Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6841 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 6841 Anno 2016
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: GRAZIOSI CHIARA

SENTENZA
sul ricorso 21837-2012 proposto da:
DE SANTIS FLAVIA DSNFLV56A65H282J, VALENTE LUCIA
VLNLCU26545A883V, elettivamente domiciliate in ROMA,
VIA ENNIO

QURINO VISCONTI

20, presso lo studio

dell’avvocato SALVATORE FRANCESCO DONZELLI,
rappresentate e difese dall’avvocato ENRICO DE LUCA
2016

giusta procura speciale al margine del ricorso;
– ricorrenti –

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contro

PROVINCIA DI RIETI, in persona del Presidente legale
rappresentante pro tempore Dott. FABIO MELILLI,

Data pubblicazione: 08/04/2016

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CANDIA 121,
presso lo studio dell’avvocato STEFANO CRUCIANI,
rappresentata e difesa dall’avvocato LUCA CONTI
giusta procura speciale a margine del controricorso;

2580/2012 della CORTE

D’APPELLO di ROMA, depositata il 14/05/2012, R.G.N.
4268/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/01/2016 dal Consigliere Dott. CHIARA
GRAZIOSI;
udito l’Avvocato ENRICO DE LUCA;
udito l’Avvocato LUCA CONTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. UMBERTO DE AUGUSTINIS che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine per il rigetto del
ricorso;

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avverso la sentenza n.

con troricorrente

21837/2012

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 17 aprile-14 maggio 2012 la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello
proposto da De Santis Flavia e Valente Lucia avverso sentenza del 20 giugno 2009 con cui il
Tribunale di Rieti aveva respinto la loro domanda risarcitoria, presentata nei confronti della
Provincia di Rieti, per la morte del congiunto Carelli Sergio (coniuge della De Santis e figlio

guida di un motociclo, aveva perso il controllo del mezzo per velocità non moderata ma anche,
secondo le attrici ora ricorrenti, per insidia, essendo il manto stradale gonfiato al centro della
corsia dall’affioramento delle radici di un pino.
2. Hanno presentato ricorso De Santis Flavia e Valente Lucia, sulla base di tre motivi.
Il primo motivo viene proposto ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. per omessa
valutazione dell’impugnata sentenza di elementi contenuti nella consulenza svolta per il PM
durante il procedimento penale relativo alla morte del Carrelli, avendo tale consulenza
evidenziato che sussisteva un’insidia non visibile e non prevedibile sul manto stradale.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 2043 c.c. e del principio del neminem
laedere in relazione all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., nonché vizio motivazionale su un

punto decisivo della controversia. Il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto delle modifiche
del manto stradale effettuate dalla Provincia di Rieti dopo il sinistro, come accertato dal
consulente del PM, che dimostrerebbero l’omessa custodia della Provincia e la sua violazione
del principio del neminem laedere.
Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, nn.3 e 5 c.p.c., violazione
dell’articolo 1227, secondo comma, c.c. e vizio motivazionale per errata individuazione del
comportamento interruttivo del nesso causale.
Si è difesa con controricorso la Provincia di Rieti, evidenziandone la natura fattuale e chiedendo
quindi che sia disatteso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.
3.1 I tre motivi possono essere accorpati nel vaglio in quanto, nonostante le diverse rubriche
che li enunciano e nonostante il riferimento ivi incluso a norme sostanziali, si tratta comunque

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della Valente) in un sinistro stradale avvenuto il 18 febbraio 2001, sinistro in cui il Carelli, alla

della denuncia di un preteso vizio motivazionale che, come ora si verrà a illustrare, non
sussiste, collocandosi tutte le doglianze delle ricorrenti sul piano di una diretta critica della
valutazione fattuale dei giudice di merito.
Per comprendere, allora, il reale contenuto delle censure proposte nel ricorso è il caso di
riassumere anzitutto quello che la corte territoriale ha espresso nella sua motivazione.
Già nell’atto d’appello, come rimarca la corte, le attuali ricorrenti avevano sostenuto che il

dell’asfalto e la mortale caduta del motociclista, ritenendo mancante la prova che il fatto non
sarebbe successo se quest’ultimo avesse mantenuto una velocità corretta. Il giudice d’appello
ha esaminato la questione con dettagliata puntualità, condividendo con il primo giudice che le
attuali ricorrenti non avessero “provato l’esistenza del nesso causale tra la pretesa omessa
custodia del bene ed il fatto dannoso ” e comunque ritenendo – pure ai fini della responsabilità
della Provincia di Rieti ex articolo 2043 c.c. – emerso che ” il fatto è accaduto a causa
esclusivamente della velocità tenuta dal motociclista”, che aveva comunque
contemporaneamente violato norme del codice della strada oltre alle “norme di comune
prudenza”.
Descrive quindi il giudice d’appello come si è verificato il tragico evento, osservando che
“l’incidente è avvenuto in pieno giorno, in un tratto di strada che, dopo una curva volgente a
destra nella direzione di marcia del motociclista, diviene rettilineo, leggermente in salita, verso
la sommità di un dosso”, tratto in cui, tra l’altro, era segnalato il limite di velocità di 50
chilometri all’ora e vi era divieto di sorpasso, come segnalava la striscia bianca continua sulla
mezzeria. Risultavano segnalati altresì un incrocio, un pericolo generico per alberi in banchina
e un cartello di pericolo per dosso. La strada inoltre recava segnalazione del centro abitato di
Piani Sant’Elia. Nonostante tutto questo il motociclista, come constatato proprio dail consulente
del PM, sopraggiungeva a velocità tra 92 e 114 chilometri all’ora, dopo avere sorpassato
un’auto ed essere rientrato nella sua corsia di marcia.
In sintesi, osserva poi la corte territoriale che il motociclista “ha viaggiato, nel frangente, ad
una velocità prossima al superiore del doppio rispetto a quella consentita; ha sorpassato
sebbene la striscia bianca continua glielo vietasse; non ha posto alcuna attenzione alla serie di
cartelli indicanti pericolo generico di dosso e di alberi in banchina e neppure al fatto che stesse
transitando in un centro abitato ed in prossimità di un incrocio”, tutti elementi che avrebbero
dovuto imporgli una velocità ancora inferiore a quella dei 50 km/h ai sensi dell’articolo 141,
commi sesto e terzo, Cd5. Per di più “la presenza della segnalazione di pericolo per alberi in
banchina rendeva probabile che presso l’asfalto potessero esservi radici o altri ingombri ad
esse dovuti”. Dagli elementi raccolti, e in particolare dall’elevatissima velocità del motociclista,
appena rientrato nella propria corsia di marcia dopo il sorpasso, deduce perciò la corte che,
“se la sua velocità fosse stata consona allo stato dei luoghi, cioè quanto meno prossima ai 40
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Tribunale avesse erroneamente escluso l’esistenza del nesso causale tra il rigonfiamento

km orari e se avesse rispettato la striscia bianca continua, omettendo il sorpasso, egli avrebbe
potuto scorgere con largo anticipo tutti i segnali presenti sul luoghi, compreso quello di
pericolo per alberi in banchina; porre attenzione alle condizioni dell’asfalto, anche in ragione
della presenza degli alberi e giungere a velocità moderata sul detto rigonfiamento” – che,
sempre secondo il consulente del PM, nella condizione di piena luce in cui accadde il sinistro
“era visibile a meno di 20 metri” – così da evitarlo con una semplice sterzata; e anche se non
fosse riuscito a evitarlo, non avrebbe subito alcuna conseguenza, tenuto conto della notevole e
notoria solidità delle sospensioni e degli pneumatici di motoveicoli” come quello che il Carelli

velocità del motociclista che, se fosse stata una “velocità moderata, come imponeva lo stato
dei luoghi”, al contrario avrebbe impedito, nonostante il rigonfiamento del manto stradale, ogni
conseguenza sulla marcia del motociclista stesso.
3.2 È il caso di osservare che alla sentenza impugnata, depositata il 14 maggio 2012, è
applicabile ratione temporis la norma di cui al n.5 del primo comma dell’articolo 360 c.p.c. nel
testo anteriore a quello introdotto in sua sostituzione dall’articolo 54, primo comma, lettera b),
d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito con modifiche nella I. 7 agosto 2012 n. 134: il vizio
motivazionale, pertanto, è qui rimasto denunciabile al giudice di legittimità “per omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”.
La sintesi sopra tracciata dell’apparato motivazionale della sentenza, nella parte in cui
ricostruisce il fatto ed esclude che il rigonfiamento del manto stradale sia stato
eziologicamente connesso con la caduta mortale dalla motocicletta del Carelli, già dimostra che
la questione del nesso causale è stata considerata, senza che l’apparato motivativo, al
riguardo, presenti incongrultà o evidenti illogicità, o tanto meno violazione dell’articolo 1227,
secondo comma, c.c. (come prospetta il terzo motivo); parimenti detta sintesi dimostra che la
corte territoriale non ha omesso di considerare la distanza da cui poteva essere avvistato il
rigonfiamento del manto stradale dal motociclista, come nel primo e nel secondo motivo di
ricorso invece si prospetta lamentando che la corte non avrebbe tenuto in conto quanto
osservato dal consulente del PM in ordine alla non visibilità e alla non prevedibilità del pericolo.
Quest’ultimo rilievo conduce a quella che è l’effettiva sostanza di tutte e tre le censure
presentate nel ricorso: al giudice d’appello si muove critica per non avere specificamente
considerato nella motivazione alcuni elementi, come il fatto che il consulente avrebbe giudicato
non visibile e non prevedibile quella che sarebbe conseguentemente una vera e propria insidia,
cioè il rigonfiamento del manto stradale, e l’avere dopo il sinistro la Provincia provveduto al
rifacimento della pavimentazione stradale, che lo stesso consulente avrebbe poi trovato piana
e livellata.
Tale profilo, tuttavia, non apporta fondatezza al ricorso: il giudice di merito, nell’esternare gli
elementi su cui ha fondato il proprio libero convincimento e nell’illustrare l’iter del suo
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conduceva. Conclude pertanto la corte territoriale identificando la causa del sinistro nella

costruttivo ragionamento non è tenuto a considerare espressamente tutti gli elementi probatori
e tutte le difese, risultando implicitamente assorbito anche ciò che non è stato menzionato
qualora venga offerta una motivazione adeguatamente strutturata ed esente da illogicità, che
gli elementi non menzionati non siano idonei a inficiare; se la motivazione è conformata in
modo corretto, dunque, il sindacato del giudice di legittimità non può che limitarsi a
constatarlo, non potendo giammai introdursi nella sostanza del merito per valutarne la
condivisibilità o meno, ovvero valutare eventuali versioni alternative degli esiti probatori (v. p.
es. Cass. sez. L, 7 gennaio 2009 n. 42, per cui appunto tanto la valutazione delle risultanze

sorreggere la motivazione “involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il

quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili,
senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti,
anche se allegati dalle parti”; sull’inesistenza di un obbligo del giudice di merito ad una
considerazione elencativa e specifica di ogni elemento probatorio acquisito nel processo v.
pure, p. es., Cass. sez. 2, ord. 12 aprile 2011 n.8294 e Cass. sez. 3, 28 ottobre 2009 n.22801;
e cfr. Cass. sez. L, 14 novembre 2013 n. 25608, che coglie la sostanza della cognizione di
merito dichiarando che “spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le

fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di
scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a
dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o
all’altro dei mezzi di prova”;

sulla stessa linea Cass. sez.6-5, ord. 26 gennaio 2015 n. 1414,

Cass. sez. 6 – 5, ord. 8 gennaio 2015 n. 101, Cass. sez. 1, 23 maggio 2014 n. 11511, Cass.
sez. L, 15 luglio 2009 n. 16499, Cass. sez. 3, 16 gennaio 2007 n. 828, Cass. sez. 3, 24 maggio
2006 n. 12362, Cass. sez.2, 17 novembre 2005 n. 23286, Cass. sez. L, 1 settembre 2003 n.
12747 e Cass. sez. 3, 11 agosto 2000 n. 10719).
Quel che rileva, invero, è la complessiva struttura motivazionale mediante la quale il giudice di
merito esterna e spiega il suo accertamento, e che può essere censurata per omessa
considerazione di un elemento probatorio soltanto nell’ipotesi in cui, appunto, detto elemento
sia oggettivamente idoneo a confutare il complessivo apparato motivazionale, cioè decisivo, id

est lesivo della ratio decidendi. Si tratta di un principio generale (riscontrabile con analogo
contenuto pure nel settore penale) in ordine ai limiti del sindacato indiretto – con certezza
quantomeno per quel che riguarda il testo qui applicabile dell’articolo 360 n.5 c.p.c. – che il
giudice di legittimità opera sulla cognizione di merito attraverso la verifica della relativa
motivazione; ed è chiarissimo l’insegnamento in tal senso di S.U. 25 ottobre 2013 n. 24148,
per cui

“la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal

ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la
totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero
quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza,

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delle prove quanto la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a

procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, ai suo
convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle
deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi
delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione
delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova
pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (v.
pure, tra gli arresti più recenti, Cass. sez. L, 14 febbraio 2013 n. 3688 e Cass. sez. L,

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Risulta pertanto evidente che il ricorso in esame persegue un terzo grado di merito,
argomentando a favore di una versione alternativa che si fonderebbe su alcuni elementi che il
giudice di merito in parte non ha menzionati ma che comunque non sono idonei a neutralizzare
la ratio decidendi espressa dalla motivazione, cioè la guida assolutamente imprudente del
Carelii, sia sotto il profilo della velocità sia – a ben guardare, perché anch’esso sulla velocità
tenuta dal guidatore si riflette – il profilo dell’omessa attenzione alle segnalazioni stradali e del
conseguente omesso rispetto di plurime regole: tutto ciò ha ritenuto la corte territoriale
sufficiente a integrare una causa esclusiva del sinistro, e quindi a sgravare da ogni
responsabilità, sia oggettiva ex articolo 2051 c.c. sia aquiliana ex articolo 2043 c.c. la Provincia
di Rieti, operando una valutazione alla cui condivisibilità non si estende la potestas judicandi
del giudice di legittimità.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna delle ricorrenti solidale ex articolo 97, primo comma, c.p.c., per il comune interesse processuale – alla
rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna solidalmente le ricorrenti a rifondere a controparte le spese
processuali, liquidate in un totale di € 6800, di cui E 200 per esborsi, oltre agli accessori di
legge.

Così deciso in Roma il 12 gennaio 2016

Il Consigliere Estensore

Il

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marzo 2011 n. 6288).

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