Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6841 del 16/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/03/2017, (ud. 25/01/2017, dep.16/03/2017),  n. 6841

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24876-2015 proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 36, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO AFELTRA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUIGI ZEZZA;

– ricorrente –

contro

avverso la sentenza n. 21918/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 16/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/01/2017 dal Consigliere Dott. FERNANDES GIULIO;

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che con sentenza n. 21918/14 del 16 ottobre 2014 questa Corte rigettava il ricorso proposto da P.G. nei confronti di Poste Italiane s.p.a. ed avverso la sentenza n. 1170/2012, emessa dalla Corte di Appello di Torino nel giudizio di rinvio da Cass. n. 28953/11, di accoglimento del gravame proposto da Poste Italiane s.p.a. contro la decisione del Tribunale di Milano – che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato al P. in data (OMISSIS) ordinando alla società la reintegra del predetto nel suo posto di lavoro e condannandola al risarcimento del danno quantificato in cinque mensilità dell’ultima retribuzione di fatto – con conseguente rigetto della originaria domanda del lavoratore;

che di tale decisione chiede la revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, il P. fondando il ricorso su un unico articolato motivo cui resiste Poste Italiane s.p.a. con controricorso;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il P. e la società hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c.;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con l’unico articolato motivo il ricorrente deduce:

– che la sentenza n. 21918/14 cit. sarebbe suscettibile di revocazione per errore di fatto, ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere questa Corte ritenuto inammissibile il primo motivo di ricorso nella parte in cui denunciava la violazione del principio del contraddittorio e della corrispondenza tra il chiesto e pronunciato – perchè non autosufficiente (la motivazione era stata la seguente:

difese contenute nei precedenti gradi di giudizio che tuttavia non vengono specificate (e non accompagnate dalla produzione dei relativi atti), rendendo così impossibile a questa Corte anche l’accesso diretto agli atti processuali (Cass. se un. n. 8077/12)”; assume, infatti, che nel motivo (riprodotto nella sua interezza) erano contenuti tutti i riferimenti necessari onde consentire alla Corte l’accesso agli atti processuali, ammesso essendo stato denunciato un “error in procedendo”;

– che nella revocanda decisione erano anche contenute delle affermazioni del tutto avulse dal contenuto del ricorso per cassazione;

che il ricorso è inammissibile non denunciando un errore di fatto previsto dall’art. 395 c.p.c., n. 4, idoneo a determinare la revocazione delle sentenze, comprese quelle della Corte di cassazione, il quale, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, deve: 1) consistere in una errata percezione del fatto, in una svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile, tale da avere indotto il giudice a supporre la esistenza di un fatto la cui verità era esclusa in modo incontrovertibile, oppure a considerare inesistente un fatto accertato in modo parimenti indiscutibile; 2) essere decisivo, nel senso che, se non vi fosse stato, la decisione sarebbe stata diversa; 3) non cadere su di un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata; 4) presentare i caratteri della evidenza e della obiettività, sì da non richiedere, per essere apprezzato, lo sviluppo di argomentazioni induttive e di indagini ermeneutiche; 5) non consistere in un vizio di assunzione del fatto, nè in un errore nella scelta del criterio di valutazione del fatto medesimo; sicchè detto errore non soltanto deve apparire di assoluta immediatezza e di semplice e concreta rilevabilità, senza che la sua constatazione necessiti di argomentazioni induttive o di indagini ermeneutiche, ma non può tradursi, in un preteso, inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, ovvero di norme giuridiche e principi giurisprudenziali, vertendosi, in tal caso, nella ipotesi dell’errore di giudizio, inidoneo a determinare la revocabilità delle sentenze della Cassazione (fra le tante Cass. sez. un. 7217/2009, nonchè 22171/2010; 23856/2008; 10637/2007; 7469/2007; 3652/2006; 13915/2005; 8295/2005); che, pertanto, non è stata ritenuta inficiata da errore di fatto la sentenza della Suprema Corte della quale si censuri la valutazione del motivo d’impugnazione, in quanto espressa senza considerare le argomentazioni contenute nell’atto di impugnazione, perchè in tal caso è dedotta una errata valutazione ed interpretazione degli atti oggetto di ricorso (Cass. n. 10466/2011; 14608/2007), così come è stata esclusa la ricorrenza di errore revocatorio nel preteso errore nell’individuazione delle questioni oggetto di motivi del ricorso (Cass. n. 5086/08), nell’interpretazione dei motivi (Cass. n. 9533/06) o nella lettura del ricorso (Cass. n. 5076/08), così come si è escluso che possa rappresentare errore revocatorio il mancato rispetto del principio di autosufficienza del motivo di ricorso (Cass. 14608 del 2007);

che nel caso in esame non vi è stata alcuna svista di carattere materiale, oggettivamente ed immediatamente rilevabile in cui la Corte sarebbe incorsa ma una valutazione consistita nel ritenere il primo motivo di ricorso non specifico e privo del requisito dell’autosufficienza; peraltro, anche nella seconda parte il motivo lamenta una errata lettura degli atti difensivi e finisce con il censurare il giudizio espresso dalla Corte laddove aveva affermato che i motivi di ricorso integravano un inammissibile diverso apprezzamento dei fatti di causa;

che, alla luce di quanto esposto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

che il ricorrente ammesso al gratuito patrocinio (si veda il provvedimento del Consiglio dell’ordine degli Avvocati di Milano del 19.12.2014 in atti), non è tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione così come previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, comma introdotto dalla legge di stabilità del 2013 – la L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, (Cass. 2 settembre 2014, n. 18523).

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio liquidate in Euro 100,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2017

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