Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6853 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6853 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
DE SANCTIS Alessandro, elettivamente domiciliato in Roma, via Ascrea
n. 18, presso l’avv. Gaetano Dell’Acqua, che lo rappresenta e difende giusta
delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del ,Lazio n.
371/01/08, depositata il 24 settembre 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’i ottobre
2015 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

Data pubblicazione: 08/04/2016

uditi l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per la ricorrente e l’avv.
Gaetano Dell’Acqua per il eontroricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sergio Del
Core, il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in

n. 17731 del 2007, è stato accolto l’appello di Alessandro De Sanctis e
dichiarati illegittimi gli avvisi di accertamento emessi nei suoi confronti per
IVA relativa agli anni 1994 e 1995, ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del
1972, sulla base di p.v.c. della Guardia di finanza nel quale era stato rilevato
che il contribuente, in occasione di numerose aste presso la sala d’aste
pegno della Banca di Roma, aveva acquistato oggetti preziosi per un
importo complessivo di circa £. 700.000.000, poi rivenduti, con conseguente
contestazione di svolgimento di attività abituale d’impresa, ex art. 4 del
citato d.P.R. n. 633 del 1972, i cui ricavi erano quindi soggetti ad IVA.
Il giudice d’appello ha ritenuto che le operazioni di acquisto di oggetti
preziosi erano complessivamente avvenute nell’arco di nove mesi e quindi
per un periodo di tempo assai limitato, con la conseguenza che l’ipotizzata
attività di commercio non era stata esercitata in modo abituale e
continuativo, né, peraltro, l’Ufficio aveva individuato alcun elemento a
dimostrazione di una sia pur minima organizzazione di mezzi e persone
necessaria per la gestione e la vendita di un così consistente quantitativo di
merce. Il giudice a quo ha aggiunto che non era giustificata neanche la
mancata detrazione, da parte dell’Ufficio, dell’IVA sugli acquisti, in base
all’art. 55 del detto d.P.R. n. 633/72.
2. Il De Sanctis resiste con controricorso.
Considerato in diritto
1.1. Con il primo motivo, l’Agenzia denuncia la violazione degli artt. 1,
4 e 53 del d.P.R. n. 633 del 1972: formula il quesito se “sono da considerare
effettuate nell’esercizio di impresa commerciale — nel senso tributaristico di
tale nozione — e dunque imponibili le operazioni effettuate anche senza
l’ausilio di una struttura organizzativa purché l’attività commerciale venga
svolta in maniera abituale e professionale con ciò intendendosi escludere
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epigrafe, con la quale, in sede di rinvio a seguito di sentenza di questa Corte

unicamente gli atti isolati, ben potendo un progetto protratto per un tempo
ragionevole, ancorché finalizzato, eventualmente, al compimento di
un’unica operazione speculativa, integrare attività d’impresa e, dunque, se
nel caso di specie, in cui il contribuente aveva acquistato all’asta nell’arco di
circa 9 mesi, partecipando a circa 70 sedute, preziosi per il valore di
710.000.000 successivamente non rinvenuti presso l’abitazione del
contribuente e comunque da questi, a suo dire, rivenduti, configuri

1.2. 11 motivo è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la nozione
tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella
civilistica, in quanto l’art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, in
tema di IVA – così come l’analogo art. 51, comma 1, del TUlR (vecchia
numerazione, ora art. 55) -, intende come tale “l’esercizio per professione
abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività indicate dall’art. 2195 cod.
civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal
requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e
imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti
civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla
professionalità abituale, anche se non esclusiva (Cass. n. 20433 del 2011; in
tema di imposte sui redditi, Cass. nn. 17013 e 17894 del 2002, 27211 del
2006, 19237 del 2012).
Quanto alla normativa comunitaria, la nozione di “soggetto passivo”
viene definita in relazione a quella di “attività economica”, la quale, a norma
dell’art. 4, paragrafo 2, della sesta direttiva del Consiglio 17 maggio 1977,
n. 77/388/CEE, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia, comprende ogni operazione che comporti lo sfruttamento di un
bene materiale o immateriale per ricavarne introiti aventi “un certo carattere
di stabilità” (Cass. n. 25777 del 2014).
L’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa,
più semplicemente, come esercizio dell’attività in via abituale, cioè non
meramente occasionale. Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri
di stabilità e regolarità e che si protragga per un apprezzabile periodo di
tempo, pur se non necessariamente con rigorosa continuità.
Tali requisiti non sono, pertanto, ravvisabili nel caso di atti isolati di
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un’attività rilevante ai fini dell’imposizione IVA”.

produzione o commercio, anche se non può escludersi la qualità di
imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile
rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia
richiesto una pluralità di operazioni (in tal senso, con specifico riguardo
all’IVA, cfr. Cass. nn. 1987 del 1984; 3690 del 1986; 2021, 3406 e 4407 del
1996; 10430 del 2001; 9776 del 2003).
1.3. Nella fattispecie, costituiscono circostanze di fatto accertate dal

partecipazione del contribuente a decine di aste nell’arco di numerosi mesi
(nove, secondo la sentenza); l’acquisto in dette aste di oggetti preziosi dati
in pegno di valore complessivo elevato, pari ad alcune centinaia di milioni
di lire, anche se singolarmente di valore non pregiato; la successiva vendita
dei beni (ad acquirente non identificato), in tempi relativamente brevi (al
massimo un anno, un anno e mezzo).
Alla stregua dei principi sopra enunciati, deve ritenersi che il descritto
comportamento del contribuente possegga indubbiamente i requisiti per
essere qualificato come esercizio di impresa commerciale.
Per giungere a tale conclusione è sufficiente rilevare: la regolarità e
sistematicità delle operazioni di acquisto dei beni, in un arco temporale di
durata tutt’altro che trascurabile; l’elevato numero dei lotti e il valore
complessivo molto rilevante dell’investimento; la rivendita totale dei beni.
Tutto ciò rappresenta non già Io svolgimento di un atto di commercio
meramente occasionale e isolato, bensì l’esercizio di una attività
commerciale stabile, complessa e articolata, la cui configurabilità non può
certo escludersi quand’anche (come sembra) la rivendita degli oggetti sia
stata effettuata in unico contesto, circostanza irrilevante in quanto la vendita
“in blocco”, oltre a poter essere stata frutto di mera casualità, non è
comunque idonea, in ragione della complessità dell’attività e della
molteplicità delle operazioni a monte, a ridurre la fattispecie ad atto isolato
di commercio, improntando tali caratteristiche la natura dell’intera vicenda.
2. La seconda censura, attinente a vizio di motivazione in ordine alla
sussistenza dei requisiti dell’attività commerciale, è assorbito.
3. Con il terzo motivo, è denunciata la violazione degli arti. 23, 27, 33 e
55 del d.P.R. n. 633 del 1972. Si chiede “se nel caso di accertamento
induttivo ai sensi dell’art. 55 del DPR 633/72 del volume d’affari ai fini
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giudice di merito e comunque non specificamente contestate: la

IVA la detraibilità dell’IVA eventualmente assolta sugli acquisti è
subordinata alla annotazione delle fatture negli appositi registri e, dunque, in
assenza di tali adempimenti, non sia possibile la detrazione”.
Il motivo è fondato.
In tema di IVA, infatti, ed ai fini della determinazione dell’imponibile in
via induttiva, nel caso di mancata presentazione della dichiarazione annuale,
l’art. 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, consente di computare in

le imposte, detraibili ai sensi dell’art. 19 del d.P.R. cit., che risultino dalle
dichiarazioni mensili e trimestrali, di modo che, in difetto, resta irrilevante
che il pagamento di tali imposte sia evincibile da altra documentazione,
inclusa la contabilità d’impresa (da ult., Cass. n. 1422 del 2015; cfr., già,
Cass. nn. 8265 del 1991, 8602 del 1996, 6134 del 2009).
4. In conclusione, vanno accolti il primo e il terzo motivo, assorbito il
secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari
ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto
del ricorso introduttivo del contribuente.
5. Le spese dell’intero giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il terzo motivo di ricorso, assorbito il
secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il
ricorso introduttivo del contribuente.
Condanna il soccombente alle spese processuali, che liquida, per il primo
grado, in €. 400,00, per il secondo grado in €. 500,00 e, per il presente
giudizio di cassazione, in €. 5000,00, oltre, per ciascun grado, alle spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma 1’1 ottobre 2015.

detrazione (oltre ai versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente) solo

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