Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6869 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2021, (ud. 29/10/2020, dep. 11/03/2021), n.6869

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. CHIESI Gian Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12410/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IGEA COSTRUZIONI srl, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Alfredo Sergio Visconti,

con domicilio eletto in Roma, via di Villa Emiliani n. 48, presso lo

studio dell’avv. Francesco Romano;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia n. 239/24/13, depositata il 20 novembre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 ottobre

2020 dal Consigliere Enrico Manzon.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza n. 239/24/13, depositata il 20 novembre 2013, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva l’appello proposto dalla IGEA COSTRUZIONI srl, mentre rigettava l’appello incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, Ufficio locale, avverso la sentenza n. 123/1/11 della Commissione provinciale tributaria di Palermo che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento per imposte dirette ed IVA 2005.

La CTR osservava in particolare che il gravame principale e quindi il ricorso introduttivo della lite trovavano fondamento nella correttezza fiscale dell’operazione di associazione in partecipazione tra la società contribuente e la Demetra srl, con particolare riguardo alla applicabilità dell’agevolazione di cui all’art. 89 TUIR, comma 2, ed alla determinazione del volume di affari ai fini dell’IVA, sicchè tutte le pretese creditorie erariali dovevano considerasi prive di base fattuale e giuridica.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

Resiste con controricorso la società contribuente.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo ed il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione dell’art. 89 TUIR, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, comma 1, poichè la CTR ha affermato la deducibilità degli utili conseguiti nel 2005 dalla IGEA COSTRUZIONI in virtù del contratto di associazione in partecipazione con la DEMETRA srl e la non assoggettabilità ad IVA degli stessi, trattandosi al contrario di ricavi derivanti dal contratto di appalto stipulato tra le medesime società, quindi tassabili in via ordinaria sia ai fini delle II.DD. che dell’IVA.

Le censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Va ribadito che “Il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (Cass., n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120 – 01).

La redazione dei mezzi in esame si pone all’evidenza in contrasto con i precetti ricavabili dall’ermeneutica dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3-6, posto che, in modo peraltro confuso, si richiamano i fatti di causa, ma non i “luoghi processuali” nei quali si trovano riprodotti, con particolare riguardo all’atto impositivo impugnato.

Così è impedita alla Corte la valutazione della fondatezza delle censure per rapporto con l’oggetto del processo.

Peraltro va anche ribadito che “Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Cass. n. 9097 del 07/04/2017) e che “In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Cass., n. 26110 del 2015).

Orbene, il tenore delle censure, oltre al difetto delle modalità di deduzione sopra rilevato, mira chiaramente alla “revisione” del giudizio di merito effettuato dalla CTR siciliana e ciò, in aderenza a tali consolidati arresti giurisprudenziali, non è consentito nel presente giudizio di legittimità.

In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’agenzia fiscale ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600 oltre 15% per contributo spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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