Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6852 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 6852 Anno 2016
Presidente: DI AMATO SERGIO
Relatore: VIRGILIO BIAGIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso
l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente contro
DE SANCTIS Alessandro, elettivamente domiciliato in Roma, via Ascrea
n. 18, presso l’avv. Claudia Jacopucci, rappresentato e difeso dall’avv.
Cristina Maria Minciotti, giusta delega in atti;

– controricorrente avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio n.
289/36/07, depositata il 14 febbraio 2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’i ottobre
2015 dal Relatore Cons. Biagio Virgilio;

Data pubblicazione: 08/04/2016

udito l’avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri per la ricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Sergio Del
Core, il quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Ritenuto in fatto
1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio indicata in
epigrafe, con la quale, rigettando l’appello dell’Ufficio, è stata confermata

Alessandro De Sanctis, per IRPEF degli anni 1994 e 1995, ai sensi dell’art.
41 del d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di p.v.c. della Guardia di finanza
nel quale era stato rilevato che il contribuente, in occasione di numerose aste
presso la sala d’aste pegno della Banca di Roma, aveva acquistato oggetti
preziosi per un importo complessivo di circa £. 700.000.000, poi rivenduti
ad un unico acquirente, con conseguente contestazione di svolgimento di
attività commerciale abituale, ai sensi dell’art. 51 del d.P.R. n. 917 del 1986,
produttiva di reddito d’impresa non dichiarato.

Il giudice d’appello ha ritenuto che la partecipazione alle aste
limitatamente ad un periodo di soli undici mesi deponesse per la tesi contraria a quella dell’Ufficio – secondo cui tale attività era consistita nella
“tesaurizzazione”, mediante investimento in beni rifugio, di disponibilità
pervenute al contribuente, mentre nessun elemento lasciava supporre
l’esistenza di un commercio abituale dei detti beni preziosi (che poi il De
Sanctis — come da lui stesso riferito alla Guardia di finanza – aveva ceduto
ad un acquirente di nazionalità estera, essendosi reso conto del carattere non
redditizio dell’investimento). Ha aggiunto che l’accertamento dell’Ufficio si
fondava su una serie di presunzioni prive dei caratteri di gravità, precisione
e concordanza.
2. 11 De Sanctis resiste con controricorso.

Considerato in diritto
1. E’ eccepita la tardività del ricorso, anche in considerazione del fatto
che l’anno 2008 era bisestile.
L’eccezione va disattesa.
Per i termini mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di
decadenza dall’impugnazione ex art. 327 cod. proc. civ., si osserva, a norma
degli artt. 155, secondo comma, cod. proc. civ. e 2963, quarto comma, cod.
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l’illegittimità degli avvisi di accertamento emessi nei confronti di

civ., il sistema della computazione civile, non

ex numero bensì ex

nominatione dierum, nel senso che il termine scade, indipendentemente
dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare
del giorno corrispondente a quello del mese iniziale (Cass. nn. 11491 del
2012, 22699 del 2013, 17313 del 2015): ne consegue l’irrilevanza del fatto
che in tale periodo sia compreso il mese di febbraio di un anno bisestile
(nella specie, il 2008) (Cass., sez. un., n. 1547 del 1989, Cass. n. 25591 del

sospensione feriale dei termini, al termine di decadenza di cui al citato art.
327, primo comma, cod. proc. civ. devono aggiungersi 46 giorni computati
ex numeratione dierum, ai sensi del combinato disposto dell’art. 155, primo
comma, stesso codice e dell’art. 1, primo comma, della legge 7 ottobre 1969,
n. 742 (Cass. nn. 11491 del 2012 e 22699 del 2013 citt.).
Pertanto, nella fattispecie, essendo avvenuto il deposito della sentenza il
14 febbraio 2008, il ricorso è stato tempestivamente consegnato all’ufficiale
giudiziario 1’1 aprile 2009, ultimo giorno utile.
2.1. Con il primo motivo, l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 51
del d.P.R. n. 917 del 1986 e dell’art. 2729 cod. civ.: formula il quesito se
“costituisca attività abituale di natura commerciale, ex art. 51 dpr n. 917/86,
la partecipazione periodica da parte del contribuente a circa 70 aste nell’arco
di meno di due anni, conclusesi con l’acquisto di numerosi oggetti preziosi,
rivenduti immediatamente ad un asserito acquirente di nazionalità araba, di
cui ilcontribuente non ricordi le generalità, considerato inoltre che
l’acquisto dei beni e la loro rivendita a terzi escludono l’utilizzo personale”.
2.2. Il motivo è fondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la nozione
tributaristica dell’esercizio di imprese commerciali non coincide con quella
civilistica, giacché l’art. 51, comma 1, del TUIR (vecchia numerazione, ora
art. 55) – così come l’analogo art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 633 del
1972, in tema di IVA – intende come tale “l’esercizio per professione
abituale, ancorché non esclusiva”, delle attività indicate dall’art. 2195 cod.
civ., anche se non organizzate in forma di impresa, e prescinde quindi dal
requisito organizzativo, che costituisce invece elemento qualificante e
imprescindibile per la configurazione dell’impresa commerciale agli effetti
civilistici, esigendo soltanto che l’attività svolta sia caratterizzata dalla
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2010); quando, poi, il termine di decadenza interferisca con il periodo di

professionalità abituale, anche se non esclusiva (Cass. nn. 17013 e 17894
del 2002, 27211 del 2006, 19237 del 2012; in tema di IVA, da ult., Cass. n.
20443 del 2011).
L’espressione “esercizio per professione abituale” dell’attività va intesa,
più semplicemente – anche in raffronto alla disposizione dell’art. 81 (ora
67), comma 1, lettera i, del TUIR, che qualifica come redditi diversi quelli
“derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente” -, come

Occorre, cioè, che l’attività sia svolta con caratteri di stabilità e regolarità e
che si protragga per un apprezzabile periodo di tempo, pur se non
necessariamente con rigorosa continuità.
Tali requisiti non sono, pertanto, ravvisabili nel caso di atti isolati di
produzione o commercio, anche se non può escludersi la qualità di
imprenditore in colui il quale compia un unico affare, di non trascurabile
rilevanza economica, a seguito dello svolgimento di un’attività che abbia
richiesto una pluralità di operazioni (in tal senso, con specifico riguardo
all’IVA ma con portata certamente valevole anche per le imposte sui redditi,
in ragione — come detto sopra — della sostanziale identità della formula
legislativa, cfr. Cass. nn. 1987 del 1984; 3690 del 1986; 2021, 3406 e 4407
del 1996; 10430 del 2001; 9776 del 2003).
2.3. Nella fattispecie, costituiscono circostanze di fatto accertate dal
giudice di merito e comunque non specificamente contestate: la
partecipazione del contribuente a decine di aste nell’arco di numerosi mesi
(undici, secondo la sentenza); l’acquisto in dette aste di oggetti preziosi dati
in pegno di valore complessivo elevato, pari ad alcune centinaia di milioni
di lire, anche se singolarmente di valore modesto (lo stesso contribuente
riferisce trattarsi di oggetti “per lo più fallati”); la successiva vendita in
blocco dei beni (ad acquirente non identificato), in tempi relativamente
brevi (al massimo un anno, un anno e mezzo).
Alla stregua dei principi sopra enunciati, deve ritenersi che il descritto
comportamento del contribuente possegga indubbiamente i requisiti per
essere qualificato come esercizio di impresa commerciale.
Per giungere a tale conclusione è sufficiente rilevare: la regolarità e
sistematicità delle operazioni di acquisto dei beni, in un arco temporale di
durata tutt’altro che trascurabile; l’elevato numero dei lotti e il valore
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esercizio dell’attività in via abituale, cioè non meramente occasionale.

MENTE DA REGISTRAZIONt
Al SENSI DEL D.P.R.2/4/19M
N. 131 TAB. ALL.
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complessivo molto rilevante dell’investimento (contrapposto allo scarso M.ATERIA TRIBUTALA
pregio dei singoli oggetti); la rivendita totale dei beni.
Tutto ciò rappresenta non già Io svolgimento di un atto di commercio
meramente occasionale e isolato, bensì l’esercizio di una attività
commerciale stabile, complessa e articolata, la cui configurabilità non può
certo escludersi quand’anche (come sembra) la rivendita degli oggetti sia
stata effettuata in unico contesto, circostanza irrilevante in quanto la vendita

comunque idonea, in ragione della complessità dell’attività e della
molteplicità delle operazioni a monte, a ridurre la fattispecie ad atto isolato
di commercio, improntando tali caratteristiche la natura dell’intera vicenda.
3. Restano assorbiti il secondo e il terzo motivo, l’uno relativo a
questione subordinata a quella di cui al primo motivo e l’altro a vizio di
motivazione sulla sussistenza dei requisiti dell’attività commerciale.
4. Va, pertanto, accolto il primo motivo, assorbiti i restanti, la sentenza
impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, con il rigetto del ricorso
introduttivo del contribuente.
5. Le spese dell’intero giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in
dispositivo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il
terzo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso
introduttivo del contribuente.
Condanna il soccombente alle spese processuali, che liquida, per il primo
grado, in €. 400,00, per il secondo grado in C. 500,00 e, per il presente
giudizio di cassazione, in €. 5000,00, oltre, per ciascun grado, alle spese
prenotate a debito.
Così deciso in Roma l’ l ottobre 2015.

“in blocco”, oltre a poter essere stata frutto di mera casualità, non è

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