Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6842 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. I, 24/03/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 24/03/2011), n.6842

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

VELAM s.r.l., in persona dell’amministratore unico ing. A.

L., rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

ricorso, dagli avv.ti Alberti Antonio e Nicola Di Pierro ed elett.te

dom.ta presso lo studio del secondo in Roma, Via Tagliamento i n. 55;

– ricorrente –

contro

STERN WEBER s.r.l. ora CEFLA s.c.a.r.l., in persona del

vicepresidente e legale rappresentante sig. A.G.,

rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

controricorso, dagli avv.ti Pierpaolo Soggia e Giuseppe Mandara ed

elett.te dom.ta presso lo studio del secondo in Roma, Via Michele

Mercati n. 38;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna n. 2/2005,

depositata il 3 gennaio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12

gennaio 2011 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per la ricorrente l’avv. Nicola DI PIERRO;

udito per la controricorrente l’avv. Giuseppe MANDARA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

PATRONE Ignazio Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bologna si è dichiarata incompetente sull’impugnazione proposta dalla Velam s.r.l. avverso il lodo pronunciato il 12 dicembre 2001 in controversia insorta tra la predetta società e la Stern Weber s.r.l. (ora Cefla s.c.a.r.l.) riguardante contratto di cessione di ramo di azienda, con clausola arbitrale, stipulato il 24 settembre 1999.

La Corte ha confermato la tesi prospettata dall’impugnante, secondo cui le parti avevano previsto un arbitrato irrituale, al contrario di quanto ritenuto dagli arbitri; ma proprio per tale ragione ha concluso che difettava la competenza della corte d’appello, dovendo invece la causa essere portata davanti al giudice di primo grado ordinariamente competente.

La Velam ha quindi proposto ricorso per cassazione per un solo motivo, cui la Cefla s.c.a.r.l. ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno anche presentato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – La ricorrente, denunciando violazione di norme di diritto, sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto dichiararsi competente ed annullare il lodo impugnato, dato che gli arbitri avevano – nel contrasto fra la Stern Weber, che riteneva rituale l’arbitrato, e la Velam, che lo riteneva, al contrario, irrituale – espressamente fatto propria la prima qualificazione, onde era ad essa che bisognava attenersi al fine di stabilire il rimedio esperibile contro il lodo.

2. – La controricorrente obietta che la tesi della ricorrente si basa sull’equivoco che l’accertamento della natura irrituale del lodo erroneamente qualificato dagli arbitri come rituale comporti, per ciò solo, la nullità del lodo stesso. Vero è, invece, che il giudice dell’impugnazione del lodo procede alla qualificazione di quest’ultimo al solo fine di verificare l’ammissibilità dell’impugnazione proposta davanti a sè: l’eventuale qualificazione come irrituale, da parte della corte d’appello, del lodo impugnato davanti a sè e qualificato dagli arbitri come rituale, non comporta altro che l’inammissibilità dell’impugnazione, non certo anche e per ciò solo la nullità del lodo. Del resto è costante in giurisprudenza il riconoscimento al giudice dell’impugnazione del potere di conoscere della natura rituale o irrituale dell’arbitrato – al fine di decidere sull’ammissibilità del rimedio esperito – non attraverso l’esame del lodo, bensì in base al diretto esame della clausola compromissoria.

3. – Il ricorso è fondato.

Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che, ove gli arbitri abbiano ritenuto la natura rituale dell’arbitrato ed abbiano, pertanto, provveduto nelle forme di cui all’art. 816 c.p.c., e segg.

l’impugnazione del lodo, anche se diretta a far valere la natura irrituale dell’arbitrato ed i conseguenti errores in procedendo commessi dagli arbitri, va proposta davanti alla corte d’appello ai sensi dell’art. 827 c.p.c., e segg. e non nei modi propri dell’impugnazione del lodo irrituale, ossia davanti al giudice ordinariamente competente e facendo valere soltanto i vizi che possono inficiare; qualsiasi manifestazione di volontà negoziale (Cass. 19129/2006).

Il Collegio ritiene di dar seguito a tale orientamento. Ciò che conta, invero, agli effetti dell’individuazione del mezzo con cui il lodo va impugnato, è la natura dell’atto in concreto posto in essere dagli arbitri, più che la natura dell’arbitrato come prevista dalle parti. Ben possono le parti aver previsto, con il compromesso o la clausola compromissoria, un arbitrato irrituale; ma se gli arbitri di fatto hanno poi reso il lodo nelle forme di cui all’art. 816 c.p.c., e segg., ossia un lodo rituale, quel lodo è impugnabile esclusivamente ai sensi dell’art. 827 c.p.c., e segg..

Nell’accertamento della natura del lodo in concreto emesso, un ruolo fondamentale svolge, di solito, l’interpretazione della convenzione di arbitrato, dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che gli arbitri si siano adeguati a quanto previsto dalle parti. Ma se risulta altrimenti chiaro, dalla procedura seguita e dalla qualificazione espressamente data dagli stessi arbitri, che è stato emesso un lodo rituale o irrituale, ciò è decisivo ai fini dell’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile, senza che si debba o si possa risalire all’interpretazione della volontà espressa dalle parti nella convenzione.

Tale volontà rileva, piuttosto, agli effetti della validità del lodo. Infatti la pronuncia di un lodo rituale ove sia stato dalle parti previsto un arbitrato irrituale comporta la nullità del lodo stesso in quanto pronunciato “fuori dei limiti del compromesso” (art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4), che non consentiva agli arbitri di emettere un lodo rituale.

Nella specie, è pacifico che gli arbitri avevano emesso un lodo rituale, tale qualificato da essi stessi; conseguentemente era legittima l’impugnazione per nullità proposta davanti alla corte d’appello.

La sentenza impugnata, che ha invece statuito l’incompetenza della corte adita (rectius, l’inammissibilità dell’impugnazione), va pertanto cassata.

4. – Non è, peraltro, necessario disporre la prosecuzione del giudizio in fase di rinvio, dato che, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult. parte.

E’ infatti pacifico che la Velam s.r.l. aveva sostenuto la nullità del lodo in quanto lodo rituale emesso nonostante le parti avessero invece previsto un arbitrato irrituale. Ciò impone, per quando sopra osservato (e contrariamente a quanto ritenuto dalla controricorrente), di dichiarare la nullità del lodo ai sensi dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 4 (norma non espressamente richiamata dall’impugnante, e tuttavia sottesa alla prospettazione dalla stessa formulata ed applicabile ricorrendone i presupposti in fatto, accertati dal giudice di merito).

Attesa la ragione della nullità accertata, non è ammesso giudizio rescissorio (Cass. 1729/2001, 1723/2001, 1407/1993, 66/1983).

5. – Va infine disposta la compensazione delle spese dell’intero giudizio, sia di merito sia di legittimità, per giusti motivi consistenti nella obbiettiva complessità della questione decisa, sulla quale questa Corte si è pronunziata per la prima volta soltanto nel 2006, come si è visto, ossia dopo la proposizione del ricorso per cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; decidendo nel merito, dichiara la nullità del lodo di cui in motivazione; dichiara compensate fra le parti le spese dell’intero giudizio sia di merito che di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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