Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 684 del 15/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 684 Anno 2014
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 21983-2010 proposto da:
BIANCHI SERGIO C.F. BNCSRG57A29D969P, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TIRSO 90, presso lo studio
dell’avvocato PATRIZI GIOVANNI, che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato BIOLE’ ADOLFO, giusta
delega in atti;
– ricorrente –

2013
3077

contro

I.N.A.I.L – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE
CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO C.F. 01165400589, in
persona del legale rappresentante

212

tempore,

Data pubblicazione: 15/01/2014

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE
144, presso lo studio degli avvocati FABBI RAFFAELA,
LA PECCERELLA LUIGI, giusta delega in atti;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 511/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 29/10/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato FAVATA EMILIA per delega LA
PECCERELLA LUIGI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDINO i che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di GENOVA, depositata il 15/09/2009 R.G.N. 1062/2008;

Udienza del 29 ottobre 2013 — Aula B
n. 5 del ruolo—RG n. 21983/10
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di
Genova n. 1656 del 21 ottobre 2008: 1) dichiara che l’assenza dal lavoro di Sergio Bianchi
protrattasi fino al 31 ottobre 1997 è ascrivibile all’infortunio occorso al Bianchi; 2) condanna
l’INAIL a corrispondere all’infortunato l’indennità per invalidità temporanea, nella misura di legge,
detratto quanto eventualmente già pagato a tale titolo, con interessi legali e, se superiore,
rivalutazione monetaria a decorrere dal 121° giorno successivo alla domanda amministrativa; 3)
conferma, per il resto, la sentenza di primo grado.
La Corte d’appello di Genova, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il CTU di primo grado dott. Traversa ha dato esauriente risposta all’INAIL circa la
configurabilità dello stress lavorativo come “causa violenta” e del conseguente infarto come
postumo di infortunio sul lavoro;
b) il consulente ha, infatti, affermato che l’infarto del miocardio in soggetto predisposto — cioè
già affetto da coronaropatia ostruttiva — può essere causato da fattori a vario titolo stressanti, cioè
fortemente impegnativi sul piano fisico, psichico, emozionale, quale, nella specie, la progressione
del superlavoro che ha raggiunto, nell’ultimo periodo, un’intensità tale da agire dall’esterno come
fattore scatenante dell’infarto del miocardio che ha colpito il Bianchi;
c) per la percentuale di invalidità permanente, è del tutto corretta e deve essere confermata la
valutazione della misura del 4% effettuata dal secondo CTU di primo grado, in quanto questi — a
differenza del primo CTU — ha tenuto conto della ipertensione arteriosa e della coronaropatia
ischemica preesistenti e non aventi origine professionale;
d) da tali patologie, secondo il CTU, derivano le correzioni chirurgiche (angioplastica) e
alcune modeste alterazioni anatomiche (ipertrofia concentrica del ventricolo sinistro), mentre
l’unico dato associabile all’infarto è rappresentato da una “limitatissima zona di ipocinesia della
parete anterolaterale in sede apicale, con normale funzione sistolica globale”, cui si riferisce la
indicata valutazione dei postumi invalidanti.
2.— Il ricorso di Sergio Bianchi domanda la cassazione della sentenza per due motivi; resiste,
con controricorso, l’ INAIL.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Il ricorso è articolato in due motivi.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione.

In particolare si lamenta che la Corte genovese non abbia spiegato la ragione per cui — a fronte
di due CTU di primo grado, che avevano, rispettivamente concluso, la prima, per postumi
permanenti pari al 18% e la seconda, per una percentuale del 4% di invalidità permanente residua —
abbia ritenuto di concordare con le conclusioni del secondo CTU attributive di un danno
permanente di percentuale inferiore alla soglia indennizzabile, senza spiegarne in modo adeguato le
ragioni e senza menzionare il fatto che anche il consulente di parte dell’INAIL si era espresso in
modo concorde con il primo consulente per un danno permanente residuo pari al 18%.
Il tutto a fronte della proposizione di specifici motivi di appello sul punto, nei quali erano
state contestate le affermazioni del secondo CTU di primo grado in merito alla sussistenza di fattori
patologici preesistenti, prive di alcun riferimento e non emergenti da alcun dato documentale o
accertamento diagnostico.
Tali affermazioni, basate soltanto su giudizi di verosimiglianza e presumibilità, sono, come
tali prive, di valore scientifico, tanto più che risultano contraddette dalle affermazioni contenute
nella prima CTU ove il consulente ha espressamente escluso la presenza di “dati anamnestici di
familiarità per patologia coronarica ovvero vascolare” e della emergenza di “precedenti anamnestici
di qualche rilevanza, eccezion fatta per modica ipertensione arteriosa in trattamento con
ACEinibitori, sovrappeso e abitudine voluttuaria al fumo (peraltro contenuta)” ed ha sottolineato
trattarsi di “soggetto privo di precedenti morbosi di natura cardiaca o circolatoria e comunque in
assai giovane età (al momento del fatto il sig. Bianchi era infatti appena quarantenne) privo, inoltre,
in base ai dati degli accertamenti ematochimici eseguiti in regime di ricovero, di fattori metabolici o
farmacologici in grado di facilitare l’insorgenza di detta patologia”.
Poiché la sentenza impugnata sul punto è totalmente e immotivatamente adesiva alla seconda
CTU priva di riscontri scientifici, le carenze e deficienze diagnostiche della consulenza si
rifletterebbero sulla sentenza viziandone la motivazione.
Né va omesso di considerare che la valutazione della percentuale di danno permanente
riconosciuta dalla Corte d’appello (4%) è pari a quella comunemente riconosciuta per il colpo di
frusta, mentre le conseguenze postinfartuali subite dal Bianchi, molteplici e a carico dell’organo più
importante e vitale di tutto l’organismo (il cuore), sono: a) posizionamento di uno STENT nelle
arterie coronarie; b) necrosi parziale della parete del cuore; c) ipocinesia (ridotta motilità) del
ventricolo sinistro del cuore.
2

Si rileva che la Corte d’appello, dopo aver esattamente qualificato lo stress lavorativo come
“causa violenta” e il conseguente infarto del miocardio come infortunio sul lavoro, ha esaminato
superficialmente la questione relativa alla quantificazione del danno permanente residuato al
suddetto infarto.

Ad avviso del ricorrente un altro elemento da cui si desume, con chiarezza, l’erroneità della
CTU cui la Corte genovese ha aderito è rappresentato dal fatto che il consulente, non solo è partito
dal presupposto sbagliato e non documentato, della preesistenza di uno stato patologico di tipo
cardiologico, ma è arrivato addirittura a sostenere che l’intervento medico ha ridotto gli esiti
dell’infarto al punto da avere riportato lo stato di salute del Bianchi alla situazione precedente
l’infortunio, dimostrando così, ancora una volta, di non aver effettuato valutazioni di tipo scientifico
nel calcolo degli esiti permanenti conseguenti all’infarto.
Tali erronee valutazioni — pur accedendo, in ipotesi, alla tesi della preesistenza di patologie
predisponenti — risultano comunque effettuate in violazione dell’art. 79 del t.u. n. 1124 che ha
istituzionalizzato la c.d. formula Gabrielli, secondo cui il grado di riduzione permanente
dell’attitudine al lavoro causata da infortunio, quando risulti aggravata da inabilità preesistenti
derivanti da fatti estranei al lavoro, deve essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro ma a
quella ridotta per effetto delle preesistenti inabilità, e deve essere calcolata senza che abbia rilievo la
circostanza che l’inabilità preesistente e quella da infortunio incidano sullo stesso apparato
anatomo-funzionale.
Un ulteriore errore della CTU in oggetto è rappresentato dall’aver calcolato la contestata
percentuale del 4% facendo espresso riferimento “alla tabella delle menomazioni allegata al d.P.R.
n. 1124 del 1965”, mentre tale tabella non comprende l’infarto del miocardio e neppure le
cardiopatie, come aveva dimostrato di sapere il primo CTU che era arrivato alla quantificazione del
18% “per analogia”.

Esame delle censure

2.- I due motivi di ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione —
sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
Deve essere, in primo luogo, precisato che, diversamente da quanto sostenuto dall’Istituto
controricorrente, le censure del Bianchi non si traducono in un mero dissenso diagnostico, come
tale, inammissibile in sede di legittimità, per costante giurisprudenza di questa Corte, ma attengono
alle diverse questioni riguardanti, rispettivamente: a) il tipo di motivazione da adottare nel caso di
espletamento nel corso del giudizio di più consulenze tecniche aventi conclusioni difformi (primo
motivo); b) la mancata applicazione dell’art. 79 del d.P.R. n. 1124 del 1965 (secondo motivo).
3.- Per quel che riguarda la prima delle suddette questioni, va ricordato che, in base a
consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:
1) in tema di consulenza tecnica di ufficio, se lo svolgimento di una prima consulenza non
preclude l’affidamento di un’ulteriore indagine a professionista qualificato nella materia al fine di
fornire al giudice un ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati
dalle parti, è tuttavia necessario che il giudice che intenda uniformasi alle risultanze della seconda
3

1.2.- Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 79 del t.u. n. 1124 del 1965; b) in relazione all’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., omessa e insufficiente motivazione.

2) infatti, la consulenza tecnica d’ufficio — che in genere non è mezzo di prova bensì
strumento di valutazione dei fatti già probatoriamente acquisiti — può costituire fonte oggettiva di
prova — pur rimanendo un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso al potere
discrezionale del giudice, il cui esercizio incontra il duplice limite del divieto di servirsene per
sollevare le parti dall’onere probatorio e dell’obbligo di motivare il rigetto della relativa richiesta
(vedi, per tutte: Cass. 8 gennaio 2004, n. 88) — quando si risolva nell’accertamento di situazioni
rilevabili solo con l’ausilio di specifiche cognizioni o strumentazioni tecniche — come avviene con
la consulenza medico-legale — sicché in tal caso il giudice può aderire alle conclusioni del
consulente senza essere tenuto a motivare esplicitamente l’adesione, salvo che dette conclusioni
formino oggetto di specifiche censure (arg. ex Cass. 19 gennaio 2011, n. 1149);
3) in particolare, qualora il giudice ritenga di aderire al parere del consulente tecnico di
ufficio, è tenuto a spiegare in maniera corretta ed esauriente i motivi delle sue conformi conclusioni,
nel caso in cui le affermazioni contenute nell’elaborato peritale siano oggetto, nella impostazione
difensiva della parte, di critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni
diverse da quelle indicate nella consulenza tecnica (Cass. 4 marzo 1983, n. 1628);
4) in tal ultimo caso, non adempie al predetto obbligo di motivazione il giudice che, per
confutare le suddette critiche, si limita a generiche affermazioni di adesione al parere del consulente
(Cass. 23 giugno 1995, n. 7150; Cass. 24 novembre 1997, n. 11711; Cass. 22 febbraio 2000, n.
1975; Cass. 1 marzo 2007, n. 4797; Cass. 24 aprile 2008, n. 10688);
5) comunque, il controllo del giudice sulle conclusioni del CTU non può in ogni caso mancare
quando si tratti di prendere atto delle premesse del detto ragionamento e di verificarne la
congruenza logica perché i vizi del processo logico seguito dal consulente si ripercuotono sulla
motivazione della sentenza adesiva, senza specifiche argomentazioni, alle conclusioni stesse, in
quanto il giudice deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata su una questione
tecnica rilevante per la definizione della causa (Cass. 3 gennaio 2011, n. 72; Cass. . 21 agosto 1982,
n. 4696; Cass. 26 novembre 1977, n. 5169);
6) in tale ultimo caso, infatti, gli errori e le lacune della consulenza medico-legale divengono
suscettibili di esame in sede di legittimità — ovviamente, soltanto sotto il profilo del vizio di
motivazione della sentenza — perché la relativa prospettazione non si traduce in un mero”dissenso
diagnostico”, cioè nella semplice difformità tra la valutazione del consulente circa l’entità e
l’incidenza del dato patologico e la valutazione della parte, ma attinge lo stesso processo logico che
sorregge — per il tramite detta relazione del c.t.u. — la decisione (arg. ex. Cass. 29 agosto 2011, n.
17720; Cass. 12 gennaio 2011, n. 569; Cass. 11 gennaio 2011, n. 459; Cass. 8 novembre 2010, n.
22707).
4

consulenza tecnica di ufficio non si limiti ad un’adesione acritica ad esse ma giustifichi la propria
preferenza, specificando la ragione per la quale ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo
consulente, salvo che queste abbiano formato oggetto di esame critico nell’ambito della nuova
relazione peritale con considerazioni non specificamente contestaste dalle parti (Cass. 26 agosto
2013, n. 19572; Cass. 3 marzo 2011, n. 5148; Cass. 30 ottobre 2009, n. 23063);

Nella specie la Corte genovese non si è attenuta ai suddetti principi, in quanto:

b) in tal modo la Corte territoriale non ha dato, in realtà, alcuna valida motivazione della
propria scelta, visto che la questione della sussistenza di fattori patologici preesistenti era stata
oggetto di specifici motivi di appello, nei quali si sosteneva che le affermazioni al riguardo del
secondo CTU — che non trovavano alcuna corrispondenza nella prima CTU, ove si era esclusa la
presenza di dati anamnestici di qualche rilevanza, trattandosi di “soggetto privo di precedenti
morbosi di natura cardiaca o circolatoria” — erano sfornite di alcun riferimento e non emergenti da
alcun dato documentale o accertamento diagnostico, in quanto, fra l’altro, nella relazione del
secondo CTU (vedi p. 13) la rilevata coronopatia è stata considerata solo come “verosimile sede
dell’episodio infartuale” in “assenza di riscontro elettrocardiografico” e, comunque, le conclusioni
del primo consulente sul punto non hanno formato oggetto di esame critico nell’ambito della
seconda relazione peritale, ove sono state semplicemente riportate;
c) conseguentemente la Corte territoriale, aderendo alle conclusioni del secondo CTU di
primo grado, ne ha anche recepito la valutazione dei postumi invalidanti nella misura del 4%, senza
dare alcuna giustificazione dell’abbattimento di ben 14 punti percentuali effettuato da tale
consulente rispetto al primo (che aveva indicato la misura del 18%) e così, implicitamente
giustificando tale statuizione sempre con il riferimento ai fattori patologici preesistenti, non meglio
specificato, come si è detto.
4.- Per quel che riguarda la seconda delle suindicate questioni, va precisato che la Corte
genovese, accedendo alla tesi del secondo CTU sulla sussistenza di fattori patologici preesistenti
non aventi origine professionale, non ha, tuttavia fatto applicazione dell’art. 79 del d.P.R. n. 1124
del 1965, secondo cui il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro causata da
infortunio, quando risulti aggravata da inabilità preesistenti derivanti da fatti estranei al lavoro, deve
essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro ma a quella ridotta per effetto delle
preesistenti inabilità, e deve essere calcolata secondo la cosiddetta formula Gabrielli — espressa da
una frazione avente come denominatore la ridotta attitudine preesistente e come numeratore la
differenza tra quest’ultima (minuendo) ed il grado di attitudine al lavoro residuato dopo l’infortunio
(sottraendo) — senza che abbia rilievo la circostanza che l’inabilità preesistente e quella da
infortunio incidano sullo stesso apparato anatomo-funzionale (vedi, per tutte: Cass. 30 luglio 2003,
n. 11703; Cass. 11 maggio 2001, n.6573; Cass. 2 dicembre 1999, n. 13453; Cass. 21 gennaio 1999,
n. 534; Cass. 24 febbraio 2010, n. 4512; Cass. 2 febbraio 2012, n. 1890 Cass. 21 agosto 1982, n.
4696).
L’applicazione della suddetta disposizione — effettuabile anche d’ufficio, ove il CTU non ne
abbia tenuto conto — avrebbe dovuto portare — previa verifica della reale sussistenza dei suddetti
fattori patologici preesistenti — ad un diverso e più ponderato calcolo del grado di riduzione
permanente dell’attitudine al lavoro subita dal ricorrente per effetto dell’infarto del miocardio acuto
5

a) ha affermato di ritenere corretta la indicazione della percentuale di invalidità permanente
effettuata dal secondo consulente di primo grado nella misura del 4%, limitandosi a giustificare tale
statuizione con il riferimento fatto dal suddetto consulente — a differenza del primo — alla
ipertensione arteriosa e alla coronaropatia ischemica preesistenti e non aventi origine professionale;

contratto ad appena quaranta anni di età durante un periodo nel quale. è stato accertato che la
progressione del superlavoro del Bianchi ha raggiunto, nei giorni più grossuni all’evento morboso,
un’intensità tale “da agire dall’esterno come fattore scatenante” della anzidetta patologia, come
affermato dalla stessa Corte genovese.

III

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Conclusioni

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, che si
atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi,
anche ai seguenti:
1) “benché lo svolgimento di una prima consulenza tecnica non precluda l’affidamento di
un’ulteriore indagine a professionista qualificato nella materia, al fine di fornire al giudice un
ulteriore mezzo volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, se il giudice
intende uniformasi alle risultanze della seconda consulenza tecnica di ufficio è tuttavia necessario
— ove tali risultanze siano state oggetto, nella impostazione difensiva della parte interessata, di
critiche precise e circostanziate idonee, se fondate, a condurre a conclusioni diverse da quelle
indicate nella consulenza tecnica — che non si limiti a generiche affermazioni di adesione alle
risultanze stesse, ma che giustifichi la propria preferenza, specificando la ragione per la quale
ritiene di discostarsi dalle conclusioni del primo consulente, salvo che queste abbiano formato
oggetto di preciso esame critico nell’ambito della nuova relazione peritale con considerazioni non
specificamente contestaste dalle parti”;
2) “in caso di infortunio sul lavoro, se si accerta la sussistenza di fattori patologici preesistenti
non aventi origine professionale, il giudice deve — anche di ufficio — fare applicazione dell’art. 79
del d.P.R. n. 1124 del 1965, secondo cui il grado di riduzione permanente dell’attitudine al lavoro
causata da infortunio, quando risulti aggravata da inabilità preesistenti derivanti da fatti estranei al
lavoro, deve essere rapportata non alla normale attitudine al lavoro ma a quella ridotta per effetto
delle preesistenti inabilità, e deve essere calcolata secondo la cosiddetta formula Gabrielli —
espressa da una frazione avente come denominatore la ridotta attitudine preesistente e come
numeratore la differenza tra quest’ultima (minuendo) ed il grado di attitudine al lavoro residuato
dopo l’infortunio (sottraendo) — senza che abbia rilievo la circostanza che l’inabilità preesistente e
quella da infortunio incidano sullo stesso apparato anatomo-funzionale”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 29 ottobre 2013.

5.- In sintesi, il ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte e con assorbimento di
ogni altro profilo di censura.

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