Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6842 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 6842 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 9296-2010 proposto da:
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI (già
MINISTERO DEI TRASPORTI),in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia, in
ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –

2013
3764

contro

PIU COSIMO, PORRETTI AMBRA, LATINA CARMELA, PROIETTI
AUGUSTA, SALVI PAOLA, CASTELLANETA ANTONIO, FIA
PATRIZIA, IACOBONTE ANNA MARIA;

Data pubblicazione: 24/03/2014

- intimati –

avverso la sentenza n. 5477/2009 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 14/01/2010 R.G.N. 656/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso per
accoglimento del ricorso.

MAROTTA;

R. Gen. N. 9296/2010
Udienza 18/12/2013
Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasporti c/ Piu Cosimo + 7

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato in data 10 novembre 2006 Cosimo Piu, Ambra
Porretti, Carmela Latina, Augusta Proietti, Paola Salvi, Antonio Castellaneta, Patrizia
Fia, Anna Maria Iacobonte, dipendenti del Ministero delle infrastrutture e

della marina mercantile a seguito dell’accorpamento realizzato dal d.lgs. n. 300 del
1999, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’Amministrazione dei
Trasporti al fine di ottenere pagamento delle differenze retributive sulla indennità di
amministrazione dagli stessi percepita rispetto a quella, di maggiore importo,
percepita dal personale proveniente dall’ex Direzione generale della Motorizzazione
civile a partire dal 26/3/2001. I predetti chiedevano anche l’accertamento della
parziale illegittimità dell’art. 22 del c.c.n.l. per gli anni 2002-2005 e dell’art. 33 del
previgente c.c.n.l. di comparto nella parte in cui avevano disposto uguali incrementi
dell’indennità di amministrazione a tutto il personale del Ministero, così
perpetuandosi la predetta disparità di trattamento dei ricorrenti rispetto al personale
proveniente dall’ex Direzione generale della Motorizzazione civile, con la
conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento delle differenze
retributive. Il Tribunale accoglieva la domanda e la decisione era confermata dalla
Corte di appello di Roma. Riteneva la Corte territoriale che, anche alla luce del
principio di parità di trattamento fissato nel pubblico impiego dall’art. 45, comma 2,
del d.lgs. n. 165/2001, i lavoratori avessero diritto a percepire l’indennità di
amministrazione in misura pari a quella percepita dai colleghi in pari grado e
funzioni.

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dei trasporti, provenienti dal ruolo dell’ex Ministero del trasporti e dell’ex Ministero

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Ministero delle Infrastrutture e
dei Trasoorti c/ Piu Cosimo + 7

Avverso tale sentenza il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ricorre per
cassazione con due motivi.
I lavoratori intimati sono rimasti tali.
MOTIVI DELLA DECISIONE

applicazione dell’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 nonché dell’art. 4 del d.lgs. n.
300/1999 in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.”. Si duole del fatto che la
Corte territoriale abbia respinto l’impugnazione del Ministero ritenendo che le
disposizioni di cui all’art. 33 del c.c.n.l. 1998-2001 e 22 del c.c.n.l. 2002-2005 si
ponessero in contrasto con quanto statuito dall’art. 45 del d.lgs. n. 29/1993 come
modificato dall’art. 45 d.lgs. n. 165/2001, in quanto dette disposizioni, nel prevedere
un graduale allineamento della complessiva retribuzione, non avevano
nell’immediato realizzato una assoluta parità di trattamento per i lavoratori. Rileva,
al contrario, che la scelta delle parti contrattuali si colloca razionalmente nel quadro
delle riforme ministeriali e che il principio di parità di trattamento vincola
l’amministrazione ma non l’autonomia contrattuale.
2. Con il secondo motivo il Ministero ricorrente denuncia: “Violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, nonché degli artt. 1322, 1418 e
1419 cod. civ., in combinato con l’art. 45 del d.lgs. n. 165/2001 in relazione all’art.
360, n. 3, cod. proc. civ.”. Si duole della pronuncia della Corte territoriale nella parte
in cui ha ritenuto che dalla dichiarata nullità delle disposizioni pattizie per violazione
del principio di parità di trattamento debba conseguire il riconoscimento del diritto
dei lavoratori interessati alle differenze retributive correlate all’allineamento verso
l’altro della retribuzione di tutti i dipendenti e non invece la perdita di efficacia della

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1. Con il primo motivo il Ministero ricorrente denuncia: “Violazione e falsa

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norma contrattuale (anche) nei confronti dei lavoratori “discriminati” in bonam

partem.
3. Il primo motivo è fondato (con assorbimento del secondo) alla luce
dell’orientamento di questa Corte espresso dalle decisioni n. 4962 del 28 marzo

2013, n. 22375 del 30 settembre 2013.
4. Al fine di una migliore comprensione delle questioni poste dalla presente
controversia e in particolare dal motivo in esame, è opportuno qualche cenno
preliminare circa le vicende di scomposizione e ricomposizione delle strutture
ministeriali che hanno coinvolto gli attuali resistenti e circa la disciplina
dell’indennità di amministrazione.
La legge 28 dicembre 1993, n. 537, art. 1, ha soppresso il Ministero dei
trasporti e il Ministero della marina mercantile (comma 8) ed ha istituito il Ministero
dei trasporti e della navigazione, con trasferimento allo stesso delle funzioni, degli
uffici e del personale dei ministeri soppressi (comma 9). Successivamente il d.lgs. 30
luglio 1999, n. 300, art. 41, ha istituito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti,
determinandone le funzioni e assegnando allo stesso, tra l’altro, le funzioni e i
compiti del Ministero dei lavori pubblici e di quello dei trasporti e della navigazione,
con le inerenti risorse. Il d.P.R. 26 marzo 2001, n. 177, art. 9, regolamento di
organizzazione del nuovo ministero (poi abrogato dal d.P.R. 2 luglio 2004, n. 184,
art. 15), ha istituito il ruolo unico del personale non dirigenziale del medesimo
ministero, disponendo la confluenza nello stesso di tutto il personale dei ministeri
soppressi (con le eccezioni ivi previste). Ha poi previsto che, con le modalità di cui al
d.lgs. n. 29 del 1993, art. 45 (cioè in sede di contrattazione collettiva), “è avviata la

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2012, n. 4971 del 28 marzo 2012, n. 9385 del 17 aprile 2013, n. 17212 dell’ l l luglio

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omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al personale
confluito nel Ministero dai Ministeri soppressi” (comma 5). Peraltro le travagliate
vicende di dette amministrazioni hanno visto una loro nuova scissione nel Ministero
delle infrastrutture e nel Ministero dei trasporti (D.L. 18 maggio 2006, n. 181,

Legge Finanziaria 24 dicembre 2007, n. 244, nel Ministero delle infrastrutture e dei
trasporti.
Tanto premesso va chiarito, ai fini della individuazione della disciplina
giuridica applicabile alla vicenda oggetto del giudizio, che rispetto alla stessa non
risulta applicabile il principio, operante con riferimento alle ordinarie vicende di
transito (c.d. mobilità) di lavoratori da un’amministrazione ad un’altra sia in via
individuale che collettiva, dell’applicabilità del trattamento economico e normativo
vigente presso l’amministrazione di destinazione, salva l’eventuale applicabilità di
regole o principi su forme di conservazione di pregressi trattamenti di maggior
favore (cfr. Cass., sez. un., 10 novembre 2010, n. 22800 e 12 gennaio 2011, n. 503 e
le sentenze della sezione lavoro ivi richiamate). Nel caso in esame, infatti, a seguito
della indicata confluenza presso i Ministeri di nuova istituzione di diversi gruppi di
lavoratori fruenti di indennità di amministrazione di importo diverso, non è risultata
individuabile una disciplina della medesima indennità che potesse ritenersi tipica,
normale e generale dei nuovi Ministeri (e per tale ragione non costituisce un
precedente puntuale, alla stregua della sua motivazione, Cass. 2 marzo 2011, n. 5097,
la cui decisione è basata sul presupposto che, pacificamente, presso
l’amministrazione di destinazione le misure dell’indennità di amministrazione
fossero precisamente determinate).

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convertito dalla legge 13 luglio 2006, n. 233) e una ulteriore fusione ad opera della

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Nell’ambito della ricognizione delle varie voci della retribuzione del personale
ministeriale, ai fini della precisazione non solo del loro importo ma anche della loro
rilevanza legale e contrattuale, operata dal c.c.n.l. del comparto ministeri per il
quadriennio 1993-1997 (sottoscritto conclusivamente il 16/5/1995) ed effettuata

amministrazione” (così denominata, evidentemente, in quanto di importo diverso
ministero per ministero) di cui era rilevata la corresponsione, di norma, nelle
medesime situazioni in cui veniva erogato lo stipendio tabellare (Allegato B).
Successivamente l’importo di tale indennità venne aumentato, amministrazione
per amministrazione, dal 1 luglio 1997 con il c.c.n.l. economico per il biennio 19961997 (art. 3 e tab. B). In questa occasione fu previsto lo stesso aumento per il
Ministero dei trasporti, sia direzione generale aviazione civile che direzione generale
della motorizzazione civile, mentre per il Ministero dei trasporti marina mercantile
(così come per altre amministrazioni ministeriali) fu previsto un aumento maggiore
rispetto a tutte le altre amministrazioni. Ciò evidentemente avvenne per fini
perequativi e tanto è confermato dal fatto che il c.c.n.l. per il quadriennio 1998-2001,
nel prevedere gli aumenti dell’indennità di amministrazione negli importi di cui alla
tabella G, ha appunto sottolineato lo “scopo di favorire il processo di perequazione
delle retribuzioni complessivamente spettanti al personale del comparto” (art. 33). In
tale occasione, come non è in contestazione, furono previsti aumenti omogenei per i
dipendenti del “Ministero dei trasporti-marina mercantile” (cioè senza distinzioni di
settori), peraltro superiori (insieme a quelli di molti altri ministeri) alle misure
previste per altre amministrazioni. Analoga finalità è stata, poi, espressa in occasione
degli aumenti previsti dal c.c.n.l. per il quadriennio 2002-2005 (art. 22) e gli stessi

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secondo i criteri indicati dall’art. 34, venne menzionata la “indennità di

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(modesti) aumenti risultano riconosciuti in favore di tutto il personale del nuovo
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (è impiegata la dizione “ex Ministero
Trasporti Motorizzazione/Marina mercantile/Civilavia”), salvo che per i dipendenti
provenienti dal Ministero dei lavori pubblici, per cui è previsto un aumento

Infine l’art. 31 del c.c.n.l. per il quadriennio 2006-2009, firmato in data
14/9/2007, al dichiarato scopo di “eliminare differenze tra le indennità corrisposte al
personale in servizio presso la medesima Amministrazione” ha previsto che con
decorrenza dal 31/12/2007 al personale del Ministero dei trasporti già dipendente
dell’ex Ministero della marina mercantile ed

ex Aviazione civile compete

l’indennità nella misura spettante al restante personale (e che, per le medesime
finalità al personale del Ministero delle infrastrutture già dipendente del Ministero
dei lavori pubblici l’indennità sarebbe stata corrisposta nelle misure spettanti al
personale dell’ex Motorizzazione civile – misure che, evidentemente, sono quelle
stesse estese al restante personale del Ministero dei trasporti e in particolare ai
dipendenti nella posizione degli attuali intimati).
È poi necessario richiamare gli orientamenti della giurisprudenza di questa
Corte riguardo al rapporto tra la contrattazione collettiva del lavoro alle dipendenze
delle pubbliche amministrazioni e principio di parità di trattamento di cui al d.lgs. n.
165 del 2001, art. 45 (il cui comma 2 recita: “Le amministrazioni, pubbliche
garantiscono ai propri dipendenti di cui all’art. 2, comma 2, parità di trattamento
contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi
contratti collettivi”). In realtà tale giurisprudenza risulta ferma nell’affermare, come
recentemente riassuntivamente rilevato, sulla base di puntuali richiami, che “il

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modicamente superiore (tabelle C e D).

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principio di parità di trattamento nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico, sancito
dal cit. art. 45, vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a
quelli previsti dal contratto collettivo, ma non costituisce parametro per giudicare
delle eventuali differenziazioni operate in quella sede”, sicché non possono ritenersi

vietati tutti i trattamenti differenziati nei confronti delle singole categorie di
lavoratori, ma soltanto quelli in contrasto specifiche previsioni normative, restando
escluso il sindacato del giudice sulle scelte compiute dalla contrattazione collettiva
(Cass. 27 ottobre 2011, n. 22437; id. 28 marzo 2012, n. 4971; 29 aprile 2013, n.
10105; 21 novembre 2013, n. 26140).
In altre parole, il principio di parità nasce storicamente non solo e non tanto
dall’esigenza di recuperare uguaglianza (nell’accezione non solidaristica sopra
evidenziata) o, meglio, esatta giustizia distributiva, quanto dalla necessità di regolare
l’uso d’un potere privato all’interno d’una comunità organizzata.
Questo bisogno si manifesta – cioè – per colmare il vuoto di “contraddittorio”
ove manchi istituzionalmente la possibilità che il soggetto in posizione subalterna
faccia valere le proprie ragioni contro le scelte discrezionali del soggetto in posizione
preminente. Ma ciò non si verifica rispetto alla contrattazione collettiva, in cui le
parti operano su un piano tendenzialmente paritario e sufficientemente
istituzionalizzato dovendo riconoscersi che i soggetti della contrattazione collettiva
hanno il potere ampiamente discrezionale non solo nel valutare la natura, la qualità,
l’onerosità dei vari tipi di prestazioni nel delineare i livelli di classificazione del
personale e nello stabilire i vari tipi di compensi, ma anche nel regolare le varie
forme di status normativo ed economico dei lavoratori, eventualmente tenendo
presenti le pregresse vicende dei vari rapporti, anche con norme sostanzialmente
,

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transitorie (cfr. al riguardo, ampiamente la già citata sentenza n. 22437/2011, e
riguardo alla istituzione di ruoli ad esaurimento al fine salvaguardare diritti quesiti di
natura economica, anche Cass. 22 aprile 2011, n. 9313).
In sintesi, appare chiaro quale sia stato l’intento del legislatore che, da un

tra diverse strutture ministeriali, mantenendo gli inquadramenti ed i trattamenti
giuridici economici dei ruoli di provenienza sì da garantire il principio,
espressamente enunciato nella norma citata, della “invarianza della spesa”, dall’altro,
con il successivo d.P.R. n. 177 del 2001, ha rinviato alla contrattazione collettiva il
compito di procedere alla progressiva omogeneizzazione dei trattamenti.
Le norme che hanno disciplinato il processo di riorganizzazione delle strutture
ministeriali non hanno, dunque, imposto l’immediata equiparazione dei trattamenti
economici corrisposti ai dipendenti confluiti nel medesimo ministero da ministeri
diversi, bensì hanno delegato alle parti collettive l’avvio di un processo di
progressiva perequazione dei trattamenti medesimi in funzione del riallineamento
retributivo.
E non poteva essere diversamente anche tenuto conto tenuto conto dei
meccanismi introdotti con la privatizzazione del pubblico impiego, come
chiaramente delineato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 309 del 1997.
Detta pronuncia ricostruisce le linee portanti del nuovo sistema, affermando
che il generale criterio della contrattualizzazione dei rapporti d’impiego, che esprime
sul piano della fonte regolatrice la scelta del legislatore di trasformare la natura
giuridica dei rapporti stessi, è sancito, quale principio fondamentale dalla legge

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lato, con il decreto legislativo n. 300 del 1999, ha voluto procedere all’accorpamento

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delega n. 421 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), trovando poi attuazione nel d.lgs. n.
29 del 1993, art. 2, comma 3.
In conformità alle direttive di cui alla delega, tale decreto, dopo aver
individuato le materie sottratte alla contrattazione collettiva, ha sub art. 45 del d.lgs.

ripartizione per comparti ed aree separate, attribuendo poi all’Agenzia per la
rappresentanza negoziale (A.R.A.N.), istituita dal successivo del d.lgs. n. 29 del
1993, art. 50, la rappresentanza delle pubbliche amministrazioni (in una
configurazione tuttavia destinata a trasformarsi: da agenzia dello Stato ad agenzia
dell’intero sistema pubblico, secondo la previsione di cui alla legge n. 59 del 1997,
art. 11, comma 4, lett. c). Sono appunto tali amministrazioni le destinatarie esclusive
del dovere, previsto dal comma 9 del citato art. 45 del d.lgs. n. 29 del 1993, di
osservare gli impegni assunti con i c.c.n.l.. Sicché l’applicazione del contratto
collettivo deriva, non già da una generalizzata previsione di obbligatorietà di questo,
bensì dal su indicato dovere gravante sulle Pubbliche Amministrazioni.
L’osservanza, da parte di queste ultime, degli obblighi assunti con i contratti
collettivi rappresenta il conseguente e non irragionevole esito dell’intera procedura di
contrattazione, la quale prende le mosse dalla determinazione dei comparti e si
conclude con l’autorizzazione governativa alla sottoscrizione delle ipotesi di
accordo, che, almeno sin quando verrà esercitata la delega “ex lege” n. 59 del 1997,
interessa a sua volta molteplici profili, non solo di controllo ma anche di verifica
della compatibilità finanziaria. La forza cogente che a questo punto si produce nei
confronti delle Pubbliche Amministrazioni costituisce, a sua volta, la premessa per
realizzare la garanzia della parità di trattamento contrattuale, affermata dal d.lgs. n.

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n. 29 del 1993, strutturato questa su due livelli (nazionale e decentrato), con una

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29 del 1993, art. 49, comma 2, e contestualmente rafforzata dall’ultima parte della
norma stessa, che impone di assicurare “trattamenti non inferiori a quelli previsti dai
rispettivi contratti collettivi”.
Il processo di riorganizzazione operato con le norme in esame nella presente

22 del c.c.n.l. biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 12 giugno 2003, e del
successivo articolo 31 del c.c.n.l. 2006-2007, sottoscritto il 14 settembre 2007.
Le parti collettive, dunque, in occasione del primo rinnovo contrattuale
successivo alla pubblicazione del d.P.R. 26 marzo 2001 n. 177, hanno raccolto
l’invito del legislatore, iniziando il processo di perequazione delle retribuzioni
complessivamente spettanti al personale del comparto, avvertendo, però, la necessità
di chiarire che la totale equiparazione richiedeva risorse aggiuntive non potendo il
contratto collettivo provvedere al raggiungimento di tale obiettivo con le risorse
derivanti dall’applicazione dell’accordo sul costo del lavoro del 23 luglio 1993.
L’esame delle disposizioni normative rilevanti e dei contratti collettivi
succedutisi nel tempo induce, quindi, ad escludere qualsiasi contrasto fra il precetto
dettato dall’art. 9 del d.P.R. citato (che, ha delegato alle parti collettive solo la
progressiva perequazione dei trattamenti economici e non l’immediata equiparazione
degli stessi) e le norme contrattuali sottoscritte in data successiva all’approvazione
del regolamento. Ne può ritenersi violato, per le ragioni anzidette il d.lgs. n. 165 del
2001, art. 45 dovendosi ribadire che tale norma, nell’imporre alla pubblica
amministrazione di garantire ai propri dipendenti parità di trattamento contrattuale,
esclude che possano essere adottati trattamenti differenziati in modo ingiustificato e
discriminatorio, e, conseguentemente, richiede l’identità delle situazioni, in presenza

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fattispecie è stato, in effetti, attuato e realizzato attraverso le previsioni dell’articolo

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della quale non è ravvisabile un oggettivo fondamento della differenziazione
retributiva.
Detta assoluta identità non è riscontrabile allorquando il mantenimento
momentaneo di posizioni retributive differenziate trovi la sua giustificazione in un

complesso processo di riorganizzazione amministrativa ed origine nelle diverse
previsioni della contrattazione collettiva, riferita ai singoli settori di provenienza, che
a loro volta sono state determinate da dinamiche negoziali proprie, in ragione delle
specifiche situazioni dei vari settori. Risulta, così, del tutto ragionevole che
l’omogeneizzazione dell’indennità di amministrazione sia stata perseguita attraverso
un graduale processo di assimilazione, in linea con le indicazioni del legislatore.
Va, dunque, ribadito il seguente principio: “In relazione alla confluenza di
dipendenti provenienti da varie amministrazioni nel Ministero, di nuova istituzione
(L. n. 537 del 1993, art. 1), dei trasporti e della navigazione e successivamente nel
Ministero, analogamente di nuova istituzione (d.lgs. n. 300 del 1999, art. 41), delle
infrastrutture e dei trasporti, non sono identificabili misure dell’indennità di
amministrazione riferibili al personale in genere di detti Ministeri, e la perdurante
previsione, da parte del c.c.n.l. del comparto ministeri 12 giugno 2003 per il
quadriennio normativo 2002-2005 e il biennio economico 2002-2003, di misure
differenziate di tale indennità a seconda delle amministrazioni di provenienza non
può considerarsi discriminatoria, in particolare in relazione al principio di parità di
trattamento di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, art. 45 che non esclude la possibilità della
contrattazione collettiva di attribuire rilievo anche alle pregresse vicende dei rapporti
di lavoro, né illegittima per violazione del d.P.R. n. 177 del 2001, art. 9, comma 5,
che ha previsto l’avvio, da parte della contrattazione collettiva,

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…/

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dell’omogeneizzazione delle indennità di amministrazione corrisposte al personale
confluito nel Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dai Ministeri soppressi
(avendo tale contratto nazionale accordato lo stesso aumento in cifra per i lavoratori
provenienti dalle varie amministrazione e avendo quindi ridotto, sia pure in misura

livello più vantaggioso dal c.c.n.l. 14 settembre 2007 per il quadriennio normativo
2006-2009 e il biennio economico 2006-2007)”.
6. Da tanto consegue che il ricorso va accolto e va cassata l’impugnata
sentenza; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel
merito a norma dell’art. 384, commi 1 e 2, cod. proc. civ., con il rigetto delle
azionate domande
7. La particolarità delle problematiche coinvolte dal giudizio giustificano la
compensazione delle spese dell’intero processo.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel
merito, rigetta le azionate domande. Compensa tra le parti le spese dell’intero
processo.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2013.

modesta, le differenze in percentuale, essendo stata poi realizzata la parificazione al

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