Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6868 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 6520 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

S.C., rappresentato e difeso, giusta procura

speciale in calce al ricorso, dell’avv.to Lenzi Luciano Mario,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’avv.to Leonardi

Sergio, in Roma, Via Eleonora Duse n. 5/G;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana, n. 69/09/12 depositata in data 16 luglio

2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14 gennaio 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

Che:

-con sentenza n. 177/22/11, depositata in data 16 dicembre 2011, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello proposto da S.C. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 187/02/10 della Commissione tributaria provinciale di Pistoia che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti dal suddetto contribuente avverso: 1) l’avviso di accertamento n. 08920090002733548 con il quale l’Ufficio aveva contestato a quest’ultimo, imprenditore edile, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, un maggiore reddito di impresa ai fini irpef, Irap e Iva, sanzioni e interessi, per l’anno 2003, essendo emersa la sostanziale inattendibilità delle scritture contabili e la gestione antieconomica dell’attività di impresa;2) la cartella di pagamento con la quale l’Ufficio aveva iscritto a ruolo le predette imposte dovute;

– la CTR, in punto di diritto ha osserv3to che:1) la documentazione era stata acquisita ritualmente, essendo stati notificati al contribuente gli avvisi relativi al primo invito a fornire gli atti nell’ambito di un accertamento ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e, successivamente, avendo lo stesso fornito ulteriore documentazione ancora prima che l’Ufficio ne facesse formale richiesta;2) era infondata la censura di difetto di motivazione degli atti essendo in essi riscontrabili tutte le contestazioni mosse al contribuente; 3) l’omessa annotazione, nel libro degli inventari, delle rimanenze finali di magazzino (cantieri e materiali)- prodotte successivamente, su richiesta dell’Ufficio, su fogli privi della firma dell’imprenditore nonchè della indicazione del criterio di valutazione adottato – e la mancata produzione dei contratti di appalto necessari per la determinazione dei lavori edili, avevano reso legittimo l’accertamento dell’Ufficio che, avuto riguardo all’indicazione di un utile lordo di poco superiore agli oneri di gestione e finanziari e, dunque, alla gestione antieconomica dell’attività di impresa, aveva rideterminato il reddito imponibile, applicando una percentuale di ricarico del 35% sul costo del venduto, con conseguente contestazione di maggiori ricavi;

– avverso la sentenza della CTR, il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

– il contribuente ha depositato memoria ex art. 380bis.1 c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

-con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 3, in combinato disposto con l’art. 60 del medesimo decreto, nonchè dell’art. 148 c.p.c. per avere l’Ufficio fondato l’accertamento su documentazione del contribuente acquisita irritualmente, a mezzo di richiesta telefonica, peraltro, diretta il persona diversa dal soggetto interessato;

– con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, per essere l’avviso di accertamento in questione nullo per mancanza di motivazione, non avendo l’Ufficio indicato i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa tributaria nè potendo l’accertamento induttivo (sintetico) basarsi su presunzioni derivanti da documentazione acquisita contra legem;

– con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 34 per avere la CTR, a fronte dell’avvenuta comunicazione dell’avviso di trattazione in camera di consiglio, affermato di avere proceduto alla discussione orale in pubblica udienza della causa medesima;

– con il quarto motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli del D.R.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39 per avere l’Ufficio effettuato una ricostruzione induttiva dei ricavi in contrasto con il D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 92 e 92-bis, in quanto basata sull’erronea considerazione che l’impresa avesse svolto, nell’anno 2003, lavori ultrannuali e con applicazione di una percentuale di ricarico non realistica e non motivata;

– con il quinto motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 60 e 62, nel testo in vigore fino al 31.12.2003, per avere l’Ufficio basato l’accertamento su norme non più in vigore al momento dell’invio della dichiarazione e della predisposizione dell’avviso di accertamento;

– con il sesto motivo, il ricorrente denuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR ritenuto che l’acquisizione della documentazione contabile del contribuente fosse avvenuta in modo rituale “senza verificare il rispetto della legge, esprimendo un parere senza alcuna motivazione e senza analizzare l’avviso di accertamento” nel quale veniva evidenziata la cronologia dei fatti;

– il primo, il secondo, il quarto e il quinto motivo di ricorso, appaiono formulati in maniera inammissibile a causa dello stesso identico vizio e cioè per non essere riferiti (neppure indirettamente) alla ratio decidendi della sentenza impugnata, ma esclusivamente al provvedimento impositivo, del quale soltanto sono censurate le supposte deficienze, ragione per la quale i motivi stessi appaiono carenti dei requisiti di attinenza e riferibilità; in termini è sufficiente il richiamo di Cass., sez. 5, Sentenza n. 17125 del 3/08/2007, in relazione al principio secondo il quale: “La proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possano rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate” (Cass. sez. 6-5, n. 9812 del 2016);

– peraltro, sempre in punto di inammissibilità, il contribuente, in difetto del principio di autosufficienza, ha omesso di riportare in ricorso sia l’avviso di accertamento che le asserite deduzioni- in merito ai vari profili di censura- svolte nell’atto di appello, non consentendo alla Corte di valutare, sullil base degli atti, la fondatezza delle proposte doglianze;

– il terzo motivo è inammissibile, non avendo il ricorrente indicato, in difetto di autosufficienza, quali specifiche attività sarebbero state precluse dallo svolgimento della pubblica udienza in luogo della trattazione in camera di consiglio (“è evidente la violazione degli articoli testè indicati, avendo la Commissione evidentemente proceduto alla discussione orale … nonostante la stessa dovesse procedere in camera di consiglio come da avviso di trattazione comunicato” pag. 8 del ricorso), anche al fine di valutare l’eventuale pregiudizio inferto al diritto di difesa, la cui mancata prospettazione è un ulteriore indice di inammissibilità del motivo in esame, alla luce del costante orientamento della Corte in base al quale “la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza della denunciata violazione. Sicchè una violazione che non abbia alcuna influenza in relazione alle domande o eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all’emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico, non può costituite oggetto di motivo di ricorso. Ne consegue che è inammissibile l’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito” (Cass. 5837/1997; 13373/2008; 6330/2014; 26831/14; 11354/16); questa Corte ha, al riguardo, precisato che “la parte che propone ricorso per cassazione deducendo la nullità della sentenza per un vizio dell’attività del giudice lesivo del proprio diritto di difesa, ha l’onere di indicare il concreto pregiudizio derivato, atteso nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata” (Cass. Sez. 1, n. 19759 del 09/08/2017);

– il sesto motivo si profila inammissibile in quanto il ricorrente, sotto le spoglie dell’assunto vizio motivazionale, ha, in sostanza, dedotto un vizio di violazione di legge che non risponde quindi all’archetipo della censura denunciata, non avendo rilevanza un’insufficiente motivazione in diritto (v. da ultimo, Cass. n. 1787 del 2019); invero, “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di motivazione riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, concerne esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione o l’applicazione di norme giuridiche che, invece, in quanto prospettabili come vizio relativo ad una disposizione di natura processuale (quale, nella specie, la declaratoria di inammissibilità dell’appello), ricade sotto il profilo dell’errore di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” (Cass. sez. 2, n. 26292 del 15/12/2014);

– in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricuso; condanna il ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 5000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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