Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6835 del 08/04/2016


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 6835 Anno 2016
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA

sul ricorso 6035-2014 proposto da:
IASP DI GIUSEPPIN GIOVANNI S.A.S.

in persona del

legale rappresentante pro tempore GIUSEPPE GIUSEPPIN,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TAGLIAMENTO 55,
presso lo studio dell’avvocato NICOLA DI PIERRO, che
la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO
2015

SENO giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –

1882
contro

PEDRETTI FABIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO

1

Data pubblicazione: 08/04/2016

VANNICELLI, che lo rappresenta e difende unitamente
agli avvocati ENZO ROMANO, ABOGATO GIULIO ROMANO
giusta procura speciale a margine del controricorso;
contrari corrente

avverso la sentenza n. 1983/2013 della CORTE D’APPELLO

2219/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 06/10/2015 dal Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito l’Avvocato NICOLA DI PIERRO;
udito l’Avvocato FRANCESCO VANNICELLI;
mli3

I

i/ P.M. in

per-nona dei

Generale Dott. MARIO FRESA

Sogtìtuto Procuratore

che ha

concluso per il

rigetto del ricorso previa eventuale modifica delle
motivazioni ex art. 384 c.p.c.;

2

di VENEZIA, depositata il 05/09/2013, R.G.N.

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Con atto di citazione del febbraio del 2011, IASP di Giuseppin
Giovanni s.a.s. (di seguito, Iasp) — debitrice esecutata in una procedura esecutiva
dinanzi al Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Portogruaro, avviata
dall’Ing. Fabio Pedretti in forza di decreti di liquidazione delle proprie spettanze

quale C.T.U. in una causa che vedeva contrapposta essa opponente alla Varco
s.r.l. (iscritta al N. 20190/04 R.G. presso il Tribunale di Verona, Sez. dist. di
Legnago) — conveniva in giudizio lo stesso Pedretti, introducendo, dopo la fase
sommaria instaurata con ricorso, il merito di un’opposizione all’esecuzione, ex
art. 616 cod. proc. civ., chiedendo accertarsi l’inammissibilità dell’esecuzione
“per insussistenza del diritto sotteso al titolo esecutivo” e — sull’assunto,
prospettato nel ricorso al giudice dell’esecuzione (ma non anche nell’atto di
citazione suddetto), che l’operato di C.T.U. del Pedretti era stato gravemente
erroneo e foriero di danni, sicché egli era tenuto a risponderne ai sensi dell’art.
64 cod. proc. civ. – “il diritto di lasp s.a.s. al risarcimento di tutti i danni patiti e
patendi per tutti i fatti di causa, così come indicati in narrativa”, che quantificava
“in via provvisoria in non meno di € 500.000”, nonché “per quanto di necessità
accertare e dichiarare che nulla deve Iasp s.a.s. all’ing. Fabio Pedretti”.
§1.1. Il Tribunale di Venezia, Sezione distaccata di Portogruaro, con
sentenza del 2 aprile 2012, dichiarava l’opposizione inammissibile, rilevando
che “la sede per far valere i vizi ed i difetti originari dei detti titoli, al fine di
accertare l’insussistenza del diritto di credito dell’ausiliario, era l’opposizione ex
art. 170 DPR 115/02, ovvero in merito ai profili della utilità e della validità della
perizia la sede del giudizio di merito innanzi all’AG di Verona”.
§2. La Corte d’appello di Venezia, adita dalla IASP, ha confermato la
decisione gravata con sentenza del 5 settembre 2013.
§3. Avverso tale sentenza la Iasp ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a quattro motivi.
i
Est. Con

ele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

Ha resistito con controricorso il Pedretti.
La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

§1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione di legge. Falsa

applicazione di principi di diritto. Violazione art. 170 DPR 115/02. Violazione
art. 64 e 100 c.p.c.” in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
L’illustrazione del motivo si concreta nella prospettazione che la Corte
territoriale non avrebbe riformato la sentenza di primo grado su un punto della
sua motivazione che viene riprodotto (righi dal sesto al decimo dell’esposizione
dell’illustrazione a pagina 13 del ricorso) e che viene dalla ricorrente
interpretato nel senso che il primo giudice con esso aveva inteso affermare che
le questioni attinenti all’insussistenza del diritto di credito fatto valere dal
creditore avrebbero dovuto proporsi all’interno del procedimento ex art. 170 del
d.P.R. n. 115 del 2002 e quelle di validità ed utilità della consulenza all’interno
del processo di merito ancora pendente nel quale essa era stata espletata. Tale
affermazione sarebbe stata fatta «come se i termini processuali fossero
entrambi scaduti, indicando per entrambe le questioni che il luogo della
decisione era un altro».
La Corte territoriale non avrebbe riformato la decisione di primo grado sul
punto ed anzi l’avrebbe ritenuta corretta, ma in modo contraddittorio, in quanto
avrebbe enunciato una motivazione che al contrario lasciava alla ricorrente la
possibilità «di agire in giudizio per far accertare l’insussistenza del diritto di
credito in quanto [potrebbe] ancora far accertare inidoneità dell’opera del CTU
nel giudizio in cui la CTU è stata resa e che è ancora pendente in primo
grado».
Immediatamente dopo, peraltro, dopo che si è ribadito che la Corte
veneziana avrebbe dovuto riformare la sentenza di primo grado, si dice, in modo
2
Est. Cons.

aele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

del tutto contraddittorio, che Essa, invece di usare il tempo futuro per
evidenziare la conservazione di quella possibilità a favore della Iasp, avrebbe
usato il tempo imperfetto e si sostiene che la Corte territoriale «non poteva
utilizzare espressioni che rappresentassero un diritto passato e consumato quanto
questo diritto è ancora esercitabile e pendente avanti al giudice di primo grado di
Verona ive è stata disposta la CTU».

Poiché la sentenza «potrebbe essere interpretata nel senso che a Iasp sia
precluso di far valere nel giudizio pendente di Legnano Verona quanto indicato
dalla Corte come oggetto di competenza attuale e non passata di quel giudice»,
da tanto discenderebbe la fondatezza del motivo di ricorso.
§1.1. Il motivo è inammissibile per tre gradate ragioni.
§1.2. In primo luogo, al contrario di quanto esigerebbe e giustificherebbe la
deduzione della violazione di tre norme di diritto, quelle indicate
nell’intestazione del motivo, l’illustrazione non palesa alcunché che sia
riconducibile ad un’attività assertiva di come e perché esse sarebbero state
violate dalla Corte territoriale.
Sia nella prima parte dell’illustrazione, dove si allude ad una intrinseca
contraddittorietà della motivazione, che si interpreta in un certo senso, sia nella
seconda dove al contrario si prospetta una sorta di ambivalenza della
motivazione stessa, che giustificherebbe il motivo, il motivo, non si coglie
alcuna attività assertiva diretta a spiegare la violazione delle norme de quibus e
ciò non solo espressis verbis, essendo le stesse solo nominate, ma neppure una
qualche attività che per implicito possa intendersi tale.
Il motivo si presenta strutturalmente privo di corrispondenza con la sua
intestazione, che dovrebbe integrare la direzione dell’esercizio del diritto di
impugnazione.
§1.3. Il motivo, inoltre, basandosi sull’esegesi della motivazione della
sentenza di appello nel confronto con quella del giudizio di primo grado, si
fonda sul contenuto di questa. Senonché, di essa si riproduce il passo
3
Est. Con. Raffaele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

motivazionale rilevante nella prospettazione della ricorrente, come imponeva
l’art. 366 n. 6 c.p.c., ma si omette di indicare se e dove essa sarebbe stata
esaminabile, in quanto prodotta agli effetti del n. 4 del secondo comma dell’art.
369 c.p.c., in questo giudizio di legittimità. Tale indicazione era imposta dalla
norma dell’art. 366 n. 6 c.p.c. che si riferisce anche agli atti processuali, qual è
la sentenza di primo grado.

Non solo: nessuna chiara identificazione si fa del motivo di appello
riguardo al quale la Corte territoriale sarebbe incorsa, secondo la prospettazione
della prima parte del motivo, in contraddittorietà di motivazione confrontandosi
con la motivazione della sentenza di primo grado. Ed anche detta identificazione
rappresentava parte dell’onere di cui all’art. 366 n. 6 c.p.c.
§1.4. Il motivo, tuttavia, ferma l’assorbenza dei rilievi svolti, si presenta
intimamente contraddittorio e, quindi, non ha la natura di motivo di
impugnazione, atteso che, non solo all’interno della sua illustrazione dà due
distinte esegesi della motivazione della sentenza impugnata, ma incorre nella
stessa contraddizione, là dove la stessa ricorrente, a p. 12 del ricorso, prima di
iniziare l’illustrazione dei motivi, afferma che la proposizione del presente
ricorso deriva dalla “necessità di evitare che la pronuncia del Giudice di Appello
possa precludere a IASP di esercitare in sede di giudizio originario, nel cui
ambito fu disposto il mezzo istruttorio, i diritti attinenti alla idoneità, utilità e
validità dell’opera svolta dal CTU (che sono estranei al presente giudizio, ma
sono il cuore della sentenza)” — evidenzia nella pagina successiva “che la
pronuncia di appello non contiene elementi che espressamente contrastino” con
detta possibilità, così finendo per rivelare l’intima perplessità della
prospettazione e ciò in assoluto contrasto con la necessaria struttura assertiva di
ciascun motivo di impugnazione.
§1.5. Peraltro, appare connotata da intrinseca debolezza la stessa
prospettazione sui tempi e modi del verbo “essere” utilizzati dal giudice
d’appello

(“era”,

anziché

“sarà”)

circa la possibilità di far valere
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Est. Cons. JaffaeIe Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

l’inidoneità/inutilità nel giudizio di merito (all’epoca) ancora pendente in primo
grado dinanzi al Tribunale di Verona, dal momento l’uso del verbo al tempo
imperfetto bene poteva — lo si osserva solo sulla base di quanto prospetta
l’illustrazione — giustificarsi soltanto come innocuo riferimento all’agire che la
ricorrente avrebbe dovuto seguire all’epoca di proposizione dell’opposizione
all’esecuzione, anziché come implicante la perdita di una possibilità.

§3. Col secondo motivo, deducendo “violazione di legge. Falsa
applicazione di principi di diritto. Violazione art. 170 DPR 115/02. Violazione
art. 64, 91 e 100 c.p.c.. Violazione principi di diritto desumibili da Cass.
3024/11 e Cass. 11474/92, Cass. 1575/73 e Trib. Bologna sent. 7.11.94.
Esperibilità dell’azione ex art. 64 c.p.c. indipendentemente dalle valutazioni
della perizia nella causa in cui è stata resa e indipendentemente dalla
conclusione della causa in cui è stata resa” in relazione all’art. 360, comma
primo, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente si duole che la Corte d’appello abbia
ritenuto che l’azione ex art. 64 cod. proc. civ. è ammissibile solo dopo che si sia
accertata l’inutilità o l’inidoneità dell’operato del C.T.U. in seno alla causa in
cui venne prestata l’opera, richiamando e riportando a contrario la motivazione
di un precedente del Tribunale di Bologna, che opina in senso opposto.
La Iasp lamenta nella sostanza l’erroneità della sentenza impugnata, là
dove — con le parole: “una volta, in detta sede, accertata l’inutilità od inidoneità
dell’opera prestata dal tecnico potrà eventualmente essere mossa in altra sede
azione per la sola tassazione del danno” — inteso affermare che il presupposto
per l’esperibilità dell’azione di danni ex art. 64 cod. proc. civ. sarebbe
l’accertamento, nel giudizio ove venne disposta ed eseguita la C.T.U., della
inutilità/inidoneità dell’opera.
Viceversa, la parte ben potrebbe agire contro il c.t.u. in via del tutto
autonoma senza dover attendere che nel giudizio in cui la c.t.u. è stata prestata
emerga l’utilità o inutilità dell’opera prestata dal c.t.u.

5
Est. Cons. Ibffaele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

§3.1. Il motivo sarebbe fondato, ma, stante la sorte dei motivi successivi, la
sua fondatezza potrebbe giustificare soltanto la correzione della motivazione
della decisione impugnata in parte qua, atteso che il dispositivo della sentenza
impugnata resta conforme a diritto, ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, c.p.c.
Si rileva, al riguardo che il comma secondo dell’art. 64 c.p.c., allorquando dopo le previsioni qui non rilevanti dei primi due incisi (che prevedono che “In

ogni caso, il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell’esecuzione degli
atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda
fino a 10.329 euro” e che “Si applica l’articolo 35 del codice penale” – stabilisce
che “In ogni caso è dovuto il risarcimento dei danni causati alle parti”, prevede
una fattispecie di responsabilità da fatto illecito, da ascriversi alla generale
categoria aquiliana.
La relativa domanda è una normale azione di risarcimento del danno ai
sensi dell’art. 2043 c.c. e, se del caso, nell’ipotesi in cui sussista nella condotta
dannosa il reato, giustificativa anche del danno da reato (art. 185 c.p.). Essa,
venendo in rilievo la responsabilità di un prestatore d’opera, deve reutarsi
soggetta anche alla regola dell’art. 2236 c.c.
La domanda è regolata dalla normali disposizioni in ordine alla
competenza: si veda, infatti, Cass. n. 11474 del 1992, secondo cui « La
domanda diretta ad ottenere dal consulente tecnico la restituzione di somme
corrispostegli, in relazione ad una consulenza poi dichiarata nulla, fa valere il
diritto della parte alla ripetizione di un indebito oggettivo senza trovare
preclusione, diretta o indiretta, nelle disposizioni dell’art. 64 cod. proc. civ. – che
concernono la responsabilità aquiliana del consulente per i danni cagionati con
fatto illecito -, ed è soggetta alle ordinarie regole della competenza per
valore.».
Nessuna disposizione condiziona l’esperibilità dell’azione risarcitoria né
all’esito dell’accertamento sulla utilità o inutilità della consulenza emergente dal
giudizio in cui essa è presa e semmai, poiché il danno supposto dall’art. 64 c.p.c.
6
Est. Cons. affaele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

è un danno che, correlandosi ad una prestazione d’opera dell’ausiliario rispetto
alla res in judiciurn deducta si può ipotizzare che la vicenda del giudizio in cui
la consulenza è espletata possa rilevare ai fini della verificazione e, quindi, della
individuazione del danno.
Ne segue che la Corte lagunare, se il passo motivazionale censurato lo si
intende nel senso che Essa abbia supposto che l’azione fosse no esercitabile

prima dell’emersione della valutazione della c.t.u. nel giudizio in cui era stata
espletata, la correzione della motivazione sarebbe giustificata perché si sarebbe
erroneamente supposto che la proposizione dell’azione ex art. 64 cod. proc. civ.
sia sottoposta ad una sorta di condizione di procedibilità e/o ammissibilità, ossia,
l’aver previamente accertato il giudice della causa, in cui la consulenza venne
resa, la sua inutilità).
Peraltro, la correzione potrebbe anche non essere giustificare se il passo
motivazionale esprimesse solo una valutazione per cui il riferimento alla inutilità
o inidoneità della c.t.u. intendesse evidenziare che non risultava ancora
verificato un danno risarcibile: a tale esegesi della motivazione potrebbe indurre
il successivo riferimento alla mancanza di individuazione del danno, di cui si
discorre nel quarto motivo.
Non è necessario sciogliere l’alternativa esegetica della motivazione della
sentenza impugnata, perché l’esame dei due motivi successivi, se pure lo
scioglimento avvenisse nel primo senso, renderebbe necessaria solo la
correzione della motivazione.
§4. Col terzo motivo, deducendo “in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3.
Violazione dell’articolo 112 c.p.c.. In relazione all’articolo 360 c.p.c. n. 5.
Omesso esame del controcredito del ricorrente a titolo di risarcimento del danno.
Omesso esame della compensazione dei crediti “, la ricorrente censura la
decisione impugnata là dove con essa si afferma che la Iasp avrebbe immutato la
domanda, in primo grado avente ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza del

7
Est. Cons Raffaele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

diritto di procedere ad esecuzione forzata, e in secondo grado invece
l’accertamento del proprio credito risarcitorio.
Afferma la lasp che essa avrebbe sempre chiesto l’accertamento del proprio
credito risarcitorio, contestando “il diritto del CTU a procedere con l’esecuzione
forzata, non per insussistenza del credito originario, ma per la sussistenza di un
suo successivo diritto di eccepire in compensazione le somme dovute dal CTU,

a titolo di risarcimento del danno” (v. ricorso, p. 20).
§4.1. 11 motivo pretende di discutere dell’erroneità della motivazione della
sentenza impugnata che ha rilevato il mutamento delle ragioni poste a base
dell’opposizione evocando in senso contrario le conclusioni del ricorso ai sensi
del’art. 615 c.p.c., che riproduce, ma senza indicare se e dove tale atto sarebbe
esaminabile, ove prodotto, in questo giudizio di legittimità.
Ne risulta la palese inosservanza dell’art. 366 n. 6 c.p.c. e, dunque,
l’inammissibilità del motivo, non senza che si debba rilevare che, peraltro, la
Corte territoriale, dopo aver rilevato l’immutazione della prospettazione ha
proceduto (pagina 7: il suo incipit dice che “Tuttavia anche la nuova
prospettazione della linea difensiva della s.a.s. Iasp risulta già esaminata e
correttamente disattesa dal Giudice di Portogruaro”) al suo esame, onde nessuna
omessa pronuncia vi sarebbe stata rispetto alla nuova prospettazione ed il
motivo nella sua interezza si paleserebbe inammissibile in quanto privo di
aderenza alla motivazione della sentenza impugnata.
§5. Col quarto motivo, infine, deducendo “in relazione all’art. 360 c.p.c. n.
5). Omesso esame delle circostanze dedotte dall’opponente. In relazione
all’articolo 360 c.p.c. n. 3).Violazione del diritto di difesa”, la Iasp si duole della
decisione nella parte in cui si afferma che essa opponente neppure avrebbe
individuato con precisione il pregiudizio patito in forza della pretesa erroneità
della consulenza, quando invece il danno era stato compiutamente descritto nella
comparsa conclusionale in appello (di cui si riproduce un passo riferendolo alle
pp. 11 e 12).
8
Est. Cons.

faele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

Inoltre, la Corte non avrebbe considerato che sia nella memoria ex art. 183,
sesto comma, n. 2, cod. proc. civ., che anche in appello, la Iasp aveva chiesto
nominarsi un C.T.U. “al fine di valutare la gravità degli errori sussistenti nella
perizia eseguita dall’ing. Pedretti nella causa Iasp s.a.s. /Varco s.r.l. …”.
§5.1. Il motivo si fonda su allegazioni del tutto inidonee a giustificare che
la Corte territoriale abbia errato nell’affermare che «nella specie, inoltre, come

rettamente sottolineato dall’appellato, la società appellante nemmeno ha in
effetto individuato il pregiudizio patito in forza della, in tesi, errata consulenza,
posto che al limite l’unico pregiudizio risulta esser il rinnovo del mezzo
istruttorio e l’ulteriore costo dello stesso”.
L’inidoneità discende dalla pretesa di individuare l’esistenza
dell’allegazione del danno, negata dalla Corte territoriale, facendo riferimento,
invece che all’originario atto introduttivo e, quindi, all’atto di appello, alla
conclusionale di appello, cioè ad un atto che non poteva assolvere a quella
funzione, tanto più in grado di appello.
La ricorrente doveva fornire adeguata indicazione di quali fatti
evidenziatrici del danno e di quali danni-evento e danni-conseguenza avesse
prospettato come fatti costitutivi della sua domanda nell’atto introduttivo del
giudizio, mentre si è del tutto astenuta dal farlo.
Lo si osserva non senza rimarcare che il passo della conclusionale rinvia,
peraltro genericamente, alla lettura degli atti della c.t.u. e dello svolgimento del
giudizio in cui la c.t.u. era stata prestata.
In fine, si rileva che non è consonante con il motivo l’evocazione della
richiesta di c.t.u. nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c.: invero, se non è
dimostrato che i fatti de quibus erano stati allegati come si può pretendere di
imputare alla Corte territoriale di non essersi fatta carico della richiesta di una
c.t.u.?

9
Est. Cons. Ra eie Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

Non solo: la mancata disposizione della c.t.u. in primo grado avrebbe
dovuto essere oggetto dell’appello o comunque la relativa istanza avrebbe
dovuto essere reiterata al giudice d’appello, mentre nulla di dice al riguardo.
Il motivo è, pertanto, privo di fondamento.
La sorte del terzo e quarto motivo giustifica la valutazione sulla inidoneità
del secondo, pur se accolto a giustificare la cassazione della sentenza impugnata

e sulla idoneità, i ipotesi, solo a giustificare la correzione della motivazione della
sentenza impugnata, se intesa in uno dei due modi indicati.
§6. Il ricorso è conclusivamente rigettato.
La memoria della ricorrente si è sostanziata in primo luogo nell’evocazione
della vicenda della convocazione a chiarimenti del c.t.u. nel giudizio in cui rese
la c.t.u., ma è palese che tale circostanza non si colloca come fatto sopravvenuto
nell’ambito di ognuna delle questioni poste con i quattro motivi di ricorso e
comunque non incide sulle h3 valutazioni riguardo ad essi espresse e che ne
hanno segnato la sorte.
In secondo luogo la memoria espone rilievi illustrativi dei motivi che non
meritano alcuna considerazione nell’economia di dette valutazioni.
§7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano ai sensi del d.m. n.
55 del 2014.
L’ipotizzata possibilità di una correzione della motivazione riguardo alla
questione posta con il secondo motivo esclude ogni possibilità di
accoglimento della domanda ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si deve
dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
.P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al
resistente delle spese del giudizio, liquidate in euro tremilacento, di cui
10
Est. Con. Raffaele Frasca

R.g.n. 6035-14 (ud. 6.10.2015)

duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge. Ai
sensi dell’ari 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per
il ricorso a norma del comma 1-bis del citato art. 13.

ezioni Unite Civili 1 6 ottobre 2015.

Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile tj

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