Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6852 del 16/03/2017


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Cassazione civile, sez. II, 16/03/2017, (ud. 07/02/2017, dep.16/03/2017),  n. 6852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25973-2013 proposto da:

B.G.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TOMMASO SALVINI 55, presso lo studio dell’avvocato CARLO

D’ERRICO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GAVINO SPIGA;

– ricorrente –

contro

B.A.M. C.F. (OMISSIS), B.M.M.

C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo

studio dell’avvocato GILDO URSINI, rappresentati e difesi

dall’avvocato ALBERTO GENNARI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2113/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 03/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2017 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI;

udito l’Avvocato D’Errico Carlo difensore del ricorrente che si

riporta al ricorso e ai suoi tre motivi;

udito l’avv. Sideli Patrizia con delega depositata in udienza

dell’avv. Gennari Alberto difensore dei controricorrenti che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine, il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – La Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza del locale Tribunale con cui sono state rigettate le domande proposte da B.M.G. nei confronti della nipote B.M.M. e del fratello B.M.A. (padre di M.), con le quali l’attore aveva chiesto accertarsi la simulazione assoluta del contratto di compravendita col quale il di lui defunto padre Bo.Me.An. aveva venduto a B.M.M. alcuni immobili siti in (OMISSIS), disporsi la reintegrazione nella sua quota di legittima e condannarsi i convenuti al risarcimento dei danni.

2. – Per la cassazione della sentenza di appello ricorre B.M.G. sulla base di tre motivi.

Resistono con controricorso B.M.A. e B.M.M..

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per non avere la Corte di Appello ritenuto che il defunto padre An., dopo la stipulazione dell’apparente vendita, avesse donato in contanti al figlio A. il denaro incassato quale prezzo degli immobili venduti. Si deduce che l’esistenza di una donazione era deducibile dai fatti di causa, considerato che il defunto padre non poteva avere riutilizzato l’importo pagato (Lire 340.000.000) nel giro di un mese e che la nipote M. non aveva la disponibilità economica necessaria per compiere l’acquisto, avendo invece utilizzato denaro fornitole dal padre. Secondo il ricorrente, la Corte di Appello di Venezia avrebbe errato nel considerare non provata la donazione ad A. del bene, nonostante le prove richieste ed i documenti depositati.

Il motivo è inammissibile.

Invero, quanto al denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, il motivo non indica le disposizioni di legge che sarebbero state violate, risultando così inammissibile (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, n. 635 del 15/01/2015); quanto poi al denunciato vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la censura si risolve in una critica all’accertamento del fatto compiuto dai giudici di merito, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità quando – come nella specie – la motivazione della sentenza impugnata (p. 22) non è apparente nè manifestamente illogica (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014); considerato, altresì, che nei confronti della sentenza impugnata non è deducibile ratione temporis il vizio della motivazione, essendo invece applicabile il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, introdotto dal D.L. n. 134 del 2012.

2. – Col secondo motivo, si deduce poi la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello negato l’ordine di esibizione dei documenti bancari, richiesto dall’attore ai sensi dell’art. 210 c.p.c., sul presupposto l’istanza di esibizione avesse carattere meramente esplorativo, nonostante che i documenti di cui si chiedeva l’esibizione fossero essenziali per provare i fatti posti a fondamento della domanda.

Il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.

Per un verso, il motivo risulta non autosufficiente, in quanto il ricorrente non trascrive la formula con la quale fu avanzata istanza di esibizione, non consentendo così alla Corte di esercitare l’invocato sindacato; per altro verso, la censura involge una valutazione di merito circa la utilità e conducenza della prova richiesta, che è riservata al giudici di merito e che è insindacabile in cassazione ove – come nel caso di specie – sia motivata in modo non manifestamente illogico.

3. – Col terzo motivo, si deduce infine la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 c.p.c., n. 3), nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata (ex art. 360 c.p.c., n. 5), per avere la Corte di Appello escluso che il defunto padre, prima della morte, avesse inteso donare i suoi beni al solo figlio A., come – a dire del ricorrente – risulterebbe dagli elementi di prova acquisiti.

Anche questa censura è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, critica – nella sostanza – la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui essi sono pervenuti in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie -deve però escludersi.

Le Sezioni Unite di questa Corte, sul punto, hanno avuto occasione di precisare che “Nel quadro del principio, espresso nell’art. 116 c.p.c., di libera valutazione delle prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, sia pure per implicito, agli elementi utilizzati” (Sez. U, n. 898 del 14/12/1999, Rv. 532153). Hanno ancora precisato che la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento. Non sussiste, invece, tale vizio ove vi sia esclusivamente difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente in ordine agli elementi delibati, non essendo possibile una revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito al fine di ottenere una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. U, n. 24148 del 25 ottobre 2013).

Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di argomenti, le ragioni della loro decisione (p. 22 ss.); non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono illogiche; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del ricorrente sul punto.

Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.

E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Sez. 3, n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

5. – Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 (tremilacinquecento) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile, il 7 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2017

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