Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6853 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2021, (ud. 15/10/2020, dep. 11/03/2021), n.6853

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 21140 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

C.A., nella qualità di socio accomandatario e legale

rappresentante della società AN. CAN. s.a.s. (già GE.CA. s.a.s.)

di C.A., elettivamente domiciliata in Roma, via

Montesanto, 52, nello studio dell’avv. Gioacchino Bifulco che la

rappresenta e difende in virtù di procura a margine del ricorso;

– Ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– controricorrente –

Avverso la sentenza n. 18/51/13 della Commissione tributaria

regionale della Campania depositata il 29.1.2013;

udita nella camera di consiglio del 15.10.2020 la relazione svolta

dal consigliere Vincenzo Galati.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 18/51/13 la Commissione tributaria regionale della Campania ha esposto, in punto di fatto, che il giudizio ha avuto riguardo all’opposizione avverso avviso di accertamento n. REF02T303005/2008 relativo all’anno di imposta 2003 per IVA ed IRAP a carico della ricorrente.

L’accertamento ha riguardato alcune fatture emesse dalla società FRA.MAR quale fornitrice della ditta; fatture risultate relative ad operazioni inesistenti sulla base di alcuni elementi indiziari (quali il loro oggetto – vendita di detersivi, mentre la fatturante operava nel settore dell’abbigliamento, il rinvenimento di una parte dei mezzi di pagamento) e dichiarativi provenienti dall’amministratore di fatto M.A. il quale aveva ammesso la fittizietà della fatturazione.

La CTR, respinta l’eccezione preliminare di nullità dell’atto di appello per vizio di forma, ha accolto l’impugnazione dell’Agenzia delle Entrate sostenendo che, a fronte del quadro indiziario offerto dall’Ufficio, nessuna prova positiva circa l’effettuazione delle operazioni fosse stata fornita dalla contribuente.

Ha richiamato il contenuto del verbale redatto dalla Guardia di Finanza in data 4.3.2008 con il quale era stata accertata la fittizietà delle fatturazioni effettuate in favore della GE.CA. s.a.s. sia dalla ditta C.P. che dalla FRA.MAR s.a.s..

In tale verbale assumevano contenuto particolarmente rilevante le dichiarazioni di M.A., di C.P. e dello stesso C.G., legale rappresentante della GE.CA..

La consegna delle merci fatturate non è stata ritenuta provata mediante la esibizione delle bolle e dei documenti di trasporto, così come non è stato dimostrato il nesso tra i pagamenti con assegni e le fatture.

Inoltre, è stato valorizzato quanto risultante in altro verbale nel quale M.A. era stato indicato come amministratore di fatto; verbale sottoscritto anche da M.F., legale rappresentante, che nulla aveva contestato rispetto all’indicazione della qualifica di fatto assegnata al fratello.

Infine, la CTR ha richiamato quanto stabilito dalla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, in punto di mancato riconoscimento della deduzione dei costi di fatture riconducibili ad attività qualificabile come reato.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente articolando quattro motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si eccepisce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, avendo omesso di pronunciare la CTR sull’eccezione preliminare sollevata in sede di costituzione nel giudizio di appello secondo cui l’Ufficio avrebbe implicitamente ammesso di non avere accertato se si verte in tema di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti.

Con il secondo motivo viene dedotto il vizio di violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 e dell’art. 2729 c.c..

La CTR avrebbe errato nel non considerare che dall’insieme delle norme indicate si ricava il principio secondo cui deve essere l’Amministrazione a dimostrare l’esistenza di elementi gravi precisi e concordanti in merito alla pretesa tributaria e solo a fronte di tale dimostrazione sorge, a carico del contribuente, l’onere di fornire la prova dell’esistenza delle operazioni contestate.

Dimostrazione che, nel caso di specie, sarebbe mancata.

Il terzo motivo riguarda la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, in relazione alla L. n. 212 del 2000, art. 6, in quanto la CTR ha valorizzato quanto dichiarato da M.A., (il cui ruolo in capo alla FRA.MAR. non è stato esplicitato) circa l’inesistenza delle operazioni poste in essere con la contribuente.

La Commissione ha assegnato rilievo alle dichiarazioni rese da soggetto privo di qualsiasi potere gestorio e non qualificabile come amministratore di fatto.

Con il quarto motivo la contribuente deduce che con sentenza del Tribunale penale di Napoli il socio accomandatario della GE.CA s.a.s., C.G., è stato assolto dai reati a lui ascritti nel verbale dal quale trae origine il procedimento “perchè il fatto non sussiste”.

Preliminarmente va rilevata d’ufficio la nullità dell’intero procedimento per violazione del litisconsorzio necessario sin dal primo grado.

Risale a Cass. sez. un., 19 febbraio 2008, n. 14815 l’affermazione del principio di diritto secondo cui “in materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali -, sicchè tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilità di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio”.

Il principio affermato trova giustificazione, nella prospettiva delle Sezioni unite, nella unicità della materia imponibile e del risultato dell’accertamento.

La Corte evoca la figura di un accertamento unitario conseguente alla configurabilità di un rapporto tributario sostanzialmente unico con pluralità di soggetti passivi, “che trova poi la sua corretta collocazione processuale nell’ambito dell’istituto del litisconsorzio necessario originario”.

Da ciò l’esigenza di assicurare l’economia dei giudizi, il rispetto del diritto al contraddittorio e l’eliminazione del rischio di giudicati contrastanti) con il rimedio della riunione dei procedimenti, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 29 (per la Cassazione art. 274 c.p.c.) che riguarda qualsiasi forma di connessione.

Pertanto si afferma l’obbligatorietà della riunione dei ricorsi, salva la possibilità dell’integrazione del contraddittorio, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 14, nei confronti di soggetti che non hanno proposto il ricorso.

In presenza di una ipotesi di litisconsorzio originario, occorre: a) disporre la riunione (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 29) se tutte le parti hanno proposto ricorso autonomamente, altrimenti la riunione va disposta davanti al giudice preventivamente adito; b) se uno o più parti non hanno ricevuto la notifica dell’accertamento o non lo abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l’integrazione del contraddittorio con la loro chiamata in causa in un termine stabilito a pena di decadenza.

La nullità del giudizio celebrato in assenza dei predetti principi è nullo per violazione dell’art. 101 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. con conseguente rilevabilità in ogni stato e grado anche d’ufficio.

L’assimilazione dell’IRAP (oggetto del presente giudizio unitamente all’IVA) all’ILOR e, dunque, ai fini che si stanno esaminando, è stata affermata da Cass. sez. un., 22 maggio 2012, n. 10145: “l’IRAP è imposta assimilabile all’ILOR, in quanto essa ha carattere reale, non è deducibile dalle imposte sui redditi ed è proporzionale, potendosi, altresì, trarrè profili comuni alle due imposte dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1 e art. 44. Ne consegue che, essendo l’IRAP imputata per trasparenza ai soci, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5, sussiste il litisconsorzio necessario dei soci medesimi nel giudizio di accertamento dell’IRAP dovuta dalla società”.

E’ proprio la circostanza che l’accertamento ha ad oggetto l’IRAP (oltre all’IVA) che determina la necessità di osservare le regole processuali sul litisconsorzio necessario.

Cass. sez. 5, 19 maggio 2010, n. 12236 ha affermato il principio secondo cui “l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso di impugnazione, la necessità del “simultaneus processus” nei confronti dei soci e, quindi, un litisconsorzio necessario, mancando un meccanismo analogo a quello previsto dal combinato disposto di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 40, comma 2, e del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5, di unicità di accertamento ed automatica imputazione dei redditi della società ai soci in proporzione alla partecipazione agli utili, con connessa comunanza di base imponibile tra i tributi a carico della società e dei soci. Tuttavia, qualora l’Agenzia abbia contestualmente proceduto, con unico atto, ad accertamenti ILOR ed IVA a carico di una società di persone, fondati su elementi in parte comuni, seppur non coincidenti, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA, ove non suscettibile di autonoma definizione in funzione di aspetti ad esso specifici, non si sottrae al vincolo necessario di “simultaneus processus”, attesa l’inscindibilità delle due situazioni”.

Conformi, sia in materia di ILOR che di IRAP, le successive Cass. sez. 5, 20 maggio 2011, n. 11240, Cass. sez. 6 – 5, 5 febbraio 2015, n. 2094, Cass. sez. 5, 21 ottobre 2015, n. 21340, Cass. sez. 5, 30 dicembre 2015, n. 26071.

Più di recente, il principio è stato ribadito da Cass. sez. 5, 14 marzo 2018, n. 6303 con la quale è stato deciso che “l’accertamento di maggior imponibile IVA a carico di una società di persone, se autonomamente operato, non determina, in caso d’impugnazione, la necessità d’integrare il contraddittorio nei confronti dei soci, salvo che l’Ufficio abbia contestualmente proceduto, con un unico atto, ad accertamenti ai fini anche di altre imposte (nella specie, IRAP), fondati su elementi comuni, atteso che, in detta ipotesi, il profilo dell’accertamento impugnato concernente l’imponibile IVA non si sottrae al vincolo necessario del “simultaneus processus” per l’inscindibilità delle due situazioni, in quanto insuscettibile di autonoma definizione.”

Analogamente Cass. sez. 6-5, 25 giugno 2018, n. 16730 ha stabilito che “in tema di contenzioso tributario, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi della società di persone e di quelle dei singoli soci comporta, in linea di principio, la configurabilità di un litisconsorzio necessario, con il conseguente obbligo per il giudice, investito dal ricorso proposto da uno soltanto dei soggetti interessati, di procedere all’integrazione del contraddittorio, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, pena la nullità assoluta del giudizio stesso, rilevabile – anche d’ufficio – in ogni stato e grado del processo”.

Nel caso di specie si è verificato che il giudizio si è svolto davanti ai giudici di merito senza la presenza processuale dei soci la cui partecipazione al giudizio era necessaria vertendosi in tema di accertamento IVA ed IRAP a carico di società di persone.

Non risultando avere promosso alcun giudizio i soci della società di persone, non può trovare applicazione, ovviamente, il “temperamento” alla declaratoria di nullità derivante dalla possibile riunione dei diversi giudizi (anche in sede di legittimità) sulla scorta di quanto deciso da Cass. sez. 5. 18.11.2009, n. 3830, sia pure subordinatamente alla ricorrenza dei presupposti da essa indicati.

Da quanto esposto discende la declaratoria di nullità dell’intero giudizio con rimessione alla Commissione tributaria provinciale di Napoli per l’integrazione del contraddittorio.

La natura della decisione e lo sviluppo del processo giustificano la compensazione integrale delle spese.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, dichiara la nullità dell’intero giudizio, cassa la sentenza impugnata e rimette il giudizio dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli in diversa composizione compensando le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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