Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6869 del 02/03/2022
Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 24/11/2021, dep. 02/03/2022), n.6869
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 35758-2019 proposto da:
D.B.G.O., domiciliato in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MANCINI;
– ricorrenti –
contro
CESAR di B.E. e F.LLI SRL, in persona del legale
rappresentante pro tempore, quale società incorporante la Top20
Srl, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO, 96, presso lo
studio dell’avvocato LETIZIA TILLI, rappresentata e difesa
dall’avvocato SABATINO CIPRIETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 549/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,
depositata il 12/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 23/11/2021 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA
ESPOSITO.
Fatto
RILEVATO
che:
1. La Corte d’appello di L’Aquila rigettava il reclamo L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, confermando la decisione di primo grado che aveva respinto la domanda di D.B.G.O. diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare per giusta causa intimatole dalla società datrice di lavoro Cesar di B.E. e F.lli s.r.l., consistente nell’abuso nella fruizione di permessi ex L. 5 febbraio 1992, n. 104, avvenuto in quattro giorni del mese di luglio 2016;
2. rilevava la Corte che dalle risultanze dell’indagine investigativa era emerso che la lavoratrice aveva fruito dei permessi utilizzando la maggior parte del tempo per scopi estranei a quelli di assistenza dichiarati, dimostrando disinteresse per le esigenze aziendali, così da determinare grave violazione dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, integrante giusta causa di licenziamento;
3.avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la lavoratrice sulla base di quattro motivi;
4. la società resiste con controricorso;
5. la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo osservando che la Corte di appello aveva affermato che erano state contestate solo genericamente le risultanze degli accertamenti ispettivi, essendosi la lavoratrice limitata a sostenere l’inutilizzabilità dei medesimi, ancorché nel ricorso fossero stati allegati altri numerosi rilievi di contestazione;
2. la censura è inammissibile poiché non deduce un fatto decisivo nei termini indicati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, in base all’interpretazione offerta da Cass. S.U. 7 aprile 2014 n. 8053, secondo cui, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente è tenuto a indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
3. con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 2712 c.c., e omesso esame di fatti ed elementi processuali decisivi osservando che erroneamente era stata ritenuta la genericità della contestazione delle fotografie prodotte dalla controparte, poiché la ricorrente aveva, invece, rilevato l’errore tecnico del primo giudice di equiparare il disconoscimento di cui all’art. 2712 c.c., a quello previsto dagli artt. 214 e 215 c.p.c., e, inoltre, aveva provveduto ad effettuare il disconoscimento immediatamente, in conformità all’art. 2712 c.c., né la Corte aveva tenuto conto del contenuto di quelle immagini, in relazione al fatto che dalle stesse non si poteva dedurre niente di concreto e riconoscere la figura della ricorrente, non esimendo il presunto omesso disconoscimento dalla valutazione di detto contenuto, che in concreto era mancata;
4. il motivo è inammissibile poiché, nella prima parte, non denuncia omessi fatti decisivi, intesi come fatti storici o naturalistici, ma “elementi processuali”, quali il disconoscimento, così dall’esulare già nella prospettazione dalla formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nell’interpretazione di questa Corte di legittimità indicata sub 2, mentre nella seconda parte, in cui si discute della rilevanza probatoria delle immagini fotografiche, la censura sconfina nell’ambito della valutazione probatoria riservata al giudice del merito;
5. con il terzo motivo si deduce violazione del R.D. n. 635 del 1940, art. 259, e del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 26 – violazione del D.M. n. 269 del 2010, omesso esame di fatti decisivi circa l’inutilizzabilità, per illegittimità, del rapporto investigativo, evidenziando la scarsa rilevanza delle testimonianze, acquisite irregolarmente e quindi inutilizzabili;
6. anche questa censura è inammissibile, poiché, sub specie violazione di legge, introduce elementi atti a proporre una nuova valutazione dei fatti, mentre i rilievi circa l’irregolarità dell’acquisizione probatoria relativa alle fotografie risultano del tutto generici e non si confrontano con l’ampia motivazione della sentenza riguardo alle ragioni poste a fondamento della ritenuta regolarità dell’accertamento investigativo e dei suoi esiti;
7. con l’ultimo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione della L. n. 104 del 1992, art. 33 – violazione del CCNL di categoria violazione dell’art. 2119 c.c. – omesso esame di fatto decisivo, rilevando che la ricorrente aveva assistito la nonna inferma per molte più ore rispetto a quelle dei permessi di cui aveva goduto, non essendo richiesta la coincidenza perfetta tra le ore in cui la lavoratrice avrebbe dovuto prestare la propria opera in azienda e quelle in cui la stessa si sarebbe trovata fisicamente al capezzale dell’inferma, anche perché era sua cura provvedere all’approvvigionamento del necessario per quest’ultima, prospettandosi, al più, il fatto come di modesta gravità.
8. anche l’ultimo motivo è inammissibile, poiché finisce con il contestare la ricostruzione dei fatti prospettata dal giudice del merito, introducendo una critica assai generica alla valutazione di gravità del fatto e non confrontandosi con il tema centrale della compromissione, a causa del fatto, del rapporto fiduciario tra le parti;
9. in base alle svolte argomentazioni in ricorso va dichiarato inammissibile;
10.in considerazione della statuizione, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022