Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6861 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 11/03/2021), n.6861

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22476-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

EUROPA 21 SRL;

– intimato –

3762 avverso la sentenza n. 720/2014 della COMM. TRIB. REG. del

Lazio, depositata il 07/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. CASTORINA ROSARIA MARIA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza n. 720/22/2014, depositata in data 7.02.2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale del Lazio rigettava l’appello dell’Agenzia delle entrate nei confronti di Europa 21 s.r.l. avverso la sentenza n. 54/7/2013 della Commissione tributaria provinciale di Roma che aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente avverso un avviso di accertamento emesso sulla base di un PVC con il quale l’ufficio aveva ripreso a tassazione costi non deducibili e non inerenti, ammortamenti indeducibili e Iva non detraibile.

Il Giudice di appello rigettava il gravame condividendo il rilievo che l’accesso era stato eseguito in un immobile nel quale, oltre ad esservi la sede della società, risiedevano diversi soggetti persone fisiche, ai quali la società aveva concesso in locazione l’uso dei medesimo locali. Da qui, secondo la sentenza, la illegittimità dell’attività di verifica, in quanto eseguita in carenza delle autorizzazioni prescritte dalla legge per tale ipotesi, e degli atti successivi.

Contro la sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

La contribuente non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con II primo motivo l’ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, per avere la CTR ritenuto applicabile la disciplina di garanzia prevista da tali norme al caso di specie, caratterizzato dal fatto che l’accesso era eseguito presso la sede sociale e che il soggetto che abitava parte dei locali non era il contribuente, ma un terzo in forza di contratto di comodato concluso con la società.

2. Con il secondo motivo l’ufficio deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. In particolare si pone in luce che la Ctr aveva ragionato come se si trattasse di un locale unico utilizzato promiscuamente, senza considerare la conformazione dei luoghi ed, in particolare, che l’immobile era diviso in piani e locali autonomi e solo in parte utilizzato per uso abitativo e che, in sede di verifica, non vi era stato alcun accesso alla zona destinata ad uso a bitativo.

Le censure sono suscettibili di trattazione congiunta. Esse sono fondate.

In tema di autorizzazione all’accesso in locali adibiti anche ad abitazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, comma 1, questa Corte ha più volte affermato il principio secondo il quale l’uso “promiscuo” “ricorre non soltanto nell’ipotesi in cui i medesimi ambienti siano contestualmente utilizzati per la vita familiare e per l’attività professionale, ma ogni qual volta l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi” (Sez. 6-5, n. 7723 del 28/03/2018, Rv. 647700 – 01; Sez. 6-5, n. 28068 del 16/12/2013, Rv. 629877 – 01; Sez. 5, n. 2444 del 05/02/2007, Rv. 595944 – 01; Sez. 1, n. 10664 dei 27/10/1998, Rv. 520125 – 01; Cass. 6625/2019; Cass. 19811/2017, quest’ultima emessa tra le stesse parti in relazione ad analoga controversia).

Il concetto di “locali destinati all’esercizio” delle attività oggetto di verifica è meno ampio di quello di “immobile” perchè individua esclusivamente quelli nei quali l’attività viene esercitata, ben potendo i “locali” costituire parte degli immobili nei quali si trovano (si pensi ai locali destinati alle attività professionali collocati in condomini nei quali, in ipotesi, si trovi anche l’abitazione del contribuente). E’ necessario, pertanto, che i “locali” siano adibiti “anche ad abitazione”, non che lo siano gli immobili nei quali essi si trovano. Per questa ragione, questa Corte ha specificato che l’ipotesi dell’uso promiscuo ricorre quando la comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi. Non rileva, dunque, la destinazione promiscua dell’immobile, bensì dei locali.

Ora l’insieme di tali considerazioni, benchè riportate in sintesi nella parte narrativa della sentenza, sono state del tutto ignorate dalla CTR, la cui decisione è in ultima analisi fondata sul dato formale dell’esistenza di un contratto di locazione, laddove, ai fini di verificare se fosse necessaria l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, occorreva invece valutare se, al di là dal dato formale, i medesimi ambienti fossero realmente e contestualmente utilizzati per la vita familiare e l’attività professionale.

La CTR, peraltro ha omesso ogni valutazione sulla circostanza, dedotta dall’Agenzia delle Entrate, che l’immobile era stato concesso in comodato a terzi, estranei all’attività di verifica.

A tanto provvederà il giudice di rinvio.

La sentenza va, pertanto, cassata con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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