Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6839 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 08/01/2020, dep. 11/03/2020), n.6839

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7341-2015 proposto da:

BANFI SOCIETA’ AGRICOLA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato GIAN MARCO

GREZ, rappresentato e difeso dagli avvocati MARCO MICCINESI, ENRICO

DE MARTINO giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA CENTRO SPA in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE QUATTRO

FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato SANTE RICCI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURIZIO CIMETTI

giusta delega in calce;

UNIONE COMUNI AMIATA VAL D’ORCIA in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO TRIONFALE 7

presso lo studio dell’avvocato MARIO SCIALLA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ALESSANDRO BERTOLINI giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1664/2014 della COMM.TRIB.REG. di FIRENZE,

depositata il 10/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa CAPRIOLI MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato GINANNESCHI per delega

dell’Avvocato MICCINESI che ha chiesto l’accoglimento.

Fatto

ATTO

La società Banfi Agricola s.r.l. impugnava l’ingiunzione di pagamento con cui la società Equitalia, già Equitalia Gerit s.p.a.,per conto dell’Unione dei Comuni Amiata Val D’Orcia, aveva richiesto il pagamento dei contributi di bonifica relativi all’anno 2009.

La commissione tributaria provinciale di Siena rigettava il ricorso con sentenza che era confermata dalla commissione tributaria regionale della Toscana.

In particolare la CTR rilevava l’inammissibilit:à dei motivi riguardanti il difetto di notifica per mancanza di specificità.

Riteneva poi che le contestazioni relative agli aspetti formali dell’atto impugnato (mancata indicazione dell’autorità giudiziaria avanti alla quale presentare il ricorso e la data dell’atto) non erano idonee ad infirmarne la validità.

Osservava che per quanto attiene al dedotto vizio di correlazione immediata tra l’attività di bonifica e i vantaggi all’azienda della ricorrente la Comunità Montana aveva approvato nel dicembre del 2006 il piano classifica degli immobili del comprensorio, nel cui ambito ricadono quelli della contribuente ed aveva approvato il metodo per il calcolo dei costi per la redazione del piano di riparto sicchè ricadeva sulla contribuente l’onere della prova dell’assenza dei benefici in questione.

Avverso tale sentenza la società Banfi Agricola s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di 5 motivi cui resiste con controricorso Equitalia Centro s.p.a., già Equitalia Gerit s.p.a. nonchè l’Unione dei Comuni Amiata Val D’Orcia, ente successore ex lege della Comunità Montana Amiata Val D’Orcia. La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1.

In particolare critica la decisione nella parte in cui ha omesso di pronunciarsi sui primi due motivi di appello per mancanza di specificità.

Sostiene di aver contestato con i due motivi di gravame la decisione assunta sul punto dalla CTP riproponendo le difese già svolte nel giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo la società contribuente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60 e della L. n. 890 del 1982, art. 14 anche in relazione all’art. 156 c.p.c..

Osserva infatti che anche a voler considerare che, il Giudice di appello abbia espresso un implicito rigetto, ritiene che una tale decisione sarebbe comunque in contrasto con le norme menzionate in rubrica.

Sostiene in particolare che la notifica della cartella avrebbe dovuto ritenersi inesistente per il fatto che la stessa era stata eseguita direttamente dall’Agente di riscossione a mezzo del servizio postae per di più senza redazione di qualsivoglia relata di notifica in violazione della prescrizioni dettate dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26.

Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D:Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, art. 100 c.p.c. e della L. n. 212 del 2000, art. 7 e art. 17 anche in relazione al principio costituzionale di buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Cost.) e al diritto di difesa del contribuente (art. 24 Cost.) in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 3.

Lamenta di aver eccepito nel ricorso introduttivo e con autonomi motivi ulteriori vizi di nullità degli impositivi quali a mancanza di data, del termine e delle modalità per proporre ricorso, norichè dell’indicazione del giudice competente avanti al quale proporre I impugnativa nonchè la carente motivazione della cartella di pagamento.

Critica in specie l’affermazione della CTR secondo cui tali irregolarità sarebbero prive di conseguenze.

In questa prospettiva sottolinea che l’Amministrazione finanziaria nell’adozione dei suoi atti autontativi, come è appunto l’avviso di pagamento, deve agevolare l’eventuale esercizio del diritto di difesa del contribuente indicando il termine e le modalità e l’organo competente per l’impugnazione sicchè tali omissioni integrerebbero la nullità dell’atto.

Relativamente alla cartella osserva che ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7 tutti gli atti dell’Amministrazione finanziaria devono essere motivati così da assicurare la correttezza dell’operato della Amministrazione e garantire la piena esplicazione del diritto di tutela giurisdizionale del contribuente.

Con il quarto motivo la ricorrente si duole della violazione e/o falsa applicazione R.D. n. 215 del 1993, art. 10, della L.R. Toscana n. 34 del 1994, art 3, art. 15 e 16 in relazione all’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Critica infatti la decisione della CTR laddove ha ritenuto che fosse sufficiente ai fini in esame la mera approvazione del piano classifica.

Sostiene infatti che unitamente al deposito del piano classifica occorre che sia indicato il relativo perimetro di contribuenza che deve a sua volta essere trascritto ed approvato in assenza di tale adempimento spetterebbe all’Ente Consortile la dimostrazione dell’esistenza dei benefici diretti e specifici.

Con il quinto motivo deduce l’omesso esame di circostanze dirimenti e controverse, dedotte e documentate dalla società al fine di provare l’assenza di qualunque beneficio ritratto dalle opere di bonifica asseritamente svolto dalla Comunità Montana (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Lamenta in particolare che la CTR avrebbe omesso di considerare la copiosa documentazione prodotta in causa e la relazione tecnica redatta dal dr Danilo Savelli idonea a comprovare l’assenza di benefici per effetto dell’opera del Consorzio.

Il primo motivo è inammissibile e comunque infondato.

Va in primo luogo ribadito che “Il mancato esame da parte del giudice di una questione puramente processuale.. non è suscettibile di dar luogo al vizio di omissione di pronuncia, il quale si configura esclusivamente nel caso di mancato esame di domande od eccezioni rli merito, ma può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte” (Cass. n. 321 del 12/01/2016, Rv. 638383 – 01).

In secondo luogo va altresì ribaditi) che “Non ricorre il vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo” (Cass. n. 29191 del 06/12/2017, Rv. 646290 – 01).

L’adesione ai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali comporta il rigetto della prima censura, poichè è evidente che di questione processuale si tratta e che la stessa è stata comunque implicitamente risolta in senso sfavorevole all’appellante dalla CTR Toscana, posto che la medesima si è pronunciata sul merito dell’appello..

Relativamente al secondo motivo va ricordavo che come sostenuto anche dalle sezioni unite della Suprema Corte, alle cui conclusioni il collegio intende aderire, (con le sentenze 20 luglio 2016, n. 14916 e 14917), l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità. In particolare, i vizi relativi alle modalità celia notifica (nel caso avvenuta mediante il servizio postale e cioè una modalità generale di notifica) ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia ex tunc per raggiungimento dello scopo, a seguito della tempestiva impugnativa dell’atto notificato come nel caso in esame,.Tali principi, sebbene espressi in relazione alla notificazione del ricorso per cassazione, si possono estendere alla notificazione della cartella di pagamento, ricorrendo l’eadem ratio (Cass. 2019 nr 31237).

Comunque ben poteva il concessionario in applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, eseguire la notificazione mediante invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal citato art. 26, penultimo comma, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirle su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (Cass. 2019 nr 31237).

Il terzo motivo è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

In primo luogo, esso è interamente basato sull’affermata inadeguatezza della motivazione dell’avviso di pagamento e cartella dedotti in giudizio, ma questi atti non vengono trascritti nel ricorso per cassazione (quantomeno nelle parti essenziali ai fini della decisione), e neppur risultano a questo allegato. Non risulta depositato agli atti del giudizio di cassazione, da parte della contribuente, alcun fascicolo dedicato ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), contenente l’atto impositivo della cui motivazione dovrebbe ragionarsi.

Ciò preclude la disamina della questione nell’ambito di un procedimento come quello di legittimità – per sua natura improntato a concentrazione, specificità ed autosufficienza.

Particolarmente evidente è il difetto del requisito ex art. 366 c.p.c., n. 6); requisito di ordine generale (tra le molte: Cass. S.U. n. 7161 del 25/03/2010; S.U. n. 28547/2008; Cass. n. 124 del 04/01/2013; Cass. n. 7455 del 25/03/2013 ed innumerevoli altre) che deve sussistere, in quanto tale, anche in materia tributaria ed indifferentemente nei confronti tanto del contribuente quanto dell’ente impositore.

Si è, a quest’ultimo proposito, affermato – proprio con particolare riguardo alla correlazione tra il requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione e la doglianza sulla idoneità contenutistica e di motivazione dell’atto tributario impugnato – che: “in tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia ritenuto legittima una cartella di pagamento ove sia stata omessa la trascrizione del contenuto dell’atto impugnato, restando precluso al giudice di legittimità la verifica della corrispondenza tra contenuto del provvedimento impugnato e quanto asserito dal contribuente. (Cass. n. 16010 del 29/07/2015); e, inoltre, che: “nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante “per relationem” ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predel:to avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento” (Cass. n. 9536 del 19/04/2013; Cass. 2019 nr 30158).

Va comunque osservato che la lamentata nullità dell’avviso per i pretesi vizi formali dedotti (mancanza di data,di indicazioni di termini e delle modalità dell’impugnativa e dell’Autorità competente presso cui radicare il ricorso) è infondata.

Sul punto, questa Corte ha infatti chiarito da tempo come non ogni vizio formale dell’atto tributario impugnato sia iconeo a provocarne la caducazione (Sez. U, Sentenza n. 16293 del 24/07/2007) poichè sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorchè tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento, sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o delle forme da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente, le quali possono dar luogo soltanto ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile (Cass. 27307/2019).

Per quanto attiene alla cartella la stessa contiene, come rilevato dalla CTR, contiene indicazioni sufficienti a dare conto delle ragioni della pretesa che hanno consentito alla società contribuente di predisporre una adeguata linea difensiva.

Relativamente alla lamentata violazione da parte dei giudici di merito dei principi che regola la ripartizione dell’onere probatorio nella materia de qua la sentenza si sottrae alla critica che le viene mossa.

La CTR ha fatto corretta applicazione del consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in caso di mancata contestazione del piano di contribuenza e del piano di classifica, è onere del contribuente fornire la prova di carenza di vantaggiosità fondiaria (utilitas) dipendente dall’esecuzione delle opere di bonifica e di manutenzione idraulica; salvo concludere nel senso che tale prova era qui stata fornita (cfr. Cass. nn. 9511/2018, 24356/2018, 23220/2014);

Già le SS.UU. hanno avuto, infatti, modo di affermare, in particolare, che “quando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi di bonifica sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, la contestazione di tale piano da parte di un consorziato, in sede di impugnazione del 3 cartella, impedisce di ritenere assolto da parte del Consorzio il proprio onere probatorio, ed il giudice di merito deve procedere, secondo la normale ripartizione dell’onere della prova, all’accertamento dell’esistenza di vantaggi fondiari immediati e diretti derivanti dalle opere di bonifica per gli immobili di proprietà del consorziato stesso situati all’interno del perimetro di contribuenza; in quanto, se la (verificata) inclusione di uno (specifico) immobile nel perimetro di contribuenza può essere decisiva ai fini della determinazione del contributo, determinante ai fini del “quantum” è l’accertamento della legittimità e congruità del “piano di classifica” con la precisa identificazione degli immobili e dei relativi vantaggi diretti ed immediati agli stessi derivanti dalle opere eseguite dal Consorzio” (cfr. SS.UU. n. 11722/2010);.

Tale principio si pone nel solco di SS.UU. n. 26009/2008, secondo cui “in tema di contributi consortili, allorquando la cartella esattoriale emessa per la riscossione dei contributi medesimi sia motivata con riferimento ad un “piano di classifica” approvato dalla competente autorità regionale, è onere del contribuente che voglia disconoscere il debito contestare specificamente la legittimità del provvedimento ovvero il suo contenuto, nessun ulteriore onere probatorio gravando sul Consorzio, in difetto di specifica contestazione. Resta ovviamente ferma la possibilità da parte del giudice tributario di avvalersi dei poteri ufficiosi previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, ove ritenga necessaria una particolare indagine riguardo alle modalità con le quali il Consorzio stesso è in concreto pervenuto alla liquidazione del contributo”.

La Corte (cfr. Cass. n. 17066/2010) ha altresì osservato che il contribuente è sempre ammesso a provare in giudizio – anche in assenza di impugnativa diretta in sede amministrativa del piano di classifica l’insussistenza del beneficio fondiario; sia sotto il profilo della sua obiettiva inesistenza, sia in ordine ai criteri con cui il Consorzio abbia messo in esecuzione le direttive del predetto atto amministrativo per la determinazione del contributo nei confronti dell’onerato con la conseguenza che – soddisfatto l’onere probatorio così posto a carico del contribuente spetterà al giudice tributario di disapplicare, D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 5, il piano di classifica medesimo, in quanto illegittimo.

Questo principio è poi stato successivamente ribadito da Cass. n. 20681/2014 e da Cass. n. 21176/2014, secondo cui “in tema di contributi di bonifica, il contribuente, anche qualora non abbia impugnato innanzi al giudice amministrativo gli atti generali presupposti (e cioè il perimetro di contribuenza, il piano di contribuzione ed il bilancio annua e di previsione del Consorzio), che riguardano l’individuazione dei potenziali contribuenti e la misura dei relativi obblighi, può contestare, nel giudizio avente ad oggetto la cartella esattoriale dinanzi al giudice tributario, la legittimità della pretesa impositiva dell’ente assumendo che gli immobili di sua proprietà non traggono alcun beneficio diretto e specifico dall’opera del Consorzio In tal caso, però, quando vi sia un piano di classifica approvato dalla competente autorità, l’ente impositore è esonerato dalla prova del predetto beneficio, che si presume in ragione della comprensione dei fondi nel perimetro d’intervento consortile e dell’avvenuta approvazione del piano di classifica, salva la prova contraria da parte del contribuente.(cfr nello stesso senso Cass. 2019 nr 23251).

La decisione qui impugnata è conforme con i principi così affermati, poichè la Commissione tributaria regionale ha deciso la lite ponendo l’onere probatorio in questione a carico della società consorziata, rilevando che la Comunità Montana aveva approvato sin dal 28 dicembre 2006 il piano classifica degli immobili del comprensorio, nel cui ambito ricadono quelli della contribuente”.

La stessa consorziata, inoltre, non ha in alcun modo dedotto di aver proposto specifica impugnativa o contestazione del piano di classifica in quanto tale, essendosi limitata ad affermare che nessun vantaggio era di fatto alle loro proprietà derivato dall’esecuzione delle opere di bonifica.

In questo quadro ha correttamente ritenuto sussistenti i presupposti per il pagamento dei contributi consortili, superando quanto dedotto dalla consorziata, che oppone una diversa valutazione di tali elementi al fine di escludere l’esistenza di vantaggi fondiari immediati e diretti dalle opere di bonifica per immobili situati all’interno del “comprensorio di bonifica”.

La quinta censura è inammissibile, atteso che la ricorrente non ha, nel corpo del motivo, nè riprodotto il contenuto di documenti e della relazione tecnica redatta da un proprio tecnico diretti a dimostrare l’inutilità dell’opera del Consorzio.

Pertanto, la ricorrente ha violato l’obbligo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda.

La contribuente non ha neppure indicato le ragioni per le quali assumerebbe rilievo dirimente la relazione tecnica pur in presenza della documentazione prodotta dalla Comunità Montana.

Nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, infatti il ricorrente deve, quindi, indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri vigenti di legge

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società Banfì Agricola s.r.l. al pagamento in favore di Equitalia Centro s.p.a. e dell’Unione dei Comuni Amiata Vai D’Orda delle spese di legittimità che si liquidano in Euro 3500,00 oltre accessori ed al 15% per spese generali per ciascuna parte dà atto sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 8 gennaio 2020.

Depositato in cancelleria il 11 marzo 2020

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