Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6844 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 6844 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 23404-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo
studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2014

contro

92

NESTA LAURA C.F.

NSTLRA70L57L117N,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA 195, presso lo
studio

dell’avvocato

VACIRCA

SERGIO,

che

la

Data pubblicazione: 24/03/2014

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI
CLAUDIO, giusta delega in atti;
– contrari corrente –

avverso la sentenza n. 7437/2007 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 05/06/2008 R.G.N. 8386/2006;

udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega FIORILLO
LUIGI;
udito l Avvocato VACIRCA SERGIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SEPE, che ha concluso per
C

il rigetto‘t) in subordine i Vaccoglimento per guanto di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza pubblicata il 5 giugno 2008 la Corte d’appello di Roma, in
riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 21 ottobre 2005, ha
dichiarato la nullità dei contratti a termine intercorsi tra Nesta Laura e
Poste Italiane s.p.a. e per l’effetto la sussistenza tra le parti di due rapporti
dal 21 maggio 2002 al 30 giugno 2002, ed ha dichiarato la prosecuzione
giuridica del rapporto dopo il 30 giugno 2002 condannando la società a
risarcire il danno al lavoratore nella misura pari alle retribuzioni spettanti
dalla messa in ora del 5 luglio 2004 sino alla scadenza del terzo anno
successivo alla scadenza del contratto a termine. La Corte territoriale ha
considerato, con riferimento al primo dei contratti a termine intercorsi tra le
parti, che esso è stato stipulato oltre la scadenza del termine finale di
vigenza dell’accordo aziendale del 16 gennaio 1998, da considerare ultima
fonte normativa che, nel periodo considerato, ha previsto la deroga al
generale principio del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. La Corte
territoriale ha inoltre considerato che il successivo CCNL dell’ 11 gennaio
2001, che pure ha previsto analoga possibilità di apposizione di termine al
contratto di lavoro, non tossa ritenersi meramente ricognitivo ma sia
innovativo e conseguentemente applicabile solo per il futuro. In ordine al
secondo contratto a termine stipulato tra le parti ai sensi dell’art. 1 comma
1 del d.lgs. 368 del 2001, il giudice dell’appello ha considerato che la
formulazione del contratto a termine non soddisfa le condizioni previste
dalla legge interpretata in conformità anche delle direttive comunitarie in
materia. In particolare la previsione normativa in materia deve essere
interpretata nel senso che occorre un riferimento specifico delle particolari
esigenze previste dalla norma al caso concreto per il quale è stato stipulato
il contratto in questione; nel caso in esame non sono state provate le
specifiche circostanze previste dalla legge per il ricorso all’apposizione del

di lavoro a tempo indeterminato dal 3 maggio 1999 al 31 maggio 1999 e

termine. In ordine al risarcimento del danno è stato considerato equo
stabilirlo in tre anni di retribuzione a decorrere alla messa in mora.
Poste Italiane propone appello avverso tale sentenza affidato a nove motivi.
Resiste la Nesta con controricorso.

Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1
e 2 della legge n. 230 del 1962, nonché dell’art. 23 della legge n. 56 del
1987 ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si deduce che la sentenza
impugnata avrebbe erroneamente affermato che il potere consentito
dall’art. 8 del CCNL di categoria, con i relativi accordi integrativi, in
attuazione dell’art. 23 della legge 56 del 1987, di ricorrere ai contratti a
tempo determinato, sarebbe soggetto a limiti temporali.
Con il secondo motivo si assume violazione e falsa applicazione dell’art.
23 della legge 56 del 1987, dell’art. 8 CCNL 26 novembre 1994, nonché
degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, del 16 gennaio 1998, del 27
aprile 1998, del 2 luglio 1998, del 24 maggio 1999 e del 18 gennaio 2001
in connessione con gli artt. 1362 e seguenti cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod.
proc. civ. In particolare si assume che da tutta la normativa contrattuale
citata si evincerebbe la precisa volontà delle parti di non prevedere limiti
temporali alla possibilità di ricorso ai contratti a termine.
Con il terzo motivo si lamenta omessa ed insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento al ragionamento del giudice dell’appello relativo
all’asserito limite temporale alla previsione della possibilità di ricorso ai
contratti a termine.
Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1
comma 1 d.lgs. 368 del 2001, dell’art. 4 comma 2 del d.lgs. 368 del 2001, o

MOTIVI DELLA DECISIONE

dell’art. 12 delle preleggi, degli artt. 1362 e seguenti cod. civ. e degli artt.
1325 e seguenti cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. assumendosi che
nal sussisterebbe alcun limite all’autonomia contrattuale in materia nella
previsione dei casi in cui è possibile ricorrere ai contratti a termine, e nel
contratto in questione sarebbero sufficientemente indicate le ragioni
termine stesso, secondo gli accordi sindacali espressamente richiamati.
Con il quinto motivo si deduce omessa ed insufficiente motivazione circa
un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento alla idoneità della presenza di più ragioni fra di esse
non incompatibili, in seno al contratto, a costituire elemento sufficiente
delle esigenze sottese al contratto stesso.
Con il sesto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 4
comma 2 d.lgs. 368 del 2001, dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115, 116,
244, 253 e 421 comma 2 cod. proc. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In
particolare si deduce che il legislatore con il citato d.lgs. 368,
contrariamente a quanto previsto dalla legge 230 del 1962, avrebbe posto a
carico del datore di lavoro l’onere probatorio riferito solo alla proroga del
contratto a termine e non anche alla sua stipula.
Con il settimo motivo si denuncia omessa ed insufficiente motivazione in
ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio con riferimento alla
rilevanza dei capitoli di prova dedotti da Poste Italiane e non ammessi.
Con l’ottavo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5
d.lgs. 368 del 2001, dell’art. 12 disposizioni della legge in generale, degli
artt. 1362 e 1419 cod. civ. ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. In particolare si
assume che erroneamente sarebbe stata fatta conseguire all’illegittimità del
termine, la conseguenza della conversione del rapporto a tempo

3

tecniche ed organizzative della società che hanno indotto al contratto a

indeterminato non prevista dalla legge a differenza di quanto previsto
dall’art. 1 comma 1 della legge n. 230 del 1962.
Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 cod. civ. ex art. 360, n. 3
cod. proc. civ. assumendosi che le retribuzioni possono essere riconosciute
principio della corrispettività delle prestazioni.
I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente riferendosi tutti al
limite temporale di validità della previsione contrattuale relativa alla
possibilità del ricorso al contratto a termine. Osserva il Collegio che la
Corte di merito ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il
primo dei contratti a termine per cui è giudizio é stato stipulato, per
esigenze eccezionali ai sensi dell’art. 8 del CCNL del 1994, come integrato
dall’accordo aziendale 25 settembre 1997, in data successiva al 30 aprile
1998 (e anteriormente alla operatività del CCNL del 2001), in epoca cioè
in cui “era venuta meno la contrattazione autorizzatoria”. Tale
considerazione, in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da
questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al CCNL
del 2001 ed al d.lgs. n. 368 del 2001), è sufficiente a sostenere l’impugnata
decisione, in relazione alla nullità del termine apposto al contratto de u
t o.
Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588, è stato precisato
che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23 della legge n. 56
del 1987, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a
quelli previsti dalla legge n. 230 del 1962, discende dall’intento del
legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle
necessità del mercato del lavoro idonea garanzìa per i lavoratori ed efficace
salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione
della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli
impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di

al lavoratore solo dal momento dell’effettive ripresa del servizio per il

individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze
aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei
lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
tempo determinato” (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063, Cass. 20 aprile 2006
risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle
previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della
disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa
delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto
2006 n. 18378). In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite
temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi
integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità
della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto
2006 n. 18383, Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n.
2866). In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente
affermato e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine
di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,
integrativo dell’art. 8 del CCNL 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in
corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998. Ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con l’ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo

n. 9245, Cass. 7 marzo 2005 n. 4862, Cass. 26 luglio 2004 n. 14011). “Ne

indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra
le altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 gennaio 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062; Cass. 27 marzo 2008 n. 7979, Cass.
18378/2006 cit.). Tanto basta per respingere i motivi di ricorso in esame
relativi tutti al limite temporale a cui sono subordinate le assunzioni a

termine apposto al contratto de quo.
Il quarto, il quinto ed il sesto motivo, che si riferiscono al secondo dei
contratti in questione, rimangono assorbiti.
Il settimo motivo riferito alla mancata ammissione di mezzi istruttori, è
parimente infondato. Questa Corte ha ripetutamente affermato (da ultimo
Cass. 8 febbraio 2012 n. 1754) che il mancato esercizio, da parte del
giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la
documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può
essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti
istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cod. proc. civ., salvo che
le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente
incongruo o contraddittorio.
L’ottavo motivo è pure infondato. L’omessa indicazione nell’art. 1 d.lgs. citato
della sanzione della conversione del contratto non è certo sufficienza ad evitare

termini delle Poste Italiane, così confermandosi la declaratoria di nullità del

le conseguenza della nullità del termine. Va infatti considerato che la sanzione
dell’inefficacia del termine è prevista dal medesimo art. 1, per cui, logicamente,
una volta dichiarata l’inefficacia del termine il contratto di lavoro non perde per
intero la sua efficacia, ma solo il suo termine finale e si converte
conseguentemente in contratto a tempo indeterminato, né la norma stessa,
ragionando a contrario, prevede la conseguenza della nullità dell’intero
contratto.

lt,

Il nono motivo è inammissibile per l’inidoneità dei quesiti di diritto formulati
ex art. 366 bis. cod. proc. civ. I quesiti recitano: “Per il principio di
corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento
giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al

salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli arti 1206 e segg.
cod. civ. la quale non è concretata dalla domanda di declaratoria della nullità del
termine apposto al contratto e di reintegrazione del posto di lavoro articolata in
seno al ricorso introduttivo del giudizio”. “In ipotesi di accertamento della
nullità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro e di riconoscimento, a
titolo risarcitorio, delle retribuzioni maturate, in applicazione delle previsioni di
cui all’art. 1218 e ss. c.c. e degli artt. 2043 e ss. c.c., devono detrarsi i ricavi
percepiti o percepibili facendo uso della ordinaria diligenza (rientrando detti
ultimi tra le ipotesi di danno riconducibile a fatto e colpa del soggetto che si
assume danneggiato) dal lavoratore (sul quale grava conseguentemente l’onere
di provare di aver posto in essere ogni attività utile ad eliminare o limitare il
danno) che sarebbero stati incompatibili con la prosecuzione della prestazione
lavorativa. Tali quesiti, oltre che in gran parte inconferenti rispetto al motivo (che
comprende anche l’eventuale aliunde perceptum), risultano del tutto generici e
astratti, mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente
commesso dai giudici nel caso concreto esaminato (in tal senso, sullo stesso
quesito, cfr. Cass. n.ri 329, 330 e 331 tutte del 10-1-2011).
Così risultato inammissibile il nono motivo, riguardante le conseguenze
economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche

pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio,

modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 60 e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183, in vigore dal 24
novembre 2010.
Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di

legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una
nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in
qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in
ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli
specifici motivi di ricorso

(cfr.

Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004

n. 4070).
In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche
indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere
sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le
altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).
Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese di giudizio liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali liquidate in

100,00 per esborsi ed E 3.500,00 per

compensi professionali oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma il 9 gennaio 2014.

principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di

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