Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6863 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 08/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26052-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

LOGITEC SYSTEM GROUP SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5485/5/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 30/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’08/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Considerato che:

La CTR della Lombardia, con sentenza nr 5485/2019, accoglieva l’appello della società Logitec System Group s.r.l. avverso la decisione della CTP di Milano con cui era stato respinto il ricorso della contribuente relativo all’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’emissione di fatture per operazioni inesistenti per un importo pari ad Euro 4.604.077,35.

Il Giudice di appello rilevava la non correttezza del comportamento tenuto dall’Ufficio per avere imputato alla contribuente la contestazione dell’emissione di fatturazione per operazioni inesistenti senza provare il suo reale vantaggio economico dal punto di vista fiscale.

Sosteneva che al di là delle fatturazioni ascritte alla appellante per operazioni non imponibili in relazione alle quali la stessa ne affermava la completa estraneità, le uniche società che potevano avere ottenuto vantaggio economico erano quelle che avevano dichiarato tali fatturazioni.

Sottolineava inoltre che eventuali comportamenti fraudolenti che possono avere riscontro in procedimenti penali, secondo la CTR, non rilevano nell’ambito fiscale se il soggetto accertato non né ha tratto un vantaggio economico.

Avverso tale pronuncia l’Ufficio propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui non resiste la società contribuente che resta intimata.

Con il primo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, e dell’art. 112 c.p.c., e dell’art. 132 comma 2, n. 4, per essere la motivazione soltanto apparente.

Si lamenta che il giudice di appello non avrebbe dato contezza né dell’iter logico seguito né delle prove e degli elementi che erano state valutate.

Con il secondo motivo si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,2727 e 2729 c.c., e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, per non avere la CTR fatto buon governo in tema di riparto degli oneri probatori in tema di contestazione per operazioni oggettivamente inesistenti.

Il primo motivo è infondato.

Deve escludersi il difetto assoluto di motivazione, dedotto con il primo mezzo di ricorso, non essendo ravvisabile, in relazione alle statuizioni contenute nella decisione impugnata, alcuna anomalia motivazionale destinata ad acquistare significato e rilevanza alla stregua delle pronunce a Sezioni Unite di questa Corte n. 8053 del 2014 e n. 22232 del 2016.

Considerato, infatti, che ricorre il vizio di motivazione meramente apparente allorquando il giudice omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione e di specificare ed illustrare le ragioni che sorreggono il decisum e l’iter logico seguito per pervenire alla pronuncia assunta, onde consentire di verificare se abbia giudicato iuxta alligata et probata, non può non rilevarsi che il giudice di appello ha compiutamente esplicitato il proprio iter argomentativo, esaminando in modo esaustivo i fatti oggetto di discussione e chiarendo le ragioni del suo convincimento.

Nella specie, anche in base alla stessa prospettazione del mezzo, non si può ritenere che la sentenza impugnata sia carente o incoerente sul piano della logica giuridica, né tanto meno che sia stata costruita in modo tale da rendere impossibile un controllo sulla esattezza del ragionamento decisorio e, quindi, tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass., sez. 1, 30/06/2020, n. 13248).

La motivazione della sentenza della Commissione regionale, a prescindere dalla correttezza delle ragioni poste a base del suo convincimento (la mancata dimostrazione di un vantaggio economico correlato alle operazioni oggetto di contestazione), esplicita l’iter logico che l’ha indotta ad accogliere l’appello proposto dalla contribuente, sicché non può in alcun modo essere considerata meramente apparente o inesistente.

Il secondo motivo è fondato.

Appare, in primo luogo, corretta la deduzione del vizio per violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, poiché, in tema di ricorso per cassazione, tale vizio consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (v., per tutte, Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 24054 del 12/10/2017 Rv. 646811 – 01; Sez. L, Sentenza n. 16698 del 16/07/2010 Rv. 614588 – 01), come avvenuto nella specie, considerato che il motivo di ricorso pone proprio una questione di erronea ricognizione della fattispecie normativa astratta, relativa alle operazioni ritenute inesistenti dall’Ufficio ai fini fiscali e della interpretazione della regola che ne disciplina la prova, ancor prima ed indipendentemente dalla ricostruzione della fattispecie concreta che spetta esclusivamente al giudice di merito e su cui comunque la Agenzia ricorrente si è soffermata solo ai fini della ricognizione dei fatti della causa strumentali rispetto alle doglianze relative alla erroneità dei principi giuridici applicati dalla sentenza impugnata, in assenza, quindi, della mediazione derivante dalla valutazione delle risultanze di causa.

A tale stregua, il vizio di violazione di legge è stato quindi correttamente posto dalla Agenzia ricorrente con riguardo, in particolare, alla violazione dell’art. 2697 c.c., che si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia erroneamente disconosciuto la prova presuntiva ed attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (v., da ultimo, Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018 Rv. 650892 – 01; Sez. 3 -, Sentenza n. 13395 del 29/05/2018 Rv. 649038 – 01), poiché, in materia di operazioni oggettivamente inesistenti che si iscrivono in combinazioni negoziali fraudolente ai danni del fisco, la stessa ha l’onere di provare mediante presunzioni che l’operazione commerciale non è stata posta in essere ed una volta assolto a detto onere mediante l’indicazione degli elementi indiziari spetterà al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo e l’effettività delle operazioni; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v. per tutte, da ultimo Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019 Rv. 656602 – 01 e precedenti conformi: N. 30366 del 2019 Rv. 655932 – 01, N. 11873 del 2018 Rv. 648528 – 01).

Ed anche in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, pur se la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto spettare all’Ufficio l’onere di fornire la prova che le operazioni commerciali oggetto di fatturazione non sono mai state poste in essere, peraltro è stato altresì ritenuto che è sufficiente a tal fine la indicazione degli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione, mentre e’, per converso, sempre onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo, altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, trattandosi di dati e circostanze facilmente falsificabili (v., sul punto, da ultimo, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11873 del 15/05/2018 Rv. 648528 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015 Rv. 634233 – 01). In tema di IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta non sorge infatti per il solo fatto dell’avvenuto pagamento dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, l’inerenza dell’operazione all’impresa, requisito questo mancante in relazione all’IVA corrisposta per operazioni (anche parzialmente) oggettivamente inesistenti, stante la sua inidoneità a configurare un pagamento a titolo di rivalsa in quanto costituente un costo non inerente all’attività dell’impresa e potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da spezzare il detto nesso di inerenza (v. Cass. Ordinanza n. 8919 del 14/05/2020 Rv. 657654 – 01).

Orbene, alla luce di tali principi la sentenza impugnata ha nella sostanza operato una erronea inversione dell’onere della prova – laddove ha ritenuto illegittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria in assenza della dimostrazione di un vantaggio economico conseguito dalla società emittente fatture false senza neppure indicare da quale disposizione legislativa o da quale interpretazione giurisprudenziale derivasse l’onere di una tale prova a carico dell’Ufficio; con ciò ponendosi in contrasto con la elaborazione giurisprudenziale consolidata, sopra indicata, cui si ritiene di dare continuità in questa sede, per cui l’Ufficio, in materia di operazioni oggettivamente inesistenti, può fornire la prova a lui spettante anche mediante presunzioni semplici, essendo ciò legislativamente previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, ed inoltre, in materia di deducibilità dei costi d’impresa, la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi. Con la ulteriore precisazione, più volte già richiamata, per cui tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v. per tutte, da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019 Rv. 656602 – 01).

Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa per nuovo esame a diversa sezione della CTR della Lombardia che dovrà decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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