Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 684 del 19/01/2010

Cassazione civile sez. III, 19/01/2010, (ud. 28/09/2009, dep. 19/01/2010), n.684

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6110/2005 proposto da:

HABITAT IMMOBILIARE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliato in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso

lo studio dell’avvocato VITALI Paolo, che lo rappresenta e difende

con procura speciale del Notaio Dott. RICCARDO SCORNAJENGHI in 87036

RENDE (CS) il 14/02/2005, Repertorio N. 73543;

– ricorrente –

contro

FINDOMESTIC BANCA SPA, S.F.;

– intimati –

sul ricorso 8741/2005 proposto da:

FINDOMESTIC BANCA SPA, in persona del suo Amministratore delegato

Dott. F.C. elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G.G.

BELLI 36, presso lo studio dell’avvocato MANFREDINI ORNELLA, che lo

rappresenta e difende per mandato a margine del controricorso con

ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

HABITAT IMMOBILIARE SRL in persona del legale rappresentate pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, FORO TRAIANO 1-A, presso

lo studio dell’avvocato VITALI PAOLO, che lo rappresenta e difende

con procura speciale del Notaio Dott. RICCARDO SCORNAJENGHI in 87036

RENDE (CS) il 19/05/2005, Repertorio N. 74961;

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, FORO TRAIANO 1-

A, presso lo studio dell’avvocato VITALI PAOLO, che lo rappresenta e

difende con procura speciale del Notaio Dott. RICCARDO SCORNAJEMGHI

in RENDE (CS) il 19/04/2005 Repertorio N. 74962;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 565/2004 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

Sezione Prima Civile, emessa il 19/10/2004; depositata l’18/11/2004;

R.G.N. 383/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

28/09/2009 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

IN FATTO

Adito dalla s.r.l. Habitat Immobiliare perchè fosse accertata la fondatezza propria della pretesa volta ad ottenere la declaratoria di perdurante validità di un contratto di locazione stipulato con la s.p.a. Findomestic il (OMISSIS) (e il conseguente inadempimento contrattuale della convenuta all’obbligo di pagamento dei relativi canoni), il giudice di primo grado, ritenuto tacitamente rinnovato il contratto de quo, accolse la domanda.

L’impugnazione proposta dalla Findomestic fu parzialmente accolta dalla corte di appello di Catanzaro, che dichiarò cessato alla data del 17.10.2000 la convenzione locativa – con conseguente diritto dell’appellante alla ripetizione dei canoni di locazione corrisposti sino a quella data -, ritenendo nel contempo inammissibile il gravame incidentale dell’appellata.

La sentenza è stata impugnata dinanzi a questa corte dalla Habitat con ricorso sorretto da 2 motivi.

Resiste la Findomestic con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, cui resiste con controricorso la Habitat.

Le parti non hanno depositato memorie.

Diritto

IN DIRITTO

I ricorsi, principale e incidentale (che vanno previamente riuniti, sì come proposti avverso la medesima sentenza), sono entrambi infondati.

Immeritevole di accoglimento risulta il ricorso principale per le ragioni che seguono.

Con il primo motivo, sì denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. Artt. 99, 101 e 112 c.p.c., art. 342 c.p.c., comma 1, art. 434 c.p.c., comma 1 e art. 441 bis c.p.c.; art. 1362 c.c.); omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Lamenta la difesa della società ricorrente un preteso vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per aver pronunciato su di un punto (la risoluzione consensuale del contratto di locazione) non oggetto di domanda da parte della odierna resistente, “non potendo la domanda di risoluzione considerarsi contenuta in via implicita nella richiesta di declaratoria di estinzione del rapporto di locazione in seguito a disdetta”, ed avendo la corte territoriale ricollegato tale effetto risolutivo alla (ritenuta) nascita di un nuovo accordo tra le parti e non alla caducazione del contratto per mancata rinnovazione.

Il giudice di merito non avrebbe, altresì, sufficientemente motivato in ordine alla legittima predicabilità di un accordo estintivo intervenuto inter partes, non potendosi evincere tale effetto caducatorio dalle missive scambiate tra il 12 e il 17 ottobre 2000, mentre le medesime deduzioni avrebbero dovuto valere anche in relazione alla disposta restituzione del deposito cauzionale, quale conseguenza diretta del capo di sentenza impugnato.

Il motivo è privo di pregio.

Esso si infrange, difatti, sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello nella parte in cui ha ritenuto che questio facti et iuris sottoposta al suo esame fosse quella della corretta, individuazione temporale del dies a quo della cessata locazione, nonchè della (conseguente) determinazione delle somme da versare da parte della conduttrice a titolo di canoni non corrisposti.

Nel loro complesso, pertanto, le doglianze investono un aspetto della sentenza d’appello attinente al merito del processo – la individuazione della data di cessazione del contratto di locazione originariamente stipulato tra le parti nel 1993 -, come tale irredimibilmente sottratto al sindacato di questa corte, cui è riservato esclusivamente il controllo della rispondenza a canoni legali dell’attività ricostruttivo-interpretativa del giudice territoriale, attività che, nella specie, apparendo priva di qualsiasi vizio logico-giuridico, si sottrae a qualsivoglia censura di legittimità: è principio di diritto già affermato da questa corte regolatrice, difatti, quello secondo il quale il giudice, ove accerti che, per erronea indicazione ovvero per avvenuta rinnovazione del contratto, l’effettiva data di scadenza dello stesso sia posteriore a quella indicata nell’atto di intimazione di licenza per finita locazione o di sfratto, può dichiarare la cessazione del contratto per una data successiva, senza, per questo, incorrere nel vizio di extra o ultra petizione (ex aliis, Cass. 7927 del 2004). Non senza considerare, ancora, quanto all’esatta ricognizione e determinazione del thema decidendum della controversia, che la stessa società ricorrente e attrice in prime cure aveva chiesto la condanna della controparte al pagamento dei canoni, a titolo indennitario, sino alla restituzione dell’immobile, così che la pronuncia della corte calabrese risulta sostanzialmente quanto legittimamente iscritta nell’orbita dell’originario petitum attoreo, sia pur formulato in via di ipotesi. Nè maggior pregio risulta rivestire la doglianza svolta al folio 9 del ricorso, secondo la quale il giudice del merito avrebbe “accertato (l’esistenza di) un nuovo accordo avente ad oggetto la cessazione del rapporto là dove non v’era alcuna domanda in tal senso”, risultando per converso formulata ex adverso la (sia pur generica) domanda di accertamento “della perdurante efficacia” degli effetti della convenzione negoziale.

Parimenti sottratta al sindacato di legittimità di cui questa corte può essere istituzionalmente investita appare poi la articolata contestazione del contenuto e del significato delle missive oggetto di reciproco scambio tra le parti. Il ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte, in parte qua, un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto inaccoglibili perchè la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva. E’ principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 c.p.c., n. 5, non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove c.d. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile). Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

Del pari infondato appare il ricorso incidentale, il cui rigetto scaturisce, ipso facto, all’esito delle considerazioni che precedono, idonee a respingerne i tre motivi su cui esso si fonda, con i quali si lamentano, a vario titolo, violazioni di legge e difetti di motivazione in ordine alla ricostruzione del significato, della portata e degli effetti, della complessa vicenda prae e post negoziale per la quale è processo, non senza considerare, ancora, che, in punto di interpretazione adottata dai giudici di merito con riferimento alla vicenda predetta, e al contenuto della convenzione negoziale in discussione, principio di diritto predicato costantemente da una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice è quello secondo cui, in tema di ermeneutica contrattuale, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma esclusivamente il rispetto dei canoni normativi di interpretazione (sì come dettati dal legislatore all’art. 1362 c.c., e segg.) e la coerenza e logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà prenegoziale e negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati.

Con il secondo motivo del ricorso principale, si denuncia una pretesa nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Il motivo non ha giuridico fondamento.

L’inesattezza dell’indicazione, contenuta nel dispositivo della sentenza impugnata, in ordine al diritto alla ripetizione dei canoni (esercitabile “sino al 17.10.2000”) non inficia, difatti, la validità della pronuncia che, giusta ormai consolidata giurisprudenza di questa corte regolatrice (tra le molte conformi, Cass. 17392 del 2004), va letta nel suo complessivo contenuto secondo una necessaria integrazione/interazione tra motivazione e dispositivo, emergendo con chiarezza, all’uopo, il riconosciuto diritto della Habitat a percepire i canoni di locazione con riferimento al periodo ricompreso tra l’aprile 1999 e l’ottobre 2000, con conseguente diritto della Findomestic alla ripetizione di quanto versato in eccedenza, in conseguenza dell’esecuzione del diverso disposto di prime cure. L’errore materiale andrà dunque corretto secondo la procedura di cui all’art. 287 c.p.c..

Il ricorso principale e quello incidentale sono, pertanto, rigettati.

La disciplina delle spese segue, giusta il principio della reciproca soccombenza, come da dispositivo.

P.Q.M.

La corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Dichiara interamente compensate le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2010

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