Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6841 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/03/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 22/03/2010), n.6841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – rel. Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato DE LUCA TAMAUO RAFFAELE, giusta mandato a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI 57, presso lo studio dell’avvocato DE CURTIS CLAUDIA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ABBATE GIOVANNA, giusta mandato

a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5855/2004 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/02/2005 r.g.n. 1432/03;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. VIDIRI Guido;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 7 gennaio 2003 M.A. adiva il Tribunale di Benevento per sentire dichiarare l’inefficacia e l’invalidita’ del licenziamento intimatogli dalla societa’ Poste Italiane con missiva del 19 novembre 2001 in seguito a procedura di mobilita’, per palese violazione della normativa di cui alla L. n. 223 del 1991, con conseguente condanna della societa’ convenuta alla reintegra nel posto di lavoro occupato nonche’ alla corresponsione del risarcimento del danno ex art. 18 dello statuto dei lavoratori.

Dopo la instaurazione del contraddittorio con la societa’ Poste Italiane e dopo l’espletamento della istruttoria, il Tribunale accoglieva la domanda ed, a seguito di impugnazione della societa’, la Corte d’appello di Napoli con sentenza del 7 febbraio 2005 rigettava il gravame della societa’, che condannava anche alle spese del giudizio.

Nel pervenire a tale conclusione la Corte territoriale osservava preliminarmente che l’obbligo di informazione previsto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3 “e’ senz’altro il perno su cui si snoda l’intera procedura e ne condiziona la legittimita’” perche’ la legge ha previsto non solo l’obbligo di comunicazione scritta a carico del datore di lavoro ma ha anche dettato il contenuto analitico di tale comunicazione, indicando le informazioni che l’impresa deve fornire al sindacato ed in relazione alle quali va esercitato il controllo da parte del giudice, sicche’ la loro insufficienza o lacunosita’ – se puo’ essere sanata sul piano delle consultazioni sindacali e delle posizioni del sindacato in caso di raggiungimento dell’accordo – non puo’ in alcun caso rendere valido il singolo licenziamento. Da cio’ conseguiva l’infondatezza del rilievo della societa’ sulla circostanza che il lavoratore non aveva provato le condizioni che consentivano il suo licenziamento in quanto l’onere di provare il rispetto delle regole procedurali incombe – in ragione del tenore analitico e chiaro della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3 – sull’azienda tanto che, sin dall’atto iniziale della controversia, le Poste si erano difese producendo ampia documentazione sulla procedura espletata.

Il giudice d’appello ribadiva poi che, nel caso di specie, l’obbligo di informativa non era stato rispettato e che tutto cio’ comportava la illegittimita’ dei licenziamenti intimati, riaffermandosi al riguardo che non risultava possibile una verifica sul corretto esercizio del potere imprenditoriale, impedendosi in tal modo il perseguimento della volonta’ del legislatore di tutelare, con il rispetto degli oneri informativi, anche l’interesse dei singoli lavoratori coinvolti nelle procedure di mobilita’. Nello specifico la comunicazione di avvio della procedura del 25 giugno 2001 risultava del tutto sprovvista della indicazione e della collocazione aziendale dei dipendenti e dei profili professionali del personale eccedente richiesto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3. Dallo schema allegato alla comunicazione si rilevava, infatti, soltanto il numero dei dipendenti in esubero su base regionale nell’ambito delle aree previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro (di base, operativa, quadri di (OMISSIS) livello e quadri di (OMISSIS) livello), senza ulteriori indicazioni in ordine ai singoli profili professionali, e tutto cio’ non rendeva possibile una valutazione comparativa tra tutti i dipendenti tra i quali la scelta andava operata, con conseguente grave danno in termini di tutela per i lavoratori scelti per la mobilita’.

Avverso tale sentenza la s.p.a. Poste Italiane propone ricorso per Cassazione, affidato a dieci motivi, illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso M.A..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi tre motivi la societa’ ricorrente denunzia sotto diversi profili giuridici la lettura da parte del giudice d’appello della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, addebitando alla sentenza impugnata anche un vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia. In particolare deduce : che la Corte territoriale ha fornito una interpretazione rigorosa della norma esaminata sia per avere ritenuto erroneamente che la indicazione contenuta nella comunicazione iniziale delle qualifiche “quadro di (OMISSIS) e di (OMISSIS) livello” (nonche’ delle aree professionali di inquadramento) non integrava le indicazioni dei profili professionali del personale eccedente di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, sia per non avere individuato le precise finalita’ di cui alle garanzie procedurali apprestate dal legislatore in sede di regolamentazione della cassa integrazione e della mobilita’ (primo motivo); che il giudice d’appello ha fatto una astratta valutazione di insufficienza formale della comunicazione iniziale ma le sue considerazioni non erano suffragate da alcun elemento idoneo a dimostrare lo sviamento in concreto dei poteri del sindacato, che era stato invece, a seguito delle prescritte informazioni, posto in condizioni di esercitare pienamente i suoi poteri di controllo e di pervenire, quindi, ad un accordo con le parti datoriali (secondo motivo); che la sentenza impugnata non ha fornito una adeguata motivazione in ordine alla pretesa mancanza delle comunicazioni di cui alla procedura prevista dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9, ed ha errato nel ricollegare alla suddetta violazione l’inefficacia del recesso del M. (terzo motivo).

Con i motivi dal quarto al settimo la societa’ ricorrente denunzia ancora la violazione della L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5, nonche’ della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 24, addebitando alla decisione della Corte d’appello di Napoli: che la lettera delle norme in esame mostra che i criteri di scelta dei lavoratori da porre in mobilita’ devono effettuarsi nell’ambito dell’intero complesso aziendale sicche’ deve reputarsi non condivisibile la tesi seguita dal giudice d’appello che ha limitato quell’ambito ai soli settori individuati come eccedentari anche perche’ allorquando si tratta di profili professionali omogenei i criteri di scelta devono valere con riguardo a tutto il personale dipendente e non solo a quello interessato dagli esuberi (quarto motivo); che la tesi secondo cui, una volta individuati i settori oggettivamente esuberanti, sarebbe impedito ogni accordo sindacale volto a spalmare diversamente gli esuberi, non puo’ essere condivisa perche’ finisce per violare i principi espressi dall’art. 41 Cost. in quanto la conservazione ed il rilancio dell’attivita’ produttiva risulterebbe frustato se dovesse impedirsi al datore di lavoro di procedere nel costante rispetto delle esigenze tecnico – produttive dell’impresa (quinto motivo); che la sentenza impugnata ha errato quando ha valorizzato eccessivamente il sindacato giurisdizionale sul profilo causale del licenziamento senza considerare che nella giurisprudenza e nella dottrina dominante tale sindacato sfuma nella mera verifica da parte del giudice del rispetto o della errata applicazione della procedura e dei criteri di scelta (sesto motivo); che la sentenza impugnata e’ incorsa in violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto nel momento in cui ha preteso di dare rilevanza alla circostanza che il posto occupato dal lavoratore licenziato sia stato poi assegnato ad altro dipendente (settimo motivo).

Con gli ultimi tre motivi di ricorso la s.p.a. Poste Italiane lamenta ancora che il giudice d’appello ha dato rilievo alla circostanza che nella procedura di mobilita’ erano stati trattenuti “temporaneamente” in servizio 100 dipendenti ed era stato escluso da tale trattenimento il M., il quale non aveva interesse a denunziare detta circostanza perche’ non poteva in alcun modo essere reintegrato – cosi’ come aveva chiesto – a tempo indeterminato (ottavo e decimo motivo); ed inoltre il giudice di merito ha anche, in violazione dei canoni ermeneutici del codice civile, interpretato l’accordo sindacale del 17 ottobre 2001 pervenendo alla conclusione che da esso dipendesse non solo il criterio di individuazione dei potenziali destinatari del provvedimento espulsivo ma anche una preclusione per il datore di lavoro a “salvare” almeno temporaneamente alcuni di tali destinatari (nono motivo).

2. Il ricorso, articolato in numerose censure da esaminarsi congiuntamente per riguardare problematiche tra loro strettamente connesse, va rigettato anche se la motivazione che sorregge la impugnata sentenza, va completata da questa Corte di cassazione nell’esercizio dei poteri di cui all’art. 384 c.p.c., comma 4.

2.1. Questa Corte ha di recente statuito che in tema di verifica del rispetto delle regole procedurali per i licenziamenti collettivi per riduzione di personale, la sufficienza dei contenuti della comunicazione preventiva di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3, deve essere valutata in relazione ai motivi della riduzione di personale, che restano sottratti al controllo giurisdizionale, cosicche’, ove il progetto imprenditoriale sia diretto a ridimensionare l’organico dell’intero complesso aziendale al fine di diminuire il costo del lavoro, l’imprenditore puo’ limitarsi all’indicazione del numero complessivo dei lavoratori eccedenti, suddiviso tra i diversi profili professionali previsti dalla classificazione del personale occupato nell’azienda, senza che occorra l’indicazione degli uffici o reparti con eccedenza, e cio’ tanto piu’ se si esclude qualsiasi limitazione del controllo sindacale ed in presenza della conclusione di un accordo tra le parti sociali all’esito della procedura che, nell’ambito delle misure idonee a ridurre l’impatto sociale dei licenziamenti, adotti il criterio della scelta del possesso dei requisiti per l’accesso alla pensione (Cass. 26 febbraio 2009 n. 4653 cui adde: Cass. 7 gennaio 2009 n. 84. Contro pero’: Cass. 11 luglio 2007 n. 15479, secondo cui la comunicazione alle r.s.a. di inizio della procedura ha sia la finalita’ di far partecipare le organizzazioni sindacali alla successiva trattativa per la riduzione del personale sia di rendere trasparente il processo decisionale datoriale nei confronti dei lavoratori potenzialmente destinati ad essere estromessi dall’azienda, sicche’ la mancata indicazione nella comunicazione di avvio della procedura di tutti gli elementi previsti dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 3 invalida la procedura e determina l’inefficacia dei licenziamenti, non essendo sanabile tale vizio dalla successiva stipulazione di accordo sindacale di riduzione del personale e dalle indicazione in esso di un criterio di scelta dei dipendenti da licenziare).

3. Pur non ignorando il suddetto indirizzo giurisprudenziale, posto a fondamento della richiesta delle Poste Italiane di accoglimento del presente ricorso, questa Corte ritiene di rigettare la proposta impugnazione.

3.1. E’ stato affermato dai giudici di legittimita’ che in tema di licenziamenti collettivi, il contenuto delle comunicazioni di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 2 e 9, deve fare riferimento alle condizioni in cui versa l’impresa datoriale, da valutarsi al momento in cui questa decide di instaurare la suddetta procedura, e non invece a pregresse situazioni o a processi di riorganizzazione produttiva risalenti nel tempo perche’ solo il riferimento alla situazione “attuale” consente, alla stregua della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, commi 5 e 9, un documentato esame congiunto delle parti sociali, da un lato, onde valutare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale dell’impresa e le possibilita’ di diversa utilizzazione del personale stesso, e dei dipendenti, dall’altro, in ordine ai criteri di scelta, legali e convenzionali, dei lavoratori da collocare in mobilita’, in conformita’ dei canoni di razionalita’ e di coerenza (cfr. in tali sensi: Cass. 13 luglio 2006 n. 15943 e, piu’ di recente Cass. 12 dicembre 2006 n. 26462).

3.2. Si e’ nello stesso tempo anche precisato che la cassa integrazione guadagni straordinaria viene autorizzata dal Ministero del Lavoro a seguito dell’approvazione di un programma volto a rendere l’attuazione del suddetto programma funzionale all’efficienza produttiva dell’impresa stessa, sicche’ nel corso della sua durata non e’ consentito determinare – neppure con la copertura negoziale e tramite sopravvenuti accordi collettivi sul punto – un mutamento dei criteri di scelta del personale da sospendere, con l’abbandono dei criteri inizialmente previsti nel programma e la contestuale adozione di altri diversi, privi di razionalita’ e congruita’ rispetto alla iniziale causa integrabile (cfr. al riguardo: Cass. 23 maggio 2008 n. 13377).

3.3. Ed infatti, la finalita’ della cassa integrazione, segnatamente di quella straordinaria, va rinvenuta nell’esigenza di recuperare – attraverso procedimenti di riconversione o di ristrutturazione aziendale – la produttivita’ delle imprese anche per vanificare, o quanto meno per ridimensionare, il pericolo di riduzione di personale. Detti procedimenti, particolarmente nei casi in cui investono imprese di grandi dimensioni, spesso impongono, in ragione del perseguimento della indicata finalita’, tempi non brevi, nel corso dei quali si puo’ prospettare – anche per il sopravvenire di circostanze impreviste direttamente incidenti sulla causale legittimante l’istituto in esame – la necessita’ di modificare le modalita’ della sospensione del rapporto lavorativo dei dipendenti dell’impresa e, conseguentemente, di diversamente calibrare i criteri di scelta dei lavoratori destinatari della integrazione salariale in ragione del modificato contesto entro il quale la cassa integrazione e’ chiamata ad operare.

3.4. Orbene, una lettura logico – sistematica del disposto della L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, accompagnata da una doverosa presa d’atto che la scansione procedimentale regolata da detta disposizione risponde alla duplice funzione di porre le organizzazioni sindacali in condizioni di contrattare i criteri di scelta dei lavoratori da sospendere e di assicurare ai lavoratori un minimo di tutela (cfr.

sul punto: Cass. 9 novembre 1998 n. 11263, cui adde, anche sulla diretta rilevanza delle garanzie procedimentali sui singoli rapporti di lavoro, Cass. Sez. Un., 11 maggio 2000 n. 302), impone l’applicazione di detta norma e l’estensione dell’apparato garantistico da essa fornito anche alle fattispecie in cui, nel tempo di operativita’ della cassa integrazione, se ne mutano le modalita’ attuative, come i criteri di scelta e la durata della sospensione dei singoli rapporti. La legittimita’ di un tale approccio teorico – che non consente un mutamento delle condizioni di attuazione della integrazione salariale che non veda ritualmente e tempestivamente coinvolto a livello conoscitivo il lavoratore nel procedimento decisionale – trova conforto nella necessita’ di assicurare, a fronte di decisioni volte ad incidere pesantemente sulla posizione del lavoratore stesso (fungendo non di rado la cassa integrazione da anticamera della messa in mobilita’), la trasparenza dell’esercizio del potere privato del datore di lavoro, posto a base dell’assetto normativo di cui alla L. n. 223 del 1991 (cfr. in tali sensi in motivazione: Cass. 7 febbraio 2006 n. 2555).

4. Tra le censure mosse alla decisione impugnata v’e’ quella di non avere tenuto conto che nella realta’ concreta come nell’intenzione del legislatore l’individuazione datoriale degli ambiti territoriale esuberanti e’ del tutto precaria e suscettibile di ogni modifica nel corso della procedura, soprattutto all’esito della trattativa sindacale che, alla stregua della ratio legis deve essere in grado di ribaltare l’iniziale opzione sindacale. Le parti sociali, pertanto, a giudizio della societa’ ricorrente, avrebbero il potere, al fine di minimizzare i costi della procedura di mobilita’, di individuare i criteri di scelta che valicano gli ambiti originariamente previsti dal datore di lavoro e l’accordo sindacale potrebbe anche esso valicare i limiti fissati dalla comunicazione iniziale di avvio della procedura.

4.1. La suddetta doglianza non puo’ pero’ trovare ingresso in questa sede atteso che la decisione della Corte territoriale, per avere fatto puntuale applicazione dei dieta giurisprudenziali in precedenza enunciati, va confermata.

Il giudice d’appello infatti, dando corretta attuazione alle statuizioni innanzi ricordate, ha evidenziato come nel licenziamento collettivo debba, al momento del provvedimento espulsivo, accertarsi l’esistenza dei concreti presupposti richiesti per la legittimita’ dello stesso e, su tale premessa, ha poi rimarcato come nella fattispecie non erano risultati comprensibili i criteri di scelta dei destinatari dei provvedimenti di messa in mobilita’ ne’ le modalita’ di comparazione tra gli stessi. E l’applicazione di tali criteri doveva risultare chiara e trasparente nel caso di specie, soprattutto perche’ vi era stato una notevole scostamento nel tempo tra la previsione e la concreta attuazione dei provvedimenti espulsivi e tra il numero dei destinatari previsti di detti provvedimenti e quelli che ne erano rimasti effettivamente coinvolti.

4.2. In siffatto contesto la sentenza impugnata ha rilevato – da cio’ ricavandone l’illegittimita’ della procedura di messa in cassa integrazione – come non fosse chiaro il criterio di comparazione seguito dalla societa’ ai fini della scelta dei destinatari dei provvedimenti di messa in mobilita’ e piu’ in particolare come fosse avvenuta la sostituzione del M. con altro dipendente con suo identico inquadramento (OMISSIS); e da cio’ ne ha dedotto che vi fosse stata una aprioristica individuazione del personale eccedentario.

Ed a conferma di tale suo assunto ha anche evidenziato come non risultasse comprensibile il criterio in base al quale era stata effettuata la scelta di 100 dipendenti mantenuti in servizio per un altro anno, dopo un accordo risalente al 17 ottobre 2001, che aveva invece individuato in tutto il personale i possibili destinatari che, per avere maturato i requisiti di contribuzione per l’accesso alla pensione di anzianita’, sarebbero stati messi in mobilita’ quale personale eccedentario.

4.3. Ne per sminuire la portata di tale dato vale addurre, come ha fatto la societa’ ricorrente, che nel caso in esame si era in presenza di un prolungamento solo temporaneo del rapporto lavorativo mentre il M. aveva interesse ad un rapporto a tempo indeterminato. Ed invero un tale rilievo appare inconferente atteso che la circostanza posta in risalto nella sentenza impugnata assume un significativo rilievo ai fini decisori perche’ vale a confortare tutto l’iter argomentativo che ha portato il giudice d’appello a concludere, sulla base delle risultanze processuali, che nel caso di specie non vi era stata una chiara e corretta applicazione del criterio di scelta concordato con le organizzazioni sindacali, anche con riferimento ai settori dell’azienda rispetto al quale detto criterio doveva operare.

4.4. Questa Corte ha gia’ avuto occasione di affermare che in tema di procedura di mobilita’, la previsione, di cui alla L. 23 luglio 1991, n. 223, art. 4, comma 9 – secondo cui il datore di lavoro, nella comunicazione preventiva con cui da inizio alla procedura, deve dare una “puntuale indicazione” dei criteri di scelta e delle modalita’ applicative – comporta che, anche quando il criterio prescelto sia unico, il datore di lavoro deve provvedere a specificare nella detta comunicazione le sue modalita’ applicative, in modo che essa raggiunga quel livello di adeguatezza sufficiente a porre in grado il lavoratore di percepire perche’ lui – e non altri dipendenti – sia stato destinatario del collocamento in mobilita’ o del licenziamento collettivo e, quindi, di poter eventualmente contestare l’illegittimita’ della misura espulsiva (cfr. in questi sensi: Cass. 19 dicembre 2008 n. 29831; Cass. 5 agosto 2008 n. 21138 e, tra le altre, ancora: Cass. 8 novembre 2007 n. 23275; Cass. 19 maggio 2006 n. 11886).

5. Coerente sviluppo di tutte le precedenti argomentazioni e’ il principio di diritto – da enunciarsi ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1 (ultima parte), – secondo cui “il criterio di scelta dei dipendenti da porre in cassa integrazione ed in mobilita’ – una volta determinato nel rispetto di quanto prescritto dalla L. 23 luglio 1991, n. 223, artt. 4 e 5 – non puo’ essere successivamente disapplicato o modificato, non essendo consentito che in tale spazio temporale la individuazione dei singoli destinatari dei provvedimenti datoriali venga lasciata all’iniziativa ed al mero potere discrezionale dell’imprenditore perche’ cio’ comporterebbe ricadute pregiudizievoli sulla posizione dei singoli lavoratori e sul loro interesse ad una gestione della mobilita’ e della riduzione del personale, che sia trasparente, chiara ed affidabile, e che non puo’, quindi, prescindere da una scelta razionale del criterio di scelta e da una sua compiuta e corretta applicazione”.

6. Per concludere, la sentenza impugnata, per essere adeguatamente motivata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi giudici in precedenza enunciati, non e’ assoggettabile alle censure che le sono state mosse in questa sede di legittimita’. Al riguardo va rimarcato come la valutazione della applicazione dei criteri di scelta dei lavoratori da porre in cassa integrazione o in mobilita’ – dovendo essere valutata alla stregua del contenuto delle comunicazioni L. 23 luglio 1991, n. 223, ex art. 4 e con riferimento alla realta’ aziendale ed all’assetto organizzativo dell’impresa -va devoluta al giudice di appello, la cui decisione se sorretta da una motivazione corretta sul versante logico e giuridico, non e’ ricorribile davanti al giudice di legittimita’.

7. Il ricorso va, dunque, rigettato con la conferma dell’impugnata sentenza, dovendosi ritenersi assorbito in quanto sinora detto, tutte le censure non espressamente esaminate.

8. La societa’ ricorrente in ragione della soccombenza va condannata, come in dispositivo, alle spese del presente giudizio di cassazione unitamente agli onorari difensivi.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 44,00, oltre Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari difensivi, oltre IVA, CPA e spese generali.

Cosi’ deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

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