Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 686 del 13/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 13/01/2011, (ud. 23/09/2010, dep. 13/01/2011), n.686

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

(1) l’AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, e

(2) il MINISTERO dell’Economia e delle Finanze, in persona del

Ministro pro tempore, entrambi elettivamente domiciliati in Roma alla

Via dei Portoghesi n. 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

la s.p.a. Cave San Bartolo, con sede in

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata

in Roma al Viale Parioli n. 43 presso lo studio dell’avv. D’AYALA

VALVA Francesco, che la rappresenta e difende, insieme con l’avv.

Antonio CICOGNANI, in forza della procura speciale rilasciata a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/01/04 depositata il 24 giugno 2004 dalla

Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 23 settembre

2010 dal Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, perorate dall’avv. Maria Letizia GUIDA

(dell’Avvocatura Generale dello Stato), per le amministrazioni

ricorrenti, e dall’avv. Francesco D’AYALA VALVA, per la

controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr. ZENO

Immacolata, la quale ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità e, in subordine, per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.p.a. Cave San Bartolo, il MINISTERO dell’Economia e delle Finanze e l’AGENZIA delle ENTRATE – premesso che “con avviso di rettifica … notificato” a detta società “il 12 ottobre 2000” l’Ufficio, sulla scorta dei “controlli” dei “rapporti commerciali intercorsi tra la signora M. e la Cave San Bartolomeo” (quest’ultima esercente “attività di produzione, commercio all’ingrosso ed al minuto di materiali per l’edilizia”) operati dalla Guardia di Finanza “per gli anni d’imposta dal 1995 al 2000” (dai quali era emerso che “la ditta individuale della …

M.” esercente “attività agricola di coltivazione miste di cereali e altri seminativi” era “proprietaria di un fondo” dal cui “terreno la Cave San Bartolomeo estrae(va) materiale lapideo in forza delle disposizioni contenute nella scrittura privata dell’otto luglio 1995, con cui la … M. ha concluso, con la società, le trattative di un contratto definito di vendita di genere ex art. 1378 c.c.”) aveva recuperato l’imposta sul valore aggiunto (IVA) “evasa per l’anno 1996” (“irrogando le relative sanzioni”) sia per la “mancata emissione di fatture relative ad operazioni imponibili” che per la “omessa fatturazione … relativa ad operazioni imponibili” e per la “presentazione della dichiarazione annuale con dati inesatti” – chiedevano di cassare la sentenza n. 21/01/04 della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (depositata il 24 giugno 2004) che aveva respinto l’appello dell’Ufficio avverso la decisione (36/03/01) della Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna la quale aveva accolto il ricorso della contribuente.

Nel proprio controricorso, la società intimata instava per il rigetto dell’impugnazione dell’Agenzia; la stessa società, di poi, depositava memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze non avendo questo ente nemmeno dedotto di aver preso parte al precedente grado del processo.

Nella sentenza impugnata, infatti, si legge che l’appello è stato proposto dall’Ufficio di Ravenna dell’Agenzia delle Entrate con atto “depositato il 30 luglio 2002″ per cui – anche se l'”avviso di rettifica” impugnato (afferente ad imposta relativa all’anno 1996) è stato notificato alla contribuente “in data 12 ottobre 2000” -, ai sensi del D.Lgs. n. 300 del 1999 e del D.M. 28 dicembre 2000, deve ritenersi verificato il subentro (Cass., trib.: 2 ottobre 2009 n. 21144; 12 marzo 2008 n. 6591, ex multis), sin dal primo gennaio 2001, dell’Agenzia al Ministero detto anche in tale rapporto fiscale: da tanto si evince che il pregresso grado di giudizio si è svolto unicamente tra la contribuente e l’Ufficio locale dell’Agenzia per cui si è determinata la tacita estromissione del Ministero.

Le spese processuali del giudizio di legittimità tra il Ministero e la società vanno integralmente compensate tra tali parti ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, in considerazione della sostanziale inutilità (perchè limitata alla sola indicazione della costituzione nell’epigrafe del ricorso dell’Agenzia) della partecipazione al giudizio dell’ente pubblico.

2. Con la sentenza gravata la Commissione Tributaria Regionale ha respinto l’impugnazione dell’Ufficio affermando che nel “contratto stipulato dalla M. (proprietà dell’immobile in questione) e la società Cave S. Bartolo”, pur considerando “la circostanza che la prima assommava in sè la qualità di alienante (in veste di proprietaria), nonchè di rappresentante legale dell’azienda acquirente”, “non può ravvisarsi una vendita immobiliare (nè, tanto meno, un appalto od una permuta), poichè non si è trattato dell’immobile in sè e per sè considerato, ma di ciò che da esso poteva estrarsi” e “nemmeno vi si può riscontrare un ipotetico contratto di locazione, in assenza del godimento del bene (senza sue modificazioni), come pure della sua utilizzazione”: per il giudice di appello “nella compravendita stipulata dalla M. non si ravvisa alcun tipo di attività imprenditoriale” (“avendo essa agito come persona fisica e non come imprenditrice, nel vendere una determinata quantità di un prodotto (materiale litoide) di una certa qualità estratto dal suo terreno, ad un prezzo prefissato in rapporto al genere di sabbia fine o meno fine, granello o ghiaia, previo accordo tra le parti”) trattandosi “della vendita mobiliare del prodotto estraibile dal suolo e dal sottosuolo, dunque, di una vendita di genere caratterizzata da un oggetto individuabile solo dopo l’avvenuta estrazione”.

Il giudice regionale, poi, nega (“il che esclude”) che “nella condotta della M. si possa ravvisare quell’esercizio professionale di attività organizzata ai fini della produzione o dello scambio di beni o di servizi, che l’art. 2082 c.c., esige perchè possa ipotizzarsi un’attività imprenditoriale” in quanto “risulta essere stato venduto (in un’unica soluzione) tutto il materiale estraibile nell’intero giacimento”, “tanto più che appare ininfluente la circostanza che suo marito, D.V.A., sia l’amministratore delegato della società in questione” essendo questa “situazione caratteristica di numerosissime società di capitali, dotate di autonoma personalità giuridica e capacità economica”.

“In definitiva”, per il giudice di appello, “quali che siano gli interessi della M. nella società, essa è soltanto proprietaria dell’immobile del quale qui si discute, costituito da 80 ettari di terreno non coltivabile, ma utilizzabile esclusivamente per l’escavazione e l’uso di materiali pietrosi, nè si possono individuare argomentazioni giuridiche idonee a far escludere che una persona fisica, titolare di un bene, possa alienarlo ad una società commerciale dotata di un propria e distinta personalità giuridica, anche nel caso che la prima faccia parte della seconda come azionista, con la correlativa necessità di utilizzare come legale rappresentante della società Cave S. Bartolo il marito della M., senza che ciò abbia modificato la situazione concreta, che permette di identificare una compravendita di genere di cose mobili tra un soggetto fisico non imprenditore ed una persona giuridica (società di capitali), tanto più che un unico contratto di compravendita mai potrebbe integrare un’ attività imprenditoriale nel senso sopra delineato”.

“Tanto”, dice ancora la Commissione Tributaria Regionale, “basta (alla luce di un’ abbondante giurisprudenza tributaria in senso conforme, come pure dell’assoluzione con la formula più ampia ottenuta dalla M. in sede penale) a far disattendere le tre censure di cui all’appello principale (con salvezza dell’impugnata sentenza)”.

3. Con il suo ricorso l’Agenzia – esposto che “secondo l’accordo”:

(1) “la M.”, “parte venditrice”, (a) “cede alle Cave San Bartolo” (“parte acquirente”) “tutto il materiale estraibile contenuto nel terreno di sua proprietà (art. 1)”; (b) “si riserva di eseguire i controlli sulla qualità e quantità del materiale scavato a sua totale discrezione, senza nessun preavviso” “per espressa previsione del contratto (art. 3), il materiale scavato e lavorato è situato separatamente, per quantità e tipo, in punti predeterminati”; (c) “determina … il prezzo di vendita dei prodotti estratti caricati sull’autocarro, computandolo sulla base dei prezzi di listino praticati per le vendite al pubblico dalla società acquirente (art. 3)” e (d) “stabilisce … le modalità di pagamento (gli importi per i materiali devono essere versati dalla società per contanti entro il secondo mese successivo art. 4 con la revisione dei prezzi in aumento e in diminuzione, a seconda delle variazioni dei prezzi praticati dall’acquirente alla clientela art. 5”; (2) “la Cave San Bartolo” (a) “procede, con la clausola di esclusiva nei confronti dei terzi e della stessa proprietaria, all’escavazione, alla selezione, al lavaggio, al trasporto del materiale all’apparecchio di pesatura ed al caricamento del prodotto finito sull’autocarro, attraverso proprie attrezzature e personale dipendente (art. 2)”; (b) “per ogni vendita dei predetti materiali … emette fattura facendo riferimento alle ricevute prodotte dall’impianto preposto alla pesatura, corredate dall’indicazione del peso e del tipo di materiale ed utilizzate come documenti di trasporto”; (c) “si fa carico delle opere di adattamento della cava e della zona limitrofa, una volta terminata l’estrazione (art. 7) e, inoltre, di tutte le imposte e tasse inerenti a tale contratto, anche se di fatto imputabili alla venditrice ed ancorchè il loro accertamento sia effettuato in nome della venditrice (art. 11)” – denunzia “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 4, 11 e 21, nonchè degli artt. 1378, 1655, 2082, 2135, 2195 e 2391 c.c.”.

A. La ricorrente – assunto che “secondo la scrittura privata, i costi di produzione e di acquisto dei materiali sono in carico alla Cave …, mentre i corrispettivi per vendita materiali sono a favore della M.” (per cui “il sinallagma” risulta “sbilanciato in relazione ai costi” in quanto “dalla scrittura privata si evince che, mentre i proventi delle vendite corrispondono ai costi di acquisto materiali, i costi di estrazione sono compensati da non dichiarati ricavi per cessioni di beni”) – sostiene, in primo luogo, che “il contratto in oggetto presenta alcune peculiarità rispetto al tipo generale” (“vendita di genere”: art. 1378 c.c., richiamato dalle parti);

(1) perchè il negozio riconducibile al “tipo generale” produce “effetti obbligatori immediati” in quanto “obbliga le parti ad effettuare l’individuazione, creando e non già trasferendo diritti reali” nonchè “effetti reali differiti (la proprietà si trasferisce con l’individuazione, in un momento successivo alla conclusione del contratto)”: “nel caso …, invece, … un contraente vuole vendere all’altro materiale lapideo e non lapideo che l’acquirente, con i suoi mezzi e suo rischio, estrarrà dal fondo dell’alienante” di tal che “la cosa generica non è ancora venuta ad esistenza” (“vendita dell’uva che verrà raccolta al termine della futura vendemmia”); la “figura di vendita di cosa futura”, quindi, “non è ipotizzabile, perchè in tal caso la proprietà non si trasferisce al momento della separazione dei frutti (secondo la regola dell’emptio rei speratae) ma sempre al momento dell’individuazione, essendo la qualità futura del bene irrilevante e trattandosi di vendita di cosa generica in cui l’individuazione potrà operare in quanto il bene, a quel momento, esista”; “la cosa futura, quindi, costituisce solo il termine di riferimento della prestazione del debitore”;

(2) perchè “il rischio contrattuale nel rapporto M. – Cave è ab origine a carico dell’acquirente” mentre “nella … vendita di cosa generica …, con l’individuazione, si determina il trasferimento del bene e, di conseguenza, il passaggio dei rischi dall’alienante all’acquirente (art. 1465 c.c., comma 3)”.

A parere dell’Agenzia, quindi, “il contratto non comprende solo una vendita di cosa generica (salvo ammettere la possibilità giuridica di una vendita generica in deroga al tipo legale previsto dall’art. 1378 c.c.), poichè i materiali diventano di proprietà della società solo quando sono pesati, cioè al momento dell’individuazione” ma (potendo “le operazioni economiche realizzate dai privati … presentare alcuni elementi di un tipo e taluni elementi di un altro tipo contrattuale nominato”) “sul piano ricostruttivo della fattispecie” si è “in presenza di un contratto misto” (“cioè di un contratto configurato come la risultante della combinazione di una pluralità di schemi che si fondono e si condizionano vicendevolmente”), specificamente di “un contratto misto appalto-permuta” perchè “da una parte, la Cave assumeva, con mezzi necessari e a proprio rischio, di estrarre il materiale dal terreno M.” e “dall’altra, una volta pesato, il materiale usciva dal terreno della M. e, due mesi dopo, veniva corrisposto il prezzo dalla Cave, liquidato alla M. mensilmente”.

“Secondo questa ricostruzione”, quindi, per la ricorrente, “pur avendo il contratto un’unica causa (cessione onerosa dei materiali), è comunque un contratto misto, per la contemporanea presenza di una pluralità di schemi (contratto di escavazione-appalto e successivo contratto di vendita-permuta)” in quanto:

– “nel primo schema la Cave estrae il materiale dal terreno della M.” ma “il materiale diventerà di proprietà della Cave …

solo successivamente, una volta effettuata la pesatura (individuazione)” per cui “la fase dell’estrazione è riconducibile al contratto di appalto ex art. 1655 c.c., con la differenza, però, che la prestazione non avviene dietro corrispettivo, poichè la M. non corrisponde alcun costo alla Cave”: “in questa fase, e cioè prima della pesatura e del conguaglio di fine mese, la proprietà del materiale resta in capo alla M. per chiara disciplina del codice civile (v. art. 1378 c.c.)”;

– “nel secondo schema, una volta pesato il materiale, la M. quantifica alla Cave i corrispettivi della cessione” e “poichè tali corrispettivi, se si tenesse conto dei costi sostenuti dalla Cave, avrebbero ammontare maggiore, si deve ritenere che l’attività di estrazione è stata effettuata gratuitamente in cambio della equivalente cessione di materiali al solo fine di occultare i maggiori corrispettivi”: “è appunto questo ciò che è stato contestato dall’Ufficio alla Società e che ha creato la perseguita evasione fiscale” atteso che “sul piano fiscale … i vantaggi della scelta contrattuale trovano spiegazione nella circostanza che la M., proprietaria del terreno sfruttato a cava, ha conseguito dalla cessione del materiale lapideo un profitto senza costi” mentre “la scelta del semplice contratto di appalto e della successiva vendita avrebbe comportato maggiori ricavi (e quindi imposte) per la M. e costi minori per la Cave”.

B. L’Agenzia, di poi, aggiunge che l'”assunto” dei giudici di appello relativo alla “veste della contraente M. … non può essere accettato in quanto la circostanza che la M. svolga, D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 4, in modo professionale ed abituale, attività commerciale ex art. 2195 c.c., organizzata in forma di impresa, emerge da elementi diversi, … descritti nel PVC”:

– “la M. pone in essere una serie di attività dirette alla produzione di beni (art. 2195 c.c.)” perchè “concede il fondo da cui estrarre il materiale, ne cede mensilmente una quantità, fissa il prezzo e le sue variazioni, determina le modalità di pagamento, può effettuare a sua discrezione sopralluoghi nella cava per controllare sia la quantità che la qualità del materiale … scavato, può revisionare i prezzi unitari della merce in relazione alle diverse dimensioni o fette di mercato della Cave San Bartolo”: “sono ravvisabili”, pertanto, “tutti i presupposti” (trattandosi di “operazioni imponibili … effettuate nello Stato” dalla M. che “svolge attività commerciale in modo professionale ed abituale”) “per l’applicazione dell’IVA”;

– “la M.” (“legale rappresentante … della Cave, … socia, … presidente del consiglio di amministrazione”; ” D.V. G.”, “marito”, “socio e amministratore delegato della società”;

“la famiglia M. – D.V. …possiede il 90% del capitale sociale della Cave San Bartolo”), “contrattando con la società … in realtà stipula negozi con se stessa, ovvero con l’amministratore delegato, suo marito, rivestendo contemporaneamente … la qualità di parte venditrice e legale rappresentante della società acquirente” per cui “viene a mancare … un risultato veramente sinallagmatico della trattativa contrattuale” (“con ovvi vantaggi in termini economici e fiscali per una sola delle parti”) essendo le “scelte gestionali” (“costi … a carico della Cave”) “condizionate dalla posizione preminente all’interno della società acquirente rivestita dalla venditrice”.

4. La società – assunto che “il fatto della causa … è stato descritto” nel ricorso “in modo tale che per molti ed essenziali versi non corrisponde anzi contrasta con la realtà” -, dopo una minuta esposizione delle ragioni di “inconsistenza giuridica del PVC e conseguente nullità e invalidità dei rilievi in esso contenuti”, oppone (per quanto rileva) quello che “si legge” nel “contratto concluso … il 30 giugno-8 luglio 1995″ tra essa e ” M.M. L.” (“dopo la premessa che esso va inteso, data la particolare natura delle cose che ne sono oggetto, come vendita di genere nel senso previsto dall’art. 1378 cod. civ.”):

– ” M.M.L. cede e vende alla Soc. Cave San Bartolo s.p.a., che acquista, tutto il materiale estraibile, lapideo e non lapideo, contenuto nel terreno di sua proprietà … della superficie di ha. 80.00.00 circa ecc. (art. 1)”;

– “l’art. 2 stabilisce”:

(a) “l’escavazione del materiale lapideo qui compravenduto avverrà totalmente a cura della Società acquirente, la quale utilizzerà all’uopo … il proprio complesso di macchinari che sono serviti e che servono tuttora per l’escavazione del materiale contenuto nel terreno confinante con quello oggetto del presente contratto”;

(b) “Pertanto, tutte le operazioni di escavazione, selezione, lavaggio e quant’altro fino al caricamento del materiale (di volta in volta consegnato)” (dalla società escavatrice ai propri clienti) “sull’autocarro, dopo che questo è stato portato sull’apparecchio di pesatura, avrà luogo a totale cura e spese della Società acquirente, che si avvarrà materialmente della propria organizzazione già in atto e del proprio personale dipendente”;

(c) “La venditrice si riserva di effettuare i controlli sulla qualità e quantità del materiale escavato a sua totale discrezione e senza alcun preavviso”;

– “l’art. 3 prevede i vari tipi di materiale che verranno scavati ed i prezzi unitari per quintale di ciascun tipo di materiale”;

– “l’art. 4 fissa il modo e i tempi di pagamento del materiale via via scavato (e contemporaneamente consegnato alla società escavatrice), risultante dalla pesa automatica ove transitano gli autocarri che escono dalla cava per la consegna del materiale dalla società escavatrice ai propri clienti”: “la suddetta pesatura è il primo momento in cui il detto materiale (la cui consegna è avvenuta franco giacimento), dall’inizio dello scavo, può essere quantificato”;

– “l’art. 7 prevede l’obbligo per la società acquirente di provvedere alla sistemazione ed al ripristino dell’area in cui ha avuto luogo l’escavazione secondo le disposizioni delle autorità competenti”;

– “l’art. 8 dispone che la società acquirente si impegna a spingere le escavazioni fino alla profondità che risulterà utile secondo le tecniche del settore purchè non in contrasto con le leggi vigenti”;

– “al termine dell’art. 11 sta scritto testualmente: sempre in riferimento agli aspetti fiscali dell’esecuzione del presente contratto e in particolare al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 51, le parti convengono che – come si desume dalle clausole sopratrascritte – le attività di sfruttamento della cava in oggetto vengono svolte esclusivamente dalla società acquirente per cui, nessuna attività di sfruttamento grava sulla venditrice, se non il controllo delle qualità e quantità vendute che la stessa si riserva di effettuare saltuariamente e con sua più ampia discrezione, come previsto all’art. 2 della presente scrittura”.

Per la società, inoltre:

– l’affermazione di controparte per la quale “secondo la scrittura privata, i costi di produzione e di acquisto dei materiali sono in carico alla Cave San Bartolo, mentre i corrispettivi per vendita materiali sono a favore della Ma.. E’ di palmare evidenza che il sinallagma sia sbilanciato in relazione ai costi che sono spostati solo verso la Cave ecc.” contiene “un’altra esposizione volutamente distorta della realtà” essendo “evidente che se è è una vendita di materiale lapideo franco-giacimento dalla M.M.L. ad essa Cave San Bartolo s.p.a. la prima consegue i ricavi (attraverso le ricevute mensilmente rilasciate alla compratrice) essendo il dante causa, la seconda in quanto avente causa ne paga il prezzo”;

– “la circostanza poi che quest’ultima si assuma anche costi ed oneri di escavazione è solo un fatto di quantum dappoichè ciò va ad incidere solo sul prezzo complessivo del materiale scavato dalla Cave San Bartolo s.p.a. e pronto per la rivendita ai propri clienti”: “in altri termini se il prezzo corrisposto dalla Cave San Bartolo s.p.a.

alla M.M.L. per tutto il materiale compravenduto franco giacimento” è di 100 e il costo totale di tutte le operazioni di escavazione ammonta a 10 il costo complessivo del materiale scavato pronto per la vendita dalla Cave San Bartolo s.p.a. ai propri clienti è ovviamente di 110″.

5. Il ricorso dell’Agenzia deve essere accolto.

A. Per l’art. 820 cod. civ. (“frutti naturali…”), invero, “sono frutti maturati quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere” (comma 1); “finchè non avviene la separazione”, poi (comma 2), “i frutti formano parte della cosa”, anche se “si può” (“tuttavia”) “disporre di essi come di cosa mobile futura”.

B. I “contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave”, come da tempo chiarito (Cass., 1^, 16 settembre 1995, n. 9785), “possono assumere configurazioni giuridiche diverse, a seconda dell’intenzione dei contraenti”; in essi, infatti, è ravvisabile:

(a) “una vendita immobiliare” a sua volta distinguibile (Cass., 2^, 15 aprile 1999 n. 3750) in “vendita immobiliare della cava nel suo complesso” ovvero “del solo sottosuolo interessato dal giacimento rimanendo il soprasuolo ed il restante sottosuolo in proprietà del venditore”), “quando il negozio abbia ad oggetto il giacimento nella sua complessiva stratificazione intesa in unità di superficie e di volume e ne sia previsto il completo trasferimento per un prezzo commisurato al volume dell’intera cava”;

(b) “una vendita mobiliare, se le parti abbiano invece considerato il prodotto dell’estrazione, ragguagliato a peso o a misura”;

(c) “un contratto riconducibile nello schema dell’affitto, quando l’intenzione dei contraenti sia invece finalizzata allo scopo di consentire il godimento (sfruttamento) temporaneo del bene secondo la sua destinazione (Cass. 9 luglio 1982, n. 4090; 7 novembre 1989, n. 4646)” (sull’inquadramento “nello schema dell’affitto” del contratto avente ad oggetto la “concessione dello sfruttamento di una cava” cfr., altresì, Cass., 3^, 16 novembre 2006 n. 24371 e 28 marzo 2001 n. 4503): “il legislatore”, infatti, come visto, “annovera espressamente i prodotti delle cave” (al pari di “quelli delle miniere e delle torbiere”) “trai frutti naturali (art. 820 c.c., comma 1) e considera quindi la cava (non diversamente dalla miniera e dalla torbiera) alla stregua di una cosa produttiva, la cui esistenza costituisce il necessario presupposto per la stipulazione di un contratto di affitto (art. 1615 c.c.)”.

C. L’art. 51 (poi 55, secondo la numerazione introdotta dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344) del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – dopo aver previsto (comma 1) che “sono redditi d’impresa quelli che derivano dati esercizio di imprese commerciati”, con l’ulteriore specificazione che “per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale, ancorchè non esclusiva, delle attività indicate nell’art. 2195 c.c., e delle attività indicate alle lettere b) e c) del comma 2 dell’art. 32 che eccedono i limiti ivi stabiliti, anche se non organizzate in forma d’impresa” -, tenuto conto della caratteristica dei beni, al secondo comma dispone che “sono inoltre considerati redditi d’impresa … b) i redditi derivanti dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”.

L’avverbio “inoltre” univocamente conferisce alla disposizione un valore aggiuntivo a (nonchè specificativo di) quella generale del primo comma per cui alla stessa può attribuirsi solo il senso di una qualificazione ex lege, quali “redditi d’impresa”, di tutti i “redditi” comunque “derivanti” (non già dall’alienazione e/o dalla compressione del diritto reale di proprietà ma solo) “dall’attività di sfruttamento di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”.

La correlazione tra la peculiarità della previsione – additiva, come tutte le ulteriori fattispecie considerate nelle lett. a) e c) del medesimo secondo comma, di quella generale del comma precedente – ed i principi in tema di “contratti di diritto privato aventi per oggetto lo sfruttamento di cave” richiamati al punto B, di questo stesso par. 5, impone, quindi, di considerare come “redditi d’impresa” tutti quelli ricavati dal proprietario della cava e degli altri beni (“miniere, … torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne”) indicati nella norma in conseguenza e per effetto dell'”attività di sfruttamento” (indipendentemente dal soggetto che materialmente esegua l’attività stessa) in tutte le ipotesi in cui non si trasferisce a terzi il diritto di proprietà della cava ovvero non si costituisce sulla stessa un diritto reale di godimento perchè solo tale interpretazione consente di attribuire un senso logico concreto alla previsione: non essendo, infatti, dubitabile che l'”attività di sfruttamento” della cava costituisca, per il soggetto che la svolge materialmente (nel caso la s.p.a. Cave San Bartolomeo), “esercizio di imprese commerciali” ex art. 2195 cod. civ. – e, quindi, che i redditi dalla stessa ricavati da tale soggetto rientrino nella previsione del primo comma della norma tributaria -, la disposizione del secondo comma non può che riguardare la qualificazione fiscale ex lega, anch’essa quale “redditi d’impresa”, della controprestazione contrattuale ricevuta dal proprietario della cava (la M.) per il trasferimento a terzi (non già del diritto di proprietà o del diritto reale di godimento sul bene ma) della sola “attività di sfruttamento” del bene fruttifero.

D. Con le sentenze 23 dicembre 2008 nn. 30055, 30056 e 30057 – i cui principi sono stati ribaditi in seguito anche da questa sezione nella decisione 9 dicembre 2009 n. 25726 -, di poi, le sezioni unite di questa Corte dichiaratamente aderendo “all’indirizzo di recente affermatosi nella giurisprudenza della sezione tributaria (…, da ultimo, Cass. 10257/08, 25374/08)” hanno confermato l'”esistenza”, nel vigente ordinamento fiscale, di un “generale principio antielusivo” la cui “fonte”, “in tema di tributi non armonizzali, quali le imposte dirette, va rinvenuta non nella giurisprudenza comunitaria quanto piuttosto negli stessi principi costituzionali che informano l’ordinamento tributario italiano” condivisibilmente osservando che “i principi di capacità contributiva … e di progressività dell’imposizione” di cui all’art. 53 Cost.

“costituiscono il fondamento sia delle norme impositive in senso stretto, sia di quelle che attribuiscono al contribuente vantaggi o benefici di qualsiasi genere, essendo anche tali ultime norme evidentemente finalizzate alla più piena attuazione di quei principi” per cui “non può non” (quindi deve) “ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”: “nè”, si è aggiunto, “siffatto principio può in alcun modo ritenersi contrastante con la riserva di legge in materia tributaria di cui all’art. 23 Cast., in quanto il riconoscimento di un generale divieto di abuso del diritto nell’ordinamento tributario non si traduce nella imposizione di ulteriori obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali”.

Nelle medesime decisioni, inoltre, si è precisato che “il tema relativo all’esistenza, validità e opponibilità all’amministrazione del negozio” da cui deriva, nella sostanza, la pretesa fiscale “è acquisito al processo per effetto dell’allegazione da parte del contribuente” e che da tanto discende la “sicura rilevabilità d’ufficio delle eventuali cause di invalidità o di inopponibilità all’amministrazione del contratto stesso” “sempre che, ovviamente, ciò non sia precluso, nella fase di impugnazione, dal giudicato interno eventualmente già formatosi sul punto o (nel giudizio di legittimità) dalla necessità di indagini di fatto”).

E. Dai principi innanzi richiamati discende l’irrilevanza del giudicato (invocato dalla società nella memoria depositata) che copre – per effetto delle ordinanze (pronunciate ai sensi dell’art. 375 c.p.c.) nn. 23206/08 (“avviso di rettifica per IRPEG e ILOR anno 1997”), 23368/08 (“avviso di rettifica per IVA 1997”) e 23368/08 (“avviso di rettifica per IRPEG e ILOR anno 1996″), tutte rese tra le medesime parti del presente giudizio, pubblicate da questa sezione il 9 settembre 2009, dichiarative dell'”inammissibilità” dei ricorsi dell’Agenzia – le statuizioni (nn. 54/09/06, 55/09/06 e 53/09/06) con le quali la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna (giusta quanto si legge nelle ordinanze dette) ha “qualifica(to) come contratto di vendita di genere di cui all’art. 1378 c.c., l’accordo intercorso tra la contribuente, società esercente l’attività di estrazione dal sottosuolo di materiali inerti, e … M.M. L., proprietario …, in base al quale la seconda cedeva alla prima tutto il materiale estraibile dalla sua proprietà”: quella qualificazione, infatti, non esclude in alcun modo nè la natura di “redditi di impresa”, ex art. 51 (ora art. 53) del T.U.I.R., del corrispettivo percepito dalla proprietaria della cava nè, soprattutto e comunque, la possibile natura elusiva (rilevabile d’ufficio perchè non coperta da nessun giudicato interno ostativo) della specifica operazione economica conclusa con l'”accordo intercorso” tra la società e la M., in ordine al quale l’Agenzia ha evidenziato che “secondo la scrittura privata” intervenuta tra dette parti private “i costi di produzione e di acquisto dei materiali sono in carico alla Cave …, mentre i corrispettivi per vendita materiali sono a favore della M.”, per cui “il sinallagma” risulterebbe “sbilanciato in relazione ai costi” in quanto “dalla scrittura privata si evince che, mentre i proventi delle vendite corrispondono ai costi di acquisto materiali, i costi di estrazione sono compensati da non dichiarati ricavi per cessioni di beni”.

Il giudicato invocato, peraltro, è improduttivo di effetti sulla presente controversia anche in base agli ordinari principi (da ribadire per carenza di qualsivoglia argomento contrario) secondo i quali:

(2) per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto (IVA) (“tributo armonizzato”), “il diritto comunitario osta all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come quella di cui all’art. 2909 c.c., tesa a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, allorchè l’applicazione di tale norma si ponga in contrasto col diritto comunitario (Cass. n. 26996/2007…)” (Cass., trib., 30 novembre 2009 n. 25200);

(2) “il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta”, di norma, “non è idoneo a far stato in periodi successivi od antecedenti in via generalizzata ed aspecifica” perchè (Cass., trito., 28 maggio 2008 n. 138 97) “il giudicato incentra la sua potenziale capacità espansiva in funzione regolamentare” solo “su quegli elementi che abbiano un valore condizionante inderogabile sulla disciplina degli altri elementi della fattispecie esaminata per cui la sentenza che risolva una situazione fattuale in uno specifico periodo di imposta non può estendere i suoi effetti automaticamente ad altro periodo se non vi sia un dato preliminare costante e comune che avvinca entrambe le annualità”: di conseguenza “l’accertamento negativo di un tributo non determina in favore del soggetto inciso l’acquisto di uno stato soggettivo (vuoi per non assoggettamento vuoi per esenzione) opponibile all’A.F. attraverso la tecnica del giudicato ove il presupposto di imposta o la situazione esente siano costituiti non già da una condizione personale dell’oblato ma”, come anche nella specie, “da una situazione obbiettiva connessa all’esercizio di una attività od al possesso di un bene”.

La “preclusione” nascente dal giudicato, infatti, suppone (Cass., trib., 30 luglio 2009 n. 17718) di necessità – “oltre”, ovviamente, “all’identità delle parti” – che “l’obbligazione tributaria presenti i medesimi elementi costitutivi e derivi dell’identico titolo mentre è insufficiente la circostanza che il giudicato riguardi un accertamento riferibile ad una questione di fatto comune ad entrambe le cause (vedi Cass. n. 5235/01)”.

F. I medesimi principi, quindi, mostrano l’erroneità della sentenza impugnata che, di conseguenza, deve essere cassata.

La causa, siccome bisognevole dei conferenti ulteriori accertamenti fattuali – non compiuti dal giudice del merito, essendosi questi limitato alla qualificazione del contratto intervenuto tra le parti private, senza però trarre nessuna conseguenza giuridica quanto alla idoneità delle intervenute pattuizioni ad escludere gli specifici obblighi fiscali indicati dall’Ufficio a carico di ciascuna di essa – va, di poi, rinviata a sezione diversa della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha pronunciato la decisione annullata affinchè la stessa:

(1) provveda a riesaminare l’appello dell’Ufficio facendo applicazione dei principi di diritto concernenti (a) la natura di “reddito d’impresa” ex lege del corrispettivo dell’attività di sfruttamento della cava percepito dal proprietario (salvo che in ipotesi di trasferimento del diritto di proprietà della cava o di costituzione di un diritto reale di godimento sulla stessa) e (b) la eventuale natura elusiva delle pattuizioni contrattuali se riscontrate prive, in effetti, di “ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di un … risparmio fiscale”, nonchè (2) provveda anche a regolare tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso del Ministero e compensa integralmente le spese del giudizio di legittimità tra lo stesso e la società; accoglie il ricorso dell’Agenzia; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 settembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2011

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