di
descrivere ed inquadrare altre circostanze, e soltanto nel giudizio di appello, per
la prima volta, siano stati dedotti con una differente portata, a sostegno di una
nuova pretesa, determinando in tal modo l’introduzione di un nuovo tema di
indagine e di decisione. (Cass. n.8342 del 2010), che altera l’oggetto sostanziale
dell’azione e i termini della controversia (Cass. n.16298 del 2010).
L’ultimo motivo del ricorso incidentale involge la misura del risarcimento dei
danni, alla cui liquidazione il giudice di merito ha provveduto applicando, quale
criterio parametrale, la tabella approvata con D.M. 12 luglio 2000, emesso ai
sensi dell’art. 13 D. Lgs. n. 38/2000.
Anche tale motivo è inammissibile.
Premesso che la questione relativa all’applicazione di diverse tabelle può essere
fatta valere in sede di legittimità, come vizio di violazione di legge, solo in
quanto sia stata già posta nel giudizio di merito (v. Cass. 12408 del 2011) e non
risulta che i criteri di liquidazione del danno avessero formato oggetto di
specifica censura in sede di gravame, va osservato, quale ulteriore ragione di
inammissibilità del motivo, che la ricorrente incidentale non ha neppure chiarito
i termini del suo interesse (art. 100 cod. proc. civ.) a censurare il criterio
applicato in concreto dal giudice di merito, essendosi limitata ad asserire che il

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Udienza del 6 novembre 2013
Comune di Casaletto Spartano clludice

– 22 –

gli elementi dedotti in secondo grado comportano il mutamento dei fatti

D.M. 12.7.2000 “non garantisce il risarcimento integrale del danno subito…”,
senza ulteriori precisazioni in ordine all’effettività del pregiudizio economico, in
confronto con altri criteri di liquidazione, nemmeno specificati.

riesame del punto investito dal settimo motivo del ricorso principale. Si designa,
quale giudice di rinvio, la Corte di appello di Salerno, in diversa composizione,
che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P. Q.M.
La Corte, decidendo a seguito della sentenza delle Sezioni Unite n. 28806/2011
e ferme restando le sue statuizioni, rigetta per i motivi non già esaminati – ad
eccezione del settimo motivo – il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata
in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese alla Corte di appello di
Salerno, in diversa composizione; dichiara inammissibile per il resto il ricorso
incidentale.
Così deciso in Roma, il 6 novembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

In conclusione, la sentenza impugnata va cassata con rinvio limitatamente al

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