Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6849 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. I, 24/03/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 24/03/2011), n.6849

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.L. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso l’avvocato

NAPOLITANI SIMONA e SPINOSO ANTONINO, rappresentato e difeso

dall’avvocato LAGANA’ DEMETRIO, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO DELLA C.M.E. CAMPANIA CENTRO MATERIALE ELETTRICO S.R.L.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3227/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/02/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito il P.M., in persona del Sostituto procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso L. Fall., ex art. 98 depositato il 4-8-2000, B. L. proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento della s.r.l. C.M.E. Campania esponendo: a) che con istanza ex art. 93, comma 1, n. 1 aveva chiesto l’ammissione al passivo del fallimento della predetta società, in via privilegiata, per l’importo di L. 349.452.232, comprensivo di IVA e contributo previdenziale, oltre rivalutazione e interessi; b) che tale somma gli era dovuta dalla società fallita a seguito di contratto di prestazione d’opera professionale stipulato con scrittura privata del 5-1-98, in forza del quale l’istante aveva proceduto ad espletare la procedura di arbitrato contrattuale azionata dalla s.r.l. C.M.E. Campania contro la Milano Assicurazioni, che aveva garantito, anche contro i danni da incendio, i beni di proprietà della società fallita con apposito contratto assicurativo; c) che con la detta scrittura del 5-1-98 il compenso era stato pattuito nella misura del 10% del valore di liquidazione del sinistro; d) che l’istanza era stata respinta dal G.D. Tanto premesso, chiedeva l’ammissione del suo credito al passivo fallimentare.

La Curatela non si costituiva e veniva dichiarata contumace.

Con sentenza del 9/30-4-2003, il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda, ammettendo il ricorrente al passivo fallimentare: a) in via privilegiata ex art. 2751 bis c.c., n. 2, per l’importo di Euro 41.316,55 e per gli interessi legali maturati sulla stessa somma dal 18-8-98 alla data della vendita mobiliare; b) in via privilegiata ex art. 2758 c.c., comma 2, per l’importo dell’IVA sulla somma di Euro 41.3 16,55; e) in chirografo per l’importo di Euro 5.164,57 e per gli interessi legali sulla stessa somma dal 18-8-98 alla data della dichiarazione di fallimento; d) in chirografo per l’ammontare del contributo da versare alla cassa nazionale assistenza e previdenza.

Il B. proponeva appello avverso tale sentenza, deducendone, in primo luogo, l’erroneità nella parte in cui aveva ritenuto inopponibile al Fallimento la scrittura privata del 5-1-98 e, in particolare, la pattuizione in essa contenuta in ordine all’ammontare del compenso spettante al mandatario, fissata nella misura del 10% del valore massimo del complessivo danno a determinarsi dal Collegio dei periti (nella specie L. 3.360.117.629). L’appellante insisteva, pertanto, per l’ammissione al passivo in via privilegiata del residuo importo di Euro 139.60,47, comprensivo del contributo previdenziale, oltre IVA, interessi legali e rivalutazione monetaria secondo indici ISTAT. Il B., inoltre, censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva ammesso parte del credito in via chirografaria. Sosteneva, infatti, che l’intero suo credito era assistito da doppio privilegio, quello generale del professionista di cui all’art. 2751 bis c.c., comma 2 e quello del mandatario di cui all’art. 2778 c.c., n. 13. In particolare, l’appellante faceva presente che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, anche il contributo da versare alla Cassa Nazionale Assistenza e Previdenza era assistito da privilegio di grado pari a quello del credito per le prestazioni professionali e , quindi, dal privilegio generale sui mobili di cui all’art. 2751 bis c.c.. Inoltre, insisteva per il riconoscimento della rivalutazione monetaria del suo credito, negato dai primi giudici. Infine, censurava la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato non ripetibili le spese e competenze di lite.

La Curatela rimaneva contumace.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza 3227/04, accoglieva l’appello solo limitatamente al regime delle spese, confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Avverso detta decisione ricorre per cassazione il B. sulla base di tre motivi cui non resiste il fallimento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo articolato motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto priva di data certa la scrittura privata del 5.1.98 con cui la società poi fallita gli aveva conferito l’incarico professionale, salvo poi accertare in base ad altra documentazione in atti l’effettivo espletamento dell’incarico conclusosi con una transazione, senza però ritenere applicabile all’incarico espletato la regolamentazione prevista dalla scrittura privata in particolare in relazione al compenso. Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’assunto del ricorrente secondo cui il curatore non sarebbe nel caso di specie in posizione di terzietà per cui il documento sarebbe stato a lui opponibile e, comunque, non avendo egli in sede di verifica del passivo nè successivamente contestato il credito, lo stesso doveva essere ammesso al passivo, non potendo il giudice delegato in assenza di eccezione del curatore,sollevare d’ufficio la questione della mancanza della prova certa. Tali censure sono infondate.

Questa Corte ha costantemente affermato che in sede di formazione dello stato passivo del fallimento il curatore agisce in qualità di terzo, sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’insinuazione al passivo, sia rispetto allo stesso fallito. Tale principio comporta come corollario l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704 cod. civ. e la necessità, quindi, della certezza della data nelle scritture allegate come prova del credito. (Cass. 9539/00; Cass. 24320/07). Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente chiarito che la contumacia del curatore fallimentare non assume alcun significato probatorio in favore della domanda dell’attore, ma può concorrere, insieme ad altri elementi, a formare il convincimento del giudice, in quanto, di per sè sola considerata, essa non introduce deroghe al principio generale di cui all’art. 2697 cod. civ.. Ne consegue che nel giudizio di opposizione allo stato passivo fallimentare, l’anteriorità del credito di cui si chiede l’ammissione al passivo, costituendo elemento costitutivo del diritto di partecipare al concorso e, quindi, alla distribuzione dell’attivo, va provata dal creditore istante, nè forma oggetto di eccezione in senso stretto riservata alla sola iniziativa di parte (curatore o creditori concorrenti). (Cass. 21251/10; Cass. 7739/07).

Con il motivo in esame il ricorrente contesta poi, che, una volta accertata in base ad altra documentazione in atti (processo verbale di liquidazione in arbitrato contrattuale e successiva transazione stipulata dal curatore) l’anteriorità del conferimento dell’incarico, la Corte d’appello abbia poi disatteso le clausole contrattuali, e, in particolare, quella relativa al compenso previsto nella scrittura privata del 5.1.98. La doglianza è infondata e per certi versi inammissibile. Va preliminarmente rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che in sede di accertamento dello stato passivo, ai fini della decisione circa l’opponibilità al fallimento di un credito documentato con scrittura privata non di data certa, mediante la quale voglia darsi la prova del momento in cui il negozio è stato concluso, il giudice di merito, ove sia dedotto uno fatto diverso da quelli tipizzati nell’art. 2704 cod. civ. (registrazione, morte o sopravvenuta impossibilità fisica di uno dei sottoscrittori, riproduzione in un atto pubblico), ha il compito di valutarne caso per caso la sussistenza e l’idoneità a stabilire la certezza della data del documento, con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere altresì sottratto alla sua disponibilità. (Cass. 4646/97; Cass. 22430/09). Nel caso di specie la Corte d’appello si è attenuta a tale criterio. Essa ha accertato che la scrittura privata del 5.1.98 non aveva data certa ed ha, altresì, accertato che in atti non vi erano documenti o prove atte, ai sensi dell’art. 2704 c.c., comma 1, a comprovare l’anteriorità della scrittura privata rispetto al fallimento. In aggiunta ha peraltro constatato , in base a ulteriore documentazione, che comunque l’incarico era stato conferito ed espletato in data anteriore al fallimento deducendosi ciò, in assenza di specifica contestazione da parte del curatore, per “facta concludentia” dall’avvenuto svolgimento dello stesso.

Conseguentemente ha liquidato il compenso al ricorrente, ma ha ritenuto che non potesse ritenersi provato che il conferimento dell’incarico fosse avvenuto in virtù della scrittura privata del 5.1.98, priva data certa, ritenendo implicitamente che lo stesso fosse stato comunque conferito con diverso atto ovvero verbalmente.

Trattasi di valutazione in fatto che non appare sindacabile in questa sede di legittimità non avendo oltretutto il ricorrente dedotto e documentato resistenza di possibili collegamenti tra la documentazione relativa all’arbitrato contrattuale e la conseguente transazione, a un lato, e il conferimento dell’incarico con la scrittura privata del 5.1.98, dall’altro, nèavendo censurato in modo esplicito la motivazione della sentenza nella parte in cui ha affermato che non vi erano in atti elementi diversi da quelli indicati dall’art. 2704 c.c. idonei a comprovare l’anteriorità della scrittura privata al fallimento e che tale prova non poteva desumersi neppure dagli ulteriori documenti prodotti, risultando gli stessi a loro volta privi di data certa. Quanto poi alla determinazione del compenso, il ricorrente deduce che lo stesso doveva determinarsi ai sensi dell’art. 1709 c.c. in base a quanto concordato dalle parti.

Tale censura è manifestamente infondata perchè avendo il giudice di merito escluso l’applicabilità della scrittura privata del 5.1.98 contenente la regolamentazione pattizia del compenso e non essendo applicabili al ricorrente, come dallo stesso confermato nel ricorso, le tariffe professionali e gli usi, ha correttamente fatto applicazione dell’art. 2233 c.c. che stabilisce che proprio in questi casi il compenso è determinato dal giudice in relazione all’importanza dell’opera ed al decoro della professione.

Il motivo va quindi respinto.

Con il secondo motivo di ricorso il B. censura la sentenza impugnata laddove non ha attribuito il privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2 riconosciuto al proprio credito professionale anche alle spese sopportate per lo svolgimento dell’incarico ed al contributo da versare alla Cassa nazionale assistenza e previdenza. Si duole (inoltre del mancato riconoscimento del privilegio anche ai sensi dell’art. 2778 c.c., n. 13 in ragione della sua qualità di mandatario. La doglianza relativa al mancato privilegio per le spese è infondata. Dal privilegio attribuibile al compenso spettante al professionista per l’opera professionale prestata sono, infatti, escluse le spese anticipate da professionista, dato che il relativo credito non è riconducibile alla nozione di “retribuzione dei professionisti” di cui alla art. 2751 bis c.c., n. 2, comma 1″, e quindi è sfornito di qualsiasi privilegio. (Cass. 92/99: Cass. 9763/95; Cass. 3319/73).

Infondata risulta anche la pretesa di attribuire il privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2, anche al credito per il rimborso del contributo integrativo versato alla cassa di previdenza degli avvocati e procuratori. A tale proposito non v’è che da richiamare quanto già statuito da questa Corte con la sentenza n. 3715 del 1992, con la quale è stato precisato come tali crediti, al pari di quelli per rivalsa di I.V.A.. hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, giacchè essi non costituiscono semplici accessori di quest’ultimo, ma conservano rispetto ad esso una loro ben distinta individualità. (Cass. 9763/95, Cass. 3715/92). Quanto al mancato riconoscimento del privilegio de mandatario va preliminarmente rilevato che, come già osservato dalla Corte d’appello il privilegio fatto valere è quello di cui all’art. 2761 c.c. essendo erroneo il riferimento all’art. 2778 c.c., n. 13 che riguarda solo l’ordine tra diversi privilegi. Ciò posto la doglianza è fondata.

La Corte d’appello ha infatti escluso il privilegio rilevando che, trattandosi di privilegio su cose del mandante che il mandatario ha detenuto per l’esecuzione de mandato, il ricorrente non aveva tornito alcuna prova circa l’esistenza presso di sè di dette cose.

La decisione è errata alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha più volte chiarito che ,essendo il privilegio accordato dalla legge in considerazione della causa del credito, la quale soltanto costituisce l’elemento essenziale che lo caratterizza, l’eventuale mancanza dei beni oggetto di privilegio speciale è irrilevante nella fase ricognitiva del privilegio stesso, non incidendo nè sulla causa del credito nè sulla qualificazione della prelazione, ma rileva unicamente nella fase attuativa, come impedimento di fatto all’esercizio del privilegio stesso; sicchè la verifica dell’esistenza del bene oggetto del privilegio non è questione da risolvere in fase di accertamento del passivo, ma, attenendo all’ambito dell’accertamento dei limiti di esercitabilità della prelazione, è demandata alla fase del riparto. (Cass. 16060/01 sez. un; Cass. 16070/04; Cass. 7074/04; Cass. 20550/05). Con il terzo motivo il ricorrente si duole del mancato riconoscimento della rivalutazione monetaria. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha respinto tale domanda rilevando che il B. non aveva fornito alcuna prova di maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.

Tale motivazione è del tutto corretta alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha costantemente affermato che nel caso di ritardato pagamento dei compensi dovuti per prestazioni professionali è configurarle il diritto del professionista, oltre che agli interessi legali, anche alla rivalutazione monetaria, soltanto ove vengano allegati e dimostrati elementi di fatto dai quali si possa desumere un orientamento all’impiego di capitali tale da assicurare al creditore rendimenti superiori a quelli derivanti dalla percezione di interessi al tasso legale. Tale onere probatorio non può ritenersi assolto dalla mera dimostrazione di un determinato “status” professionale o sociale, non corredata da elementi atti ad evidenziare le relative propensioni economiche, atteso che solo queste ultime possono indicare la categoria di appartenenza del creditore medesimo e, quindi, giustificare presunzioni circa l’impiego del denaro dovutogli ove tempestivamente riscosso; nè è sostenibile l’equiparazione del credito del professionista a quello dell’imprenditore, nei cui confronti può essere applicata fa presunzione dell’investimento delle somme percette nelle materie prime e nei macchinari necessari allo svolgimento dell’attività produttiva, e neppure a quello dei modesti consumatori, l’intero reddito dei quali è utilizzato per sopperire alle esigenze del quotidiano. (Cass. 1063/05; Cass. 16132/05).

Con il quarto motivo contesta la compensazione della metà delle spese di giudizio.

Il motivo resta assorbito poichè, in conseguenza del sia pur parziale accoglimento del ricorso, le spese dell’intero giudizio vanno interamente riliquidate da questa Corte.

In conclusione, il ricorso va accolto nei termini di cui in motivazione. La sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e, sussistendo le condizioni di cui all’art. 384 c.p.c. la causa può essere decisa nel merito con il riconoscimento del privilegio ex art. 2761 c.c. al credito ammesso al passivo del fallimento. Le spese sono regolate come da dispositivo.

PQM

Accoglie il secondo motivo di ricorso limitatamente al riconoscimento del privilegio ex art. 2761 c.c., rigetta le restanti censure del secondo motivo , rigetta altresì il primo ed il terzo motivo, assorbito il quarto, cassa in parte qua la sentenza impugnata e Recidendo nel merito, riconosce al credito ammesso al passivo il privilegio ex art. 2761 c.c.; compensa le spese del presente giudizio e conferma la liquidazione delle spese dei due giudizi di merito effettuata dalla Corte d’appello.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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