Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6860 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. I, 22/03/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 22/03/2010), n.6860

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA A. POLLIO 30, presso l’avvocato CARAMANICO GIUSTINO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RISPOLI GREGORIO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA depositato il

17/11/2006; n. 402/06 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro che chiede a questa Sezione della Suprema Corte di

volere rigettare il ricorso in oggetto.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.E., con ricorso del 12 gennaio 2007, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico complesso motivo di censura -, nei confronti del Ministro della Giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Genova depositato in data 17 novembre 2006, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della C. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Ministro della Giustizia il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilita’ o l’infondatezza del ricorso -, ha respinto il ricorso;

che resiste, con controricorso, il Ministro della Giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto nella misura di Euro 2.500,00 per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 3 agosto 2006, era fondata sui seguenti fatti:

a) la C., aveva proposto -con citazione del 22 marzo 2000 – domanda di risarcimento del danno dinanzi al Tribunale di Genova;

b) il Tribunale adito aveva deciso la causa con sentenza del 15 gennaio 2006;

che la Corte d’Appello di Genova, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in quattro anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato quale periodo computabile ai fini della ragionevole durata del processo quello intercorrente tra la data della prima udienza dinanzi all’istruttore (nella specie, 10 gennaio 2001) e la data dell’udienza di precisazione delle conclusioni (nella specie, 28 settembre 2004), ritenendo esclusi da tale periodo il tempo dei rinvii concessi su istanza di parte eccedenti i tre o i quattro mesi o il rinvio per la precisazione delle conclusioni eccedente gli otto mesi, nonche’ il periodo feriale;

che la stessa Corte, sulla base di detti criteri, ha escluso, nella specie, la configurabilita’ di una particolare complessita’ della controversia e di una conduzione negligente del processo da parte del giudice, concludendo che il processo presupposto si e’ protratto per un periodo di circa quattro anni e, dunque, per un periodo ragionevole;

che il Procuratore generale ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il complesso motivo di censura, vengono denunciati come illegittimi:

a) la affermazione secondo cui il periodo computabile ai fini della ragionevole durata del processo in quello intercorrente tra la data della prima udienza dinanzi all’istruttore (nella specie, 10 gennaio 2001) e la data dell’udienza di precisazione delle conclusioni (nella specie, 28 settembre 2004);

b) l’applicazione dell’art. 81 disp. att. c.p.c. in tema di rinvii;

c) l’esclusione del periodo feriale dal computo della ragionevole durata del processo;

che la ricorrente chiede, pertanto, che, in accoglimento del ricorso, questa Corte cassi il decreto impugnato e condanni il resistente al pagamento dell’equa riparazione dei danni non patrimoniali subiti, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) e’ fondata, perche’, contrariamente a quanto affermato dai Giudici a quibus, secondo il costante orientamento di questa Corte, al fine di verificare se un giudizio di cognizione abbia o no ecceduto la durata ragionevole, occorre avere riguardo ai momenti in cui il giudizio stesso ha avuto inizio – con l’iscrizione a ruolo della causa – e fine, con la pubblicazione della sentenza (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 5212 e 5344 del 2007);

che la censura sub b) e’ parimenti fondata, perche’ i Giudici a quibus si sono palesemente discostati dal consolidato orientamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 4512 del 2004 e 1715 del 2008), secondo cui, ai fini dell’accertamento della ragionevole durata del processo, a fronte di una cospicua serie di differimenti chiesti dalla parte, o non opposti, e disposti dal giudice istruttore, occorre distinguere, come impone la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 2, tra tempi addebitabili alle parti e tempi addebitabili allo Stato per la loro evidente irragionevolezza, e pertanto, salvo che sia motivatamente evidenziata una vera e propria strategia dilatoria di parte, idonea ad impedire l’esercizio dei poteri di direzione del processo, propri del giudice i istruttore, e’ necessario individuare la durata irragionevole comunque ascrivibile allo Stato, ferma restando la possibilita’ che la frequenza ed ingiustificatezza delle istanze di differimento incida sulla valutazione del patema indotto dalla durata e, conseguentemente, sulla misura dell’indennizzo da riconoscere;

che anche la censura sub c) e’ fondata, in quanto la sospensione dei termini processuali nel periodo dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno, stabilita dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1, comma 1 ha carattere generale e le eccezioni a tale regola, di cui al combinato disposto della stessa L. n. 742 del 1969, art. 3 e del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 92 sull’ordinamento giudiziario – il quale elenca gli affari civili da trattarsi nel periodo feriale -, hanno carattere tassativo, essendo questa una norma eccezionale, di stretta interpretazione e quindi insuscettibile di interpretazione estensiva e tanto meno analogica, con la conseguenza che la trattazione del processo presupposto promosso dalla C., avente un oggetto (domanda di risarcimento del danno) non compreso tra quelli da trattarsi nel periodo feriale, doveva essere necessariamente sospesa in applicazione di detta regola generale stabilita per legge;

che al riguardo ed in linea piu’ generale, sempre con riferimento alla censura sub e), questa Corte, a partire dalle sentenze nn. 16502 e 14885 del 2002, ha costantemente affermato il principio secondo cui, ai fini del diritto ad un’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, il giudice, nell’accertare la durata del procedimento onde verificarne la ragionevolezza, deve considerare anche il ritardo conseguente alla doverosa applicazione di atti legislativi (o normativi in genere), non gia’ per sindacare tali atti, ma per apprezzare se la durata del singolo procedimento, come conformato in base agli stessi, risulti in concreto compatibile con il precetto di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e, tramite questo, con il precetto di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali (cfr., ex plurimis, le successive sentenze nn. 2148 del 2003, 13814 del 2004, 9245 del 2005, 2250 del 2007);

che, pertanto, nella durata complessiva del processo, da prendere in considerazione ai fini del diritto ad un’equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, deve essere computato anche il tempo di sospensione dei termini processuali nel periodo feriale stabilito dalla menzionata L. n. 742 del 1969, art. 1, comma 1 non potendosi peraltro dubitare della conformita’ a Costituzione di tale norma, dettata per garantire il doveroso periodo di riposo alle persone che partecipano allo svolgimento dell’attivita’ giurisdizionale e destinata quindi ad assicurare anche l’effettiva possibilita’ di esercizio del diritto di agire e di difendersi in giudizio (cfr., ex plurimis, le sentenze della Corte costituzionale nn. 255 del 1987, 380 del 1992, 268 del 1993);

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che, nella specie, sussiste il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, perche’ il processo presupposto e’ iniziato in data 22 marzo 2000 e si e’ concluso con il deposito della sentenza di primo grado avvenuto in data 15 gennaio 2006, sicche’, fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, il periodo eccedente va determinato in due anni e dieci mesi circa;

che, in conformita’ ai criteri per la liquidazione equitativa dell’indennizzo, elaborati e normalmente seguiti da questa Corte in analoghe fattispecie – Euro 750,00 per i primi tre anni di eccessiva durata ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo – si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 2.250,00 per i due anni e dieci mesi di irragionevole protrazione del processo presupposto de quo, oltre gli interessi dalla domanda;

che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate sulla base delle tabelle A, par.

4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. Giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 200,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio compensate per la meta’ in favore del Ministro della Giustizia – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro della Giustizia a pagare ad C.E. la somma di Euro 2.250,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresi’ al rimborso, in favore della stessa parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 850,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 200,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimita’, nella meta’ dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 700,00, di cui Euro 160,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

 

 

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