Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6839 del 22/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 22/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 22/03/2010), n.6839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via L. G. Faravelli n. 22, presso

lo studio dell’Avv. Morrico Enzo, che la rappresenta e difende per

procura rilasciata a margine del ricorso da M.C., nella

sua qualità di procuratore dell’ENI S.p.A. in forza dei poteri a lui

conferiti per atto notaio Domenico Avendola rep. n. 67707

dell’11.10.2005;

– ricorrente –

contro

L.F.E.;

– intimato –

e sul ricorso n. 23614/2006 proposto da:

L.F.E., elettivamente domiciliato in Roma, Piazzale

Clodio n. 32, presso lo studio dell’Avv. Ciabattini Lidia, che lo

rappresenta e difende, unitamente e disgiuntamente, con l’Avv.

Treglia Giorgio del foro di Milano per procura a margine del

controricorso;

– controricorrente ricorrente incidentale –

contro

ENI S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 397/05 della Corte di Appello di

Milano del 18.05.2 005 – 20.06.2005 nella causa iscritta al n. 174

del R.G. anno 2004;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

20.01.2010 dal Cons. Dott. De Renzis Alessandro;

udito l’Avv. Enzo Molaico per l’ENI S.p.A. e l’Avv. Lidia Ciabattini

per il controricorrente L.;

sentito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. FINOCCHI

GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, ritualmente depositato, L.F.E. conveniva in giudizio l’ENI S.p.A., sua datrice di lavoro, per sentir dichiarare il suo diritto ad essere inquadrato – dal 1 gennaio 1982 – nella superiore categoria (OMISSIS) del CCNL – settore energia – o, in subordine, dal 1 gennaio 1983 ovvero, in ulteriore subordine, nella categoria (OMISSIS).

Chiedeva anche la condanna dell’ENI al pagamento delle differenze retributive.

Chiedeva inoltre l’accertamento del demansionamento professionale, con condanna alla reintegra nelle mansioni in precedenza svolte o equivalenti, almeno dal 1990.

Chiedeva infine la condanna della convenuta al risarcimento del danno.

All’esito il Tribunale di Milano con sentenza n. 466 del 2003 accertava e dichiarava che il ricorrente aveva subito dall’inizio del 2000 una dequalificazione professionale, consistita nella sostanziale privazione di mansioni; condannava la convenuta a riaffidare al ricorrente mansioni equivalenti alle ultime svolte e a risarcire allo stesso ricorrente il danno professionale e morale determinato in L. 2.000.000, pari ad Euro 1.032,91, per ogni mese di dequalificazione fino all’assegnazione di mansioni equivalenti, oltre accessori.

Tale decisione, appellata dal L. e dall’ENI S.p.A., è stata confermata dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 397 del 2005, che ha ribadito la ricostruzione della posizione del L. escludendo il richiesto superiore inquadramento e riconoscendo la dequalificazione a partire dall’anno 2000, epoca in cui allo stesso vennero assegnati lavori pregiudizievoli alla sua professionalità.

La stessa Corte ha condiviso i criteri del primo giudice relativi alla liquidazione del danno alla professionalità ed escluso il danno biologico, perchè non provato.

L’ENI S.p.A. ricorre per Cassazione con tre motivi, illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste il L. con controricorso contenente ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare va disposta la riunione dei ricorsi ex art. 335 c.p.c., trattandosi di impugnazioni contro la stessa sentenza.

2. Il controricorrente ha eccepito il passaggio in giudicato della impugnata sentenza.

L’eccezione è infondata, in quanto la sentenza risulta pubblicata il 20 giugno 2005 e il ricorso per cassazione risulta consegnato all’ufficiale giudiziario in data 20 giugno 2006, quindi entro il termine annuale, decorrente appunto dal deposito della sentenza (Cfr.

Cass. n. 11024 del 2007 ed altre precedenti e successive conformi in ordine al perfezionamento, per il notificante, della notificazione a mezzo posta con la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e non anche a quello, successivo, del deposito del piego raccomandato nell’ufficio postale, che costituisce attività estranea al notificante).

3. Con il primo motivo del ricorso principale viene contestata la sentenza impugnata, per avere erroneamente ritenuto – in violazione degli artt. 2103, 1175, 1375 c.c. e dell’art. 41 Cost. e con insufficiente motivazione – provata l’esistenza di un demansionamento del L. dal 2000, addebitando la situazione ad essa società, la quale aveva in più occasioni offerto al lavoratore il disimpegno di vari incarichi professionali, e non all’inerzia dello stesso lavoratore, che più volte aveva manifestato di non gradire affatto la sua collocazione all’interno dell’assetto aziendale.

Con il secondo motivo del ricorso principale viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 – 1223 – 1226, 2697 c.c. e degli artt. 115 e 432 c.p.c., nonchè insufficiente motivazione, per avere il giudice di appello riconosciuto al L. il risarcimento della danno senza che in concreto fosse stata fornita dal lavoratore la prova di un concreto pregiudizio alla professionalità e senza alcune considerazione del comportamento passivo e di contrasto tenuto dal medesimo L.. Entrambi i motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Il giudice di appello, previa valutazione delle risultanze testimoniali, ha accertato che il L. per il periodo successivo al 2000 fu lasciato inattivo di fronte ai suoi superiori e colleghi di lavoro e subì un indubbio danno da dequalificazione, tanto più che lo stesso aveva raggiunto un elevato livello di specializzazione e avrebbe dovuto continuare l’esercizio delle mansioni per affinare il suo bagaglio professionale.

Il giudice di appello nel liquidare il danno ha proceduto alla sua quantificazione in base ad una molteplicità di elementi, quali la durata e la gravità della lesione professionale, la difficoltà nel reinserimento nel mondo del lavoro e la frustrazione dello stesso lavoratore nei rapporti con i superiori e colleghi di lavoro, come già detto.

In questa situazione correttamente il giudice di appello ha fatto ricorso alla valutazione di tipo equitativo, non contravvenendo peraltro al principio affermato da questa Corte (cfr Cass. n. 7572 del 2006) in tema di prova del danno da dequalificazione, avendo ritenuto che il lavoratore avesse assolto all’onus probandi in punto di danno alla vita professionale.

Con il terzo motivo del ricorso principale viene lamentata violazione e falsa applicazione degli artt. 1218 e 1223 c.c., in relazione al disposto dell’art. 2103 c.c., per essere stata disposta dal giudice di appello una inammissibile condanna in futuro della società fino all’assegnazione delle mansioni equivalenti.

Il rilievo non merita di essere condiviso, non essendo stato indicato il passo delle sentenza impugnata contenente l’asserita statuizione oggetto di censura ed essendo generico il riferimento alle richiamate norme.

4. Da parte sua il controricorrente ha proposto, come già detto, ricorso incidentale contro l’impugnata sentenza con tre motivi.

a) Con il primo motivo del ricorso incidentale il controricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del contratto collettivo.

Al riguarda osserva che il giudice di appello non ha tenuto in alcuna considerazione la definizione di categoria A), di cui all’art. 23 del CCNL, cui appartengono i lavoratori, ai quali sono attribuiti in campo amministrativo e tecnico, con funzioni di coordinamento e controllo, ed ha in modo erroneo interpretato tale disposizione contrattuale affermando che il L. non aveva un vero e proprio ruolo direttivo. La censura è infondata.

L’impugnata sentenza ha ricostruito il ruolo tenuto dal lavoratore nell’ambito della società richiamando (pag. 4), da un lato, le dichiarazioni dello stesso L. rese in udienza, che aveva affermato di non avere mai svolto mansioni di coordinamento, e, dall’altro lato, quanto rilevato dal primo giudice circa la mancata assunzione da parte dello stesso lavoratore di un vero e proprio ruolo direttivo.

A fronte di tale motivata valutazione, condotta dal giudice di appello anche in relazione alle declaratorie delle qualifiche (OMISSIS) (cui era inquadrato il L.) e (OMISSIS), il controricorrente si è limitato ad opporre un diversa interpretazione della normativa collettiva, non ammissibile in sede di legittimità.

b) Con il secondo motivo del ricorso incidentale si muovono rilievi alla sentenza di appello d enunciando omessa e contraddittoria motivazione in ordine ai criteri seguiti per la liquidazione del danno subito da esso lavoratore, quantificato nella ridotta misura di un terzo della retribuzione mensile per il periodo di dequalificazione e non nella misura dell’intera retribuzione.

Il motivo è privo di pregio e va disatteso, risultando (cfr. pag. 8 della sentenza) spiegate le ragioni di tale statuizione di tipo equitativo in relazione alla durata e gravità della dequalificazione subita dal L..

c) Con il terzo motivo del ricorso incidentale viene lamentato vizio di motivazione in tema di mancato riconoscimento del danno biologico.

Anche questo motivo non coglie nel segno, giacchè il L. si limita a richiamare il certificato medico, cui fa cenno la stessa sentenza, senza spiegare le ragioni dell’asserita contraddittorietà della statuizione impugnata con riferimento all’anzidetto documento, che non viene riportato e trascritto nel suo contenuto.

5. In conclusione entrambi i ricorsi sono destituiti di fondamento e vano rigettati.

Ricorrono giusti motivi per dichiarare la compensazione delle e spese del giudizio di cassazione, tenuto conto della reciproca soccombenza.

PQM

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 marzo 2010

 

 

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