Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6835 del 24/03/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 6835 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

SENTENZA

sul ricorso 8826-2012 proposto da:
ASSO.P.O.A. – SOCIETA’ COOPERATIVA PER AZIONI (p.
01412240713), in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

Data pubblicazione: 24/03/2014

CARDINAL DE LUCA 22, presso l’avvocato D’ISIDORO
VINCENZO, che la rappresenta e difende, giusta
2014

procura in calce al ricorso;
– ricorrente-

343
contro

FONDAZIONE

E.N.P.A.I.A.

ENTE

NAZIONALE

DI

1

PREVIDENZA PER GLI ADDETTI E GLI IMPIEGATI IN

AGRICOLTURA, in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
CIVININI 111, presso l’avvocato MARINO NICOLA, che
la rappresenta e difende, giusta procura a margine

CURATELA FALLIMENTO ASSO.P.O.A. S.P.A., in persona
del Curatore avv. DEBORA DE FRANCESCO, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso
l’avvocato PANARITI PAOLO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato CASTRIOTA VITTORIO,
giusta procura a margine del controricorso;

avverso la sentenza n.

controricorrenti

247/2012 della CORTE

D’APPELLO di BARI, depositata il 08/03/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza

del

07/02/2014

dal

Consigliere

Dott.

LOREDANA NAZZICONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore

del controricorso;

Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

_r

2

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società cooperativa per azioni Asso.P.O.A.
(Associazione Produttori Ortofrutticoli Agrumari)
propone ricorso per la cassazione della sentenza della
Corte d’appello di Bari del 19 febbraio 2012, la quale
ha respinto il reclamo avverso la sentenza del

contumacia della società, ne ha dichiarato il
fallimento, su istanza dell’Ente Nazionale di
Previdenza per gli addetti e gli impiegati in
agricoltura (ENPAIA), per contributi non versati, pari
ad C 29.219.
La corte territoriale ha ritenuto infondata
l’allegazione, peraltro operata solo in appello,
dell’insussistenza della qualità di imprenditore
commerciale della fallita, alla luce degli elementi di
fatto caratterizzanti la sua attività ed accertati in
giudizio.
Circa il dedotto mancato superamento dell’importo
di C 30.000 per debiti scaduti, previsto dall’art. 15
1. fall., la sentenza impugnata osserva, inoltre, che
il credito vantato ammontava ad C 29.219, oltre
rivalutazione, interessi e sanzioni dal 2006, sino ad
assurgere quindi alla somma di C 35.719 in epoca
prefallimentare, senza considerare le sanzioni; mentre
la relazione

ex art. 33 1. fall. ha palesato debiti

certi per almeno C 162.481 ed incerti per C 501.081,
oltre ad ulteriori rilevanti debiti previdenziali,
tributari e bancari.
Lo stato di insolvenza, infine, è stato ravvisato
in ragione dei debiti non onorati, in una con la
considerazione che, ove pure l’assunto del versamento
completo ai soci degli incassi corrispondesse a
R.G. 8826/2012

3

il con

st.

Tribunale di Foggia del 28 settembre 2011, che, nella

realtà, proprio per questa ragione mai i debiti
accumulati avrebbero potuto essere abbattuti; come
confermato, del resto, dall’accertato rilascio di una
fideiussione cambiaria richiesta dalla banca a
garanzia del piano di rientro e dalla dismissione di
alcuni cespiti minori.

la curatela con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
l. – Con il primo motivo, la ricorrente deduce la
violazione dell’art. 1 1. fall., negando la propria
qualità di imprenditore commerciale, in quanto nei
paesi UE, in forza del Regolamento CE n. 2201 del 1996
e successivi, la commercializzazione del pomodoro
avviene mediante obbligatorio “conferimento” del
prodotto, da parte dei singoli produttori, alle
industrie di trasformazione attraverso cooperative o
associazioni di produttori. Tali cooperative operano
in nome e per conto dei soci coltivatori diretti,
agiscono con mutualità e senza scopo di lucro, e ad
esse è affidata la funzione di controllare il rispetto
dell’obbligo di pagamento del prezzo minimo, prezzo
che viene pagato dal trasformatore tramite bonifico
bancario (Reg. CE n. 504 del 1997, Reg. CE n. 449 del
2001, e successivi), quali condizioni dei contributi
comunitari. Lo statuto della ricorrente prevede lo
scopo di promuovere la concentrazione dell’offerta, ed
a tal fine essa vende per conto dei soci e riscuote
per loro conto il prezzo; il patrimonio è costituito
solo dal capitale; non distribuisce utili. Gli importi
delle fatture di acquisto dai soci e l’importo di
vendita emesse dalla società, pertanto, coincidono.

R.G. 8826/2012

4

11 cons.

st.

Il ricorso è affidato a quattro motivi. Resiste

Con il secondo motivo, lamenta la violazione
degli art. 15 e 18, decimo comma, 1. fall., essendo
l’esposizione debitoria inferiore ad C 30.000, posto
che il credito vantato ammonta solo ad C 29.219,76.
Con il terzo motivo, censura la motivazione
omessa, insufficiente o contraddittoria, avendo il

società, sebbene l’ente previdenziale in forza del
medesimo credito avesse già chiesto, con ricorso
dell’aprile 2009, la dichiarazione dello stato di
insolvenza e, solo in subordine, il fallimento della
società, e tale ricorso fosse stato respinto.
Con il quarto motivo, deduce la violazione
dell’art. 5 1. fall., per avere la sentenza impugnata
ravvisato l’insolvenza della società, nonostante la
situazione patrimoniale e la solida reputazione, non
essendo a ciò sufficiente il semplice sbilancio
negativo.
2. – Il primo motivo è infondato.
La corte d’appello ha rilevato come, da un lato,
per la prima volta nel giudizio di reclamo sia stata
svolta la deduzione circa l’insussistenza della
qualità di imprenditore commerciale in capo alla
cooperativa; e, dall’altro, che non è stata comunque,
neppure in sede di reclamo, fornita la prova
dell’attività puramente mutualistica e non
imprenditoriale della società.
2.1. – Sotto il primo profilo, questa Corte ha
già chiarito che l’impugnazione della sentenza
dichiarativa di fallimento, nei procedimenti in cui
trova applicazione la riforma di cui al d.lgs. n. 169
del 2007, che ha modificato l’art. 18 1.fall.,
ridenominando tale mezzo come «reclamo» in luogo del
R.G. 8826/2012

5

Il cons. reli est.

Tribunale di Foggia dichiarato il fallimento della

precedente «appello» in coerenza con la natura
camerale dell’intero procedimento, è caratterizzata,
per la sua specialità, dalla possibilità di
riesaminare le questione, onde non si applicano i
limiti previsti, in tema di appello, dagli art. 342 e
345 c.p.c. È stato, infatti, affermato che il fallito,

tribunale, può indicare per la prima volta in sede di
reclamo i mezzi di prova di cui intende avvalersi, al
fine di dimostrare la sussistenza dei limiti
dimensionali di cui all’art. l, 2° comma, 1.fall.
(Cass., sez. VI, ord. 6 giugno 2012, n. 9174; Cass.,
sez. I, 5 novembre 2010, n. 22546).
Il principio, così enunciato con riguardo alle
nuove prove, va esteso anche alle allegazioni delle
parti, che logicamente precedono la deduzione di
quelle.
Ne discende che resta privo di conseguenze
processuali l’avere la società fallita rilevato
l’insussistenza della qualità di imprenditore
commerciale solo in sede di reclamo.
2.2. – Sotto il secondo profilo evidenziato dalla
sentenza di appello, concernente la concreta
sussistenza dei requisiti di fallibilità, va, in primo
luogo, ricordato che, nel procedimento per la
dichiarazione di fallimento, grava sull’istante
l’onere di provare gli elementi integranti il fatto
costitutivo, ovvero la qualità di imprenditore
commerciale del soggetto da dichiararsi fallito e lo
stato di insolvenza; mentre grava sul fallendo la
prova degli elementi impeditivi, estintivi e
modificativi, quali la sussistenza delle esclusioni
legate al limite dimensionale di fallibilità.
R.G. 8826/2012

6

11 cons. r est.

addirittura allorché non costituito avanti al

Per l’art.

l l.

fall.,

sono soggetti alle

disposizioni sul fallimento gli imprenditori che
esercitano un’attività commerciale, come parimenti
prevede l’art. 2221 c.c., che fa salve le disposizioni
delle leggi speciali; mentre l’art. 2545

terdecies,

primo comma, seconda parte (come già l’art. 2540, nel

2003) ammette il fallimento delle cooperative che
svolgano attività di imprenditore commerciale,
stabilendo che esse sono sottoposte “anche” a
fallimento, oltre che a liquidazione coatta
amministrativa, secondo il criterio discretivo della
prevenzione (criterio richiamato pure dall’art. 196 1.
fall.).
Se l’impresa cooperativa, per le disposizioni
sopra richiamate, può essere soggetta a fallimento in
caso d’insolvenza, al fine di giungere all’esclusione
di quel regime potrebbe rilevare o la natura agricola
dell’impresa, o la mutualità della stessa, tale da
escludere la natura di impresa commerciale.
Sotto il primo profilo, le cooperative agricole
sono individuate secondo i criteri di cui agli art.
2195 e 2135 c.c., atteso il richiamo ad essi
implicitamente operato dagli art. 2221, 2545

terdecies

c.c. e l 1. fall.; ma non è questa l’allegazione
della ricorrente.
2.3. – La società ricorrente, invero, ha negato
la qualità di imprenditore fallibile, per avere essa
finalità mutualistiche.
Tuttavia, osserva il collegio come,

(a)

da un

lato, l’impresa commerciale non postula
perseguimento di un lucro soggettivo e,

il

(b) dall’altro

lato, la cooperativa che abbia fini mutualistici
R.G. 8826/2012

7

11 cons.

testo anteriore alla riforma di cui al d.lgs. n. 6 del

(anche a mutualità prevalente secondo la nozione
introdotta dal d.lgs. n. 6 del 2003) non è per ciò
solo sottratta a fallimento.

a)

Per la qualificazione di un’impresa come

commerciale, ciò che rileva, accanto all’autonomia
gestionale, finanziaria e contabile, è invero il

rispetto del criterio di economicità della gestione,
quale tendenziale proporzionalità di costi e ricavi,
in quanto questi ultimi tendano a coprire i primi
(almeno nel medio-lungo periodo). La nozione di
imprenditore ai sensi dell’art. 2082 c.c. va intesa in
senso oggettivo, dovendosi riconoscere il carattere
imprenditoriale all’attività economica organizzata che
sia ricollegabile a un dato obiettivo inerente
all’attitudine a conseguire la remunerazione dei
fattori produttivi, rimanendo giuridicamente
irrilevante lo scopo di lucro, il quale riguarda il
movente soggettivo che induce l’imprenditore ad
esercitare la sua attività (cfr., ad esempio, Cass. 5
giugno 1987, n. 4912, con riguardo a società esercente
in regime di concessione un’attività di trasporto,
sebbene assoggettata ad un peculiare regime di prezzi
e costi).
Persino

il

fine

altruistico,

infatti,

non

pregiudica il carattere dell’imprenditorialità dei
servizi resi, qualora quest’ultimi vengano organizzati
in modo che i compensi per essi percepiti siano
adeguati ai relativi costi, onde questa Corte ha
affermato la natura commerciale di un’attività, anche
se svolta in modo che i compensi non eccedano i costi,
dato che ai fini della valutazione del carattere
imprenditoriale di un’attività economica organizzata
R.G. 8826/2012

8

11 cqn44I. est.

\.

perseguimento di un cd. lucro oggettivo, ossia il

per la produzione e lo scambio di beni o servizi
rimangono giuridicamente irrilevanti sia il
perseguimento o no di uno scopo di lucro, sia il fatto
che i proventi siano destinati ad iniziative connesse
con gli scopi istituzionali dell’ente (Cass., sez.
lav., 19 agosto 2011, n. 17399, sull’attività di

ente religioso; Cass., sez. III, 19 giugno 2008, n.
16612).
(b)

Pertanto,

anche

la natura

commerciale

dell’attività svolta da una società cooperativa deriva
esclusivamente dalla circostanza obiettiva che essa
eserciti (o abbia esercitato) questo tipo di attività;
l’indagine sull’accertamento del predetto scopo,
quindi, non può ritenersi formalmente preclusa dal
fine mutualistico della cooperativa, posto che
l’attività commerciale non è incompatibile con la
finalità mutualistica.
Non è, invero, il fine mutualistico che esclude
in sé la natura di imprenditore commerciale di una
cooperativa, dato che l’art. 2545

terdecies,

come

prima l’art. 2540 c.c., ne prevede espressamente la
dichiarazione di fallimento, così riconoscendo che
queste possono svolgere anche un’attività commerciale
(cfr. Cass., sez. I, 28 luglio 1994, n. 7061).
Questa Corte ha precisato da tempo (Cass., sez.
I, 8 settembre 1999, n. 9513) come

«lo scopo

mutualistico proprio delle cooperative può avere
gradazioni diverse, che vanno dalla cosiddetta
mutualità pura, caratterizzata dall’assenza di
qualsiasi scopo di lucro, alla cosiddetta mutualità
spuria che, con l’attenuazione del fine mutualistico,
consente una maggiore dinamicità operativa anche nei
R.G. 8826/2012

9

nC

gestione di una struttura alberghiera da parte di un

confronti di terzi non soci, conciliando così il fine
mutualistico con un’attività commerciale e con la
conseguente possibilità per la cooperativa di cedere
beni o servizi a terzi a fini di lucro».

Dunque,

l’esercizio di un’impresa commerciale ed il relativo
intento di lucro non sono inconciliabili con lo scopo

ormai «superata l’immedesimazione tra società e scopo
di lucro da un lato e cooperativa ed interesse
mutualistico dall’altro. Dopo aver ammesso che vi sono
società senza scopo di lucro e consorzi in forma
societaria (art. 2615 ter come modificato dalla legge
10 maggio 1976, n. 377), occorre rilevare come la
società cooperativa può ben avere anche uno scopo di
lucro»

(Cass., sez. I, 16 maggio 1992, n. 5839; v.

pure Sez. V, 9 ottobre 2000, n. 13423).
In coerenza con tali principi, questa Corte ha,
pertanto, qualificato come imprenditore commerciale la
cooperativa edilizia che venda a terzi gli alloggi
realizzati, potendo la natura commerciale dedursi
dalla presenza di elementi anche presuntivi che
evidenzino lo svolgimento da parte della cooperativa
di

«attività speculativa esorbitante dal suddetto

scopo»

(così proprio una delle sentenze citate dalla

ricorrente: Cass., sez. I, 16 maggio 1992, n. 5839), o
che ceda gli alloggi sul mercato (Cass., sez. I, 28
luglio 1994, n. 7061) o che produca spettacoli
teatrali con utilizzazione delle prestazioni
artistiche dei soci, destinando gli utili ai medesimi
quale riserva disponibile e a fondi di assistenza e
beneficenza per i soci (Cass., sez. I, 18 giugno 1980,
n. 3856; v. pure Cass., sez. un., 23 gennaio 1970, n.
144 e 10 marzo 1969, n. 766).
R.G. 8826/2012

10

Il cons.

est.

mutualistico proprio della cooperativa, essendosi

Dal suo canto, la giurisprudenza della Corte di
giustizia dell’Unione europea (cfr. le sentenze
marzo 2011, C-437/09,
521/09,
216/09,

Elf Agultaine;
ArcelorMittal)

Ag2R;

3

29 settembre 2011, 0-

29 marzo 2011, 0-201/09,
ha affermato, nell’ambito del

diritto dell’Unione in materia di concorrenza, come la

eserciti un’attività economica, indipendentemente dal
suo

status

giuridico e dalle sue modalità di

finanziamento, ed intesa tale attività come quella
«consistente nell’offrire beni o servizi in un
determinato mercato».
Come si è ritenuto per il consorzio, il quale
deve considerarsi imprenditore perché esercita una
fase dell’attività delle imprese consorziate o
un’impresa ausiliaria,

pur costituendosi fra le

singole imprese rapporti associativi di tipo
mutualistico, da cui derivano vantaggi realizzati
grazie all’organizzazione comune (in tema di
fallimento del consorzio, cfr. Cass., sez. I, 3 giugno
2010, n. 13465; Cass., sez. lav., 20 ottobre 2011, n.
21818), e come per le associazioni e le fondazioni,
che possono esercitare attività d’impresa, pur
mantenendo come fine il perseguimento di uno scopo
altruistico (in tema, Cass., sez. I, 24 marzo 2011, n.
6853; Cass., sez. I, 16 marzo 2004, n. 5305), così
anche con riguardo alla società cooperativa può dirsi
che lo scopo di lucro non è elemento essenziale per il
riconoscimento della qualità di imprenditore, essendo
individuabile l’attività di impresa, tutte le volte
che sussista una obiettiva economicità dell’attività
esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e
ricavi. Tale requisito può ben essere presente an he
R.G. 8826/2012

11

Il cor1$fe.

kst.

nozione di “impresa” comprenda qualsiasi entità che

in una società cooperativa, che pure operi solo nei
confronti dei propri soci; ed, in tal caso, essa si
assoggetta allo statuto dell’impresa, che comprende il
fallimento, quale strumento di soluzione e superamento
dell’insolvenza che abbia origine in un’iniziativa
imprenditoriale.
conclusione, lo scopo mutualistico di una

società cooperativa non è inconciliabile con quello di
lucro, quale obiettiva economicità della gestione,
potendo i due fini coesistere ed essere rivolti al
conseguimento di uno stesso risultato: pertanto, ai
fini dell’applicabilità dell’art. 2545

terdecies cod.

civ., che prevede la possibilità del fallimento delle
cooperative, per l’accertamento della sussistenza del
fine predetto occorre avere riguardo alla struttura ed
agli scopi di essa.
2.4. – La cooperativa in esame si inquadra
nell’ambito della disciplina comunitaria (Regolamenti
reg. CE n. 2200/1996, ed in seguito n. 1182/2007)
volta a favorire, mediante rapporti di tipo
associativo,

la

concentrazione

dell’offerta

di

prodotti agricoli, al fine di controbilanciare
l’insufficiente dimensione delle imprese agricole
rispetto alla controparte industriale. Di qui, le
disposizioni volte a promuovere le cd. OPA,
organizzazioni di produttori in agricoltura.
Sebbene tali organizzazioni di produttori, come
evidenziato dalla ricorrente, siano dunque costituite
anche nel perseguimento di fini strategici comunitari,
esse operano mediante l’immissione dei prodotti sul
mercato.
Al riguardo, sia pure con riferimento al profilo
del credito del socio coltivatore diretto verso la
R.G. 8826/2012

12

nc

i. est.

In

cooperativa che commercializza il prodotto agricolo
finito conferito dai soci, questa Corte (Cass., sez.
I, 14 gennaio 2008, n. 598), nell’escludere che esso
goda del privilegio di cui all’art. 2751

bis,

n. 4,

c.c., ha avuto occasione di sottolineare la natura di
questo rapporto, in cui il socio conferisce prodotti

vitivinicola a r.1.) mediante un peculiare negozio, in
cui la compravendita viene a innestarsi su di un
autonomo contratto associativo che, da un lato,
obbliga il coltivatore diretto al conferimento dei
prodotti per il perseguimento dello scopo sociale e,
dall’altro, lo rende partecipe dello scopo
dell’impresa collettiva facendogli assumere una quota
del rischio di impresa e attribuendogli
correlativamente una serie di poteri e diritti (di
concorrere alla formazione della volontà della
società, di controllo sulla gestione sociale, il
diritto ad una quota degli utili) e specifici
vantaggi, fra cui in particolare quello di poter
collocare la propria merce sul mercato in condizioni
più favorevoli; da cui la decisione della Corte di
negare un inammissibile soddisfacimento preferenziale
sul patrimonio della società. La sentenza, pertanto,
presuppone la natura imprenditoriale della
cooperativa.
2.5. – Nella specie, la corte d’appello ha
verificato la sussistenza di positivi indici della
natura commerciale dell’attività svolta, consistenti
nella forma legale di s.p.a., nell’esistenza di una
partita i.v.a., nell’oggetto sociale volto alla
commercializzazione verso terzi di prodotti agricoli
conferiti dai soci, dei quali la società incassa
R.G. 8826/2012

13

li con

.1

alla cooperativa (in quel caso, una cooperativa

prezzo, nell’esistenza di un rapporto di lavoro con un
dipendente.
Di fronte a tali elementi, la decisione impugnata
osserva che non è stata fornita alcuna prova circa la
mancanza dei requisiti soggettivi di fallibilità
previsti dalla legge, in quanto le due sentenze delle

quali sono giunte alla conclusione del versamento
integrale ai soci del prezzo ricavato dalla vendita
dei prodotti, non sono a tal fine sufficienti, perché
non provano che

tutte

le operazioni di vendita ed

incasso, eseguite dalla società, siano sempre state
seguite dal completo versamento del denaro ai soci.
Dunque, nessun vizio di violazione di legge
sussiste; né la ricorrente denuncia il vizio di
motivazione derivante dal mancato esame della
contabilità prodotta in atti.
In ogni modo, non è permesso alla Corte di
cassazione di ripetere gli accertamenti in fatto già
operati, in quanto, di fronte ad operazioni a natura
oggettivamente imprenditoriale congruamente motivate,
mediante un ragionamento immune da errori o da vizi
logico-giuridici, non è possibile, in questa sede,
riesaminare il merito dei singoli elementi presuntivi.
L’accertamento dei requisiti necessari per poter
qualificare un determinato soggetto imprenditore
commerciale, ai fini della sua assoggettabilità al
fallimento, rientra nei compiti istituzionali del
giudice di merito, con la conseguenza che il risultato
della indagine sfugge al sindacato di legittimità,
mentre è censurabile in cassazione soltanto la
motivazione addotta per giustificare la conclusione
adottata, sia sotto il profilo dell’adeguatezza e
R.G. 8826/2012

14

11 cons

. est.

commissioni tributarie locali del 2010 e del 2011, le

della coerenza logica, sia sotto il profilo della
conformità ai principi di diritto (Cass., sez. I, 24
febbraio 1995, n. 2107; e cfr. sez. I, 4 marzo 2005,
n. 4784, sul piccolo imprenditore; 28 marzo 2001, n.
4455, sulla cessazione dell’attività).
3. – Il secondo ed il terzo motivo, da esaminare

– ora sotto il profilo della violazione degli art. 15
e 18, decimo comma, 1. fall. ed ora del vizio di
motivazione – sono infondati.
La sentenza impugnata ha accertato, senza che
nessuna contestazione o confutazione contenga il
ricorso al riguardo, che l’esposizione debitoria era
pari ad C 29.219,76 per sola sorte capitale, ascesa a
ben oltre la soglia limite di C 30.000,00 con gli
accessori.
Quanto alla sussistenza di una precedente istanza
di fallimento per il medesimo credito previdenziale,
in precedenza disattesa, basti ricordare che
costituisce orientamento costante della Corte quello
secondo cui il decreto di rigetto del ricorso per
fallimento non è idoneo a passare in giudicato
trattandosi di provvedimento non definitivo che non
decide su diritti (Cass., sez. I, 8 febbraio 2012, n.
1776; 21 dicembre 2010, n. 25818; 14 ottobre 2009, n.
21834; 7 dicembre 2006, n. 26181).
4.

Il

quarto

motivo,

che

sotto

la

prospettazione di violazione dell’art. 5 1. fall.
censura, nella sostanza, la motivazione della sentenza
impugnata, per avere ravvisato l’insolvenza della
società nonostante la situazione patrimoniale e la
solida reputazione, non coglie nel segno.

:

R.G. 8826/2012

15

congiuntamente in quanto pongono la medesima questione

La corte d’appello ha accertato l’esistenza di
una pluralità di debiti scaduti e non pagati; al
riguardo, nessuna violazione di legge dunque sussiste,
mentre esula dalla presente sede ogni indagine sulla
sussistenza del presupposto, trattandosi di questione
di fatto sottratta alla cognizione del giudice di

5. – Le spese seguono la soccombenza e si
liquidano come nel dispositivo, ai sensi del d.m. 12
luglio 2012, n. 140.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte
ricorrente al pagamento delle spese di lite del
giudizio di legittimità, che liquida, in favore di
ciascuno dei controricorrenti, in C 3,200,00, di cui C
200,00 per esborsi, oltre agli accessori come per
legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7
febbraio 2014.

legittimità.

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