Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6866 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. I, 02/03/2022, (ud. 23/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9739/2016 r.g. proposto da:

P.R., in proprio e quale legale rappresentante della

(OMISSIS) S.R.L., con sede in (OMISSIS), rappresentata e difesa,

giusta procura speciale apposta a margine del ricorso, dall’Avvocato

Luigi Manzi, e dall’Avvocato Prof. Cesare Glendi, con i quali

elettivamente domicilia presso lo studio del primo in Roma, alla Via

Federico Confalonieri n. 5.

– ricorrente –

contro

CASSA EDILE DI MUTUALITA’ ED ASSISTENZA DI ALESSANDRIA, con sede in

(OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro

tempore, M.R., rappresentata e difesa, giusta procura

speciale apposta in calce al controricorso, dall’Avvocato Massimo

Grattarola, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla Via

Cunfida n. 20, presso lo studio dell’Avvocato Monica Battaglia.

– controricorrente –

e

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., in persona del curatore rag.

F.M..

– intimato –

avverso la sentenza, n. 397/2016, della CORTE DI APPELLO DI TORINO

del 10/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 23/02/2022 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.R., in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, contro la sentenza della Corte di appello di Torino del 10 marzo 2016, n. 397, reiettiva del reclamo promosso dalla sola menzionata società, in persona della legale rappresentante predetta, L. Fall., ex art. 18, avverso la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Alessandria, il 4 novembre 2015, su istanza della Cassa Edile di Mutualità ed Assistenza. Quest’ultima resiste con controricorso, illustrato anche da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c., mentre il fallimento è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui di interesse, quella corte: i) ritenne rituale l’avvenuta notifica del ricorso di fallimento della creditrice istante presso la sede della (OMISSIS) s.r.l., una volta riscontrata la impossibilità di sua notificazione, a mezzo posta elettronica certificata (p.e.c.), da parte della cancelleria del tribunale alessandrino; ii) considerò indimostrata dalla reclamante, gravata del relativo onere, la contemporanea presenza dei requisiti di non fallibilità di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2; iii) giudicò privo di qualsivoglia rilievo il decreto di rigetto, risalente al gennaio 2011, di una precedente istanza di fallimento promossa nei confronti della stessa (OMISSIS) s.r.l., perché pacificamente inidoneo al giudicato oltre che riferito ad un diverso periodo di attività di quest’ultima; iv) condannò la reclamante e la P. in proprio, al pagamento delle spese processuali.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, la “violazione o falsa applicazione della L. Fall., art. 15, comma 3, vigente in combinato disposto con il D.P.R. n. 1229 del 1959, art. 107 e con gli artt. 138,139,145,160 e 162 c.p.c.”. Si assume che “…la sentenza impugnata, nel ritenere valida la notifica (del ricorso di fallimento) in concreto effettuata, rigettando il reclamo, sul punto, della ricorrente società, si è limitata a prendere atto che la notifica era stata fatta a mani presso la sede legale risultante dal registro delle imprese, senza badare alle modalità con cui la notifica a mani era stata concretamente effettuata, così obliterando quanto disposto dall’art. 145 c.p.c., che costituisce lo specifico parametro di riferimento per la notifica a mani o di persona, e non per posta, nel caso che destinatario della notifica sia una società, norma, quindi, sicuramente applicabile anche per la notifica del ricorso e decreto di convocazione prefallimentare, secondo il regime previsto della L. Fall., novellato art. 15, comma 3, non diversamente da quanto già ritenuto dalla Suprema Corte di cassazione con la sentenza 23/11/1996, n. 10281..”.

2. Tale doglianza è inammissibile ex art. 360-bis c.p.c., n. 1.

2.1. Invero, giova premettere che, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 27348 del 2021, ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese, è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata, del D.L. n. 185 del 2008, ex art. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (come novellata dalla L. n. 35 del 2012. Per gli imprenditori individuali analogo obbligo è stato introdotto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012). Inoltre, come già chiarito da questa Corte, tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che i predetti hanno l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate), – e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso – la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo al riguardo alcun compito di verifica l’Ufficio camerale (cfr. Cass. n. 31 del 2017; Cass. n. 16864 del 2018).

2.2. Infine, la L. Fall., art. 15, comma 3, nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012 – costituisce norma speciale propria del procedimento prefallimentare e sancisce, tra l’altro, che, il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare “devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore risultante dal registro delle imprese ovvero dall’Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata delle imprese e dei professionisti. L’esito della comunicazione è trasmesso, con modalità automatica, all’indirizzo di posta elettronica certificata del ricorrente. Quando, per qualsiasi ragione, la notificazione non risulta possibile o non ha esito positivo, la notifica, a cura del ricorrente, del ricorso e del decreto si esegue esclusivamente di persona a norma del D.P.R. 15 dicembre 1959, n. 1229, art. 107, comma 1, presso la sede risultante dal registro delle imprese. Quando la notificazione non può essere compiuta con queste modalità, si esegue con il deposito dell’atto nella casa comunale della sede che risulta iscritta nel registro delle imprese e si perfeziona nel momento del deposito stesso”.

2.3. Nella specie, la sentenza impugnata dà espressamente atto che, stante l’esito non positivo del tentativo di notificazione del ricorso di fallimento in danno della (OMISSIS) s.r.l., effettuato dalla cancelleria all’indirizzo p.e.c. della fallenda, di esso era stata richiesta dalla creditrice istante la notificazione, in (OMISSIS), presso la sede legale della menzionata società: tentativo che aveva avuto esito positivo, essendo l’atto stato consegnato ad una impiegata dello Studio B. & Associati (presso il quale detta società aveva la propria sede: circostanza, quest’ultima, rimasta incontroversa), specificando la relata che la stessa ne avrebbe curato la consegna. Si tratta, evidentemente, di accertamenti di natura fattuale qui non ulteriormente censurabili.

2.3.1. Non sussiste, dunque, il vizio oggi ascritto dalla ricorrente, quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., alla suddetta decisione, pienamente rispettosa dei principi già ripetutamente affermati, sul punto, da questa Corte (cfr ex multis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 27348 del 2021; Cass. n. 28916 del 2020; Cass. n. 5311 del 2020, che, nel rimarcare la specialità della L. Fall., novellato art. 15, comma 3, esclude l’applicabilità della disciplina ordinaria prevista dall’art. 145 c.p.c., per le ipotesi di irreperibilità del destinatario della notifica; Cass. 12390 del 2019 Cass. n. 28803 del 2018; Cass. n. 16864 del 2018; Cass. n. 6378 del 2018; Cass. n. 5080 del 2018; Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 17946 del 2016), altresì rilevandosi che: i) la successione delle modalità notificatorie L. Fall., ex art. 15, comma 3 (indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario e, qualora risulti impossibile, a mezzo di ufficiale giudiziario presso la sede legale e successivamente presso la casa comunale) e la loro legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sono state confermate dal Giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. 16 giugno 2016, n. 146); ii) si rivela affatto irrilevante, nell’odierna fattispecie, come condivisibilmente sancito dalla corte distrettuale, “il fatto che la sede legale della società fosse presso uno studio di commercialisti, che la circostanza fosse nota al creditore istante e che l’amministratrice unica di (OMISSIS) fosse reperibile alla residenza”; iii) a nulla rileva come fu notificata la precedente istanza di fallimento, respinta con decreto del 31 gennaio 2011, essendo intervenuta, medio tempore, la modifica della L. Fall., menzionato art. 15, comma 3.

3. Il secondo motivo di ricorso prospetta, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5”, la “violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 15 e 18, art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di disamina tra le parti”. Si afferma che la corte distrettuale, “nel giudizio di merito in ordine ai presupposti di fallibilità ed ai relativi oneri della prova, non si è affatto attenuta (..) ai dati normativi sopra indicati”. Si contestano le argomentazioni da essa svolte al fine di ritenere fallibile la (OMISSIS) s.r.l. e si ascrive alla sentenza impugnata di avere “totalmente omesso di considerare il fatto allegato dalla società reclamante, non contestato ex adverso e attestato dalla visura storica della Camera di Commercio prodotta in atti, 114, dove viene attestato che l’impresa è “inattiva” e dove si precisa che la “cessazione dell’attività, è avvenuta “il 7/2/2010”, con “cessazione dell’unità locale” il “9/3/2010″”.

3.1. Questa doglianza è inammissibile per plurime ragioni.

3.2. Essa, invero, in primo luogo, prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea (censure motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassatività dei motivi di impugnazione per cassazione e con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare, all’interno di ciascun motivo, le singole censure (cfr., ex plurimis, Cass. n. 33348 del 2018; Cass. n. 19761, n. 19040, n. 13336 e n. 6690 del 2016; Cass. n. 5964 del 2015; Cass. n. 26018 e n. 22404 del 2014).

3.3. La stessa, poi, mostra di non considerare che il vizio di un provvedimento decisorio previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in quale modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr., tra le più recenti, Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, “in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa”). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

3.3.1. Nella specie, le argomentazioni esposte a corredo della doglianza sono volte sostanzialmente a contestare la ricostruzione, evidentemente di carattere fattuale e qui non ulteriormente sindacabile, con cui la corte distrettuale ha ritenuto insussistenti i requisiti di non fallibilità, L. Fall., ex art. 1, comma 2, invocati dalla (OMISSIS) s.r.l., sicché le critiche ivi sviluppate investono il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, dei requisiti predetti), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 596 del 2022; Cass. n. 2959 del 2021; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 596 del 2022).

3.4. Non sussiste, poi, il preteso omesso esame della circostanza fattuale descritta dalla ricorrente, come agevolmente emerge dalla lettura delle pagine 7 e ss. della sentenza impugnata e delle puntuali considerazioni ivi svolte, dovendosi qui solo ricordare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo “novellato” dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis risultando impugnata una sentenza pubblicata il 10 marzo 2016), riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico e da prospettarsi nel rispetto dei puntuali oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8054 del 2014. Esso, dunque, non ricomprende questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, pure nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021, Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

3.5. Va ricordato, peraltro, che, in tema di procedimento per la dichiarazione di fallimento, il potere del tribunale di eseguire accertamenti d’ufficio – fondato sulle previsioni della L. Fall., art. 1, comma 2, nonché sulla L. Fall., art. 15, comma 4 e art. 18, comma 1 – è finalizzato a colmare lacune probatorie dell’interessato, dovendo, pertanto, essere limitato ai fatti dallo stesso dedotti quali allegazioni difensive. Ne consegue che, trattandosi di un potere di supplenza, esso non può essere esercitato, allorché il debitore non abbia fornito elementi utili alla ricostruzione del proprio attivo e/o dei suoi ricavi lordi per carenza di documentazione (cfr. Cass. n. 6991 del 2019; Cass. n. 13643 del 2013).

3.6. In definitiva, la (OMISSIS) s.r.l. incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c., può porsi, rispettivamente, solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: 1) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che “e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c.”); 2) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (cfr. Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pur puntualizzato che, “ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione”; Cass. n. 27000 del 2016). Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse (cfr. Cass. 24434 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr. Cass. n. 11176 del 2017, in motivazione).

4. Il terzo motivo, infine, denuncia, “ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, la “violazione o falsa applicazione degli artt. 91,94,99 e 112 c.p.c.”. Si ascrive alla corte distrettuale: i) di aver condannato la P., costituitasi in sede di reclamo solo quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., al pagamento delle spese processuali in solido con la menzionata società, benché ella, non avendo ivi agito personalmente, non potesse considerarsi parte soccombente; ii) di avere omesso qualsivoglia motivazione circa i gravi motivi eventualmente giustificativi, secondo la medesima corte, di una sua condanna ex art. 94 c.p.c..

4.1. Questa doglianza, da intendersi proposta in proprio dalla P. (diversamente dalle prime due, evidentemente riconducibili esclusivamente alla (OMISSIS) s.r.l.), è fondata nei termini di cui appresso.

4.2. Invero, dalla stessa sentenza impugnata emerge, affatto agevolmente, che la sola (OMISSIS) s.r.l., sia pure tramite la P. sua amministratrice e legale rappresentante, ebbe a proporre il reclamo L. Fall., ex art. 18, contro la pronuncia del proprio fallimento, sicché una condanna della P. in proprio (e non nella indicata qualità) al pagamento delle spese processuali di quel giudizio avrebbe potuto trovare ragione soltanto nell’avvenuta applicazione dell’art. 94 c.p.c. (a tenore del quale, “Gli eredi beneficiati, i tutori, i curatori e in generale coloro che rappresentano o assistono la parte in giudizio possono essere condannati personalmente, per motivi gravi che il giudice deve specificare nella sentenza, alle spese dell’intero processo o di singoli atti, anche in solido con la parte rappresentata o assistita”).

4.2.1. Quest’ultima disposizione, prevedendo la condanna pronunciabile anche di ufficio (cfr. Cass. n. 3977 del 2003) – alle spese in favore dell’avversario vincitore, eventualmente in solido con la parte, del soggetto che la rappresenti, si giustifica con il fatto che il predetto, pur non assumendo la veste di parte nel processo, esplica pur tuttavia, anche se in nome altrui, un’attività processuale in maniera autonoma; tale condanna postula la ricorrenza di gravi motivi, da enunciarsi in modo specifico dal giudice (cfr. Cass. n. 9203 del 2020; Cass. n. 27475 del 2019; Cass. n. 20878 del 2010), quali la trasgressione del dovere di lealtà e probità di cui all’art. 88 c.p.c., ovvero la mancanza della normale prudenza tipica della responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., comma 2.

4.2.2. Ciò che, nella specie, il giudice del merito non ha minimamente fatto, posto che in nessun modo risulta essere stata giustificata l’avvenuta predetta condanna, in proprio, della P., sicuramente non riconducibile, peraltro, al principio della soccombenza, che è applicabile solo nei confronti delle parti in lite, non anche di coloro che le assistono o rappresentano nel processo, che non assumono la veste di parti.

4.2.3. In altri termini, la soccombenza della parte rappresentata o assistita non è ragione sufficiente a giustificare la condanna del rappresentante o curatore in proprio alle spese dell’intero processo o di singoli atti (cfr. Cass. n. 27475 del 2019). Tale condanna, nella quale si ravvisa una fattispecie derogatoria al canone oggettivo della soccombenza, postula, come si è detto, l’esistenza di gravi motivi intesi nel senso sopra indicato, che “il giudice deve specificare nella sentenza”, né potendo essere gli stessi desunti dalla mera attività difensiva svolta dal rappresentante stesso nell’interesse della società rappresentata, senza l’enunciazione di un suo comportamento sleale o gravemente imprudente.

5. In conclusione, i primi due motivi del ricorso vanno dichiarati inammissibili, mentre ne va accolto il terzo. La sentenza impugnata, dunque, deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile i primi due motivi di ricorso e ne accoglie il terzo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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Cassazione civile , sez. I , 02/03/2022 , n. 6866

Il rappresentante della parte è condannato in solido alle spese in presenza di gravi motivi, da enunciarsi in modo specifico, quale la trasgressione del dovere di lealtà e probità o la mancanza della normale prudenza

 

Fonte: Guida al diritto 2022, 19

Cassazione civile , sez. I , 02/03/2022 , n. 6866

Ogni imprenditore deve dotarsi di indirizzo PEC che dev’essere rinnovato dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese fino ai dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione

 

Fonte: Giustizia Civile Massimario 2022

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