Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6858 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 11/03/2021), n.6858

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11242-2014 proposto da:

CACTUS SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CALABRIA 56, presso lo studio dell’avvocato CESARO VINCENZO MARIA,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CANTONE BRUNO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 431/2013 della COMM. TRIB. REG. della

Campania, depositata il 21/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/10/2020 dal Consigliere Dott. CASTORINA ROSARIA MARIA.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti dell’impresa edile Cactus s.r.l., in liquidazione un avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005 con il quale, rilevato un significativo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dall’applicazione del pertinente studio di settore, venivano recuperati a tassazione maggiori ricavi per Euro 205.085,50 ai fini Ires, Irap e Iva, irrogando le relative sanzioni.

La contribuente impugnava l’avviso e la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva parzialmente il ricorso riducendo del 50% i maggiori ricavi accertati.

Proposto appello da parte della contribuente, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, con sentenza n. 431/50/2013 depositata il 21.10.2013 lo rigettava sul presupposto della legittimità dell’accertamento tramite lo studio di settore e della inidoneità degli elementi forniti, non adeguatamente provati dalla contribuente a rendere plausibili i ricavi dichiarati.

Cactus s.r.l. in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza, affidando il suo mezzo a un motivo.

L’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con il motivo articolato in due distinte censure la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies- comma 3, degli artt. 2727 e 2729 c.c. nonchè omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la CTR aveva erroneamente ritenuto che l’accertamento induttivo operato con la sola ed esclusiva esistenza di studi di settore fosse legittimo, mentre non aveva valutato la puntuale documentazione fornita dalla quale si evinceva che nell’anno in contestazione i clienti erano stati per il 96% altre imprese e solo per il 4% privati.

La censura è in parte inammissibile e in parte infondata.

Nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati, quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, Cass. 12558 del 2010, Cass. n. 12428 del 2012, Cass. n. 23070 del 2012; Cass. n. 17787 del 2016; Cass. 9806 e 17289 del 2017; Cass. n. 18907 del 2018; Cass. n. 379 del 2019); – è stato, poi, ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis, del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993), nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente. (Cass. n. 16430/2011).

Questa Corte ha poi precisato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario, che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass., sez. un., n. 26635/2009; Cass. n. 379 del 2019).

Nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto legittimo l’accertamento tributario standardizzato emesso, D.P.R. n. 600 del 1973, ex artt. 39, comma 1, lett. d) e D.L. n. 331 del 1993, art. 62-sexies, sulla base degli studi di settore, all’esito di un contraddittorio, sviluppatosi in due incontri, al secondo del quale la contribuente non si era presentata, rilevando che la società si era limitata ad affermare, senza provarlo, che l’incremento di utile applicato fosse inesatto in quanto, nell’anno di imposta 2005 il 96% dei lavori erano stati eseguiti per altre imprese e solo il 4% per privati, onere ritenuto non assolto dal giudice di appello con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.

La censura è, inoltre, inammissibile nella parte in cui lamenta un difetto di motivazione.

Invero, il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza o contraddittorità legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), è configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati; in quest’ultimo caso, infatti, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non è necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass.Civ., 2272/2007).

Nella specie la CTR richiamando la giurisprudenza di questa Corte, ha ritenuto legittimo l’accertamento tributario standardizzato emesso sulla base degli studi di settore, all’esito del contraddittorio, rilevando che il contribuente si era limitato ad affermare, senza provarlo, che l’incremento di utile applicato era inesatto in quanto, nell’anno 2005 il 96% dei lavori erano stati eseguiti per altre imprese e solo il 4% per privati. La CTR ha inoltre rilevato che tale asserzione non era idonea a confutare gli esiti dell’accertamento che avevano evidenziato una incongruenza dei ricavi ed anomalie nei dati ricavati reiterate nel tempo, elementi che, complessivamente considerati inducevano a ritenere scarsamente plausibili i ricavi dichiarati dalla società.

La CTR ha dato, dunque, conto di avere esaminato gli elementi forniti ed ha effettuato una adeguata disamina della realtà fattuale, rendendo, così, possibile il controllo sulla logicità del ragionamento sviluppato per giungere alla rassegnata decisione.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Nulla sulle spese, in considerazione del fatto che l’intimata si è costituita al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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