Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6834 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. I, 24/03/2011, (ud. 23/11/2010, dep. 24/03/2011), n.6834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCININNI Carlo – Presidente –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.P., domiciliato in Roma, alla piazza Cavour, presso la

Cancelleria civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA ALFONSO LUIGI in virtù di procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro p.t.

domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentato e

difeso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della Corte di Appello di Napoli n. 1230/08,

depositato il 4 dicembre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23

novembre 2010 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo il quale ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con decreto del 4 dicembre 2008, la Corte d’Appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione proposta da S.P. nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze per la violazione del termine di ragionevole durata del processo, verificatasi in un giudizio dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, promosso dal S. nei confronti della Gestione Governativa della Circumvesuviana per ottenere il risarcimento del danno derivante dalla mancata fruizione del riposo compensativo.

Premesso che il giudizio, iniziato nell’anno 2000, era stato definito con sentenza del 1 agosto 2008, la Corte, per quanto ancora rileva in questa sede, ne ha determinato in tre anni la durata ragionevole, avuto riguardo alla natura del procedimento ed al comportamento delle parti, e, tenuto conto della mancata presentazione di un’istanza volta ad ottenere una sollecita definizione della controversia, del carattere collettivo del ricorso e dell’intervenuto rigetto della domanda, ha liquidato equitativamente il danno non patrimoniale in Euro 2.000.00 negando invece il riconoscimento di un bonus aggiuntivo, in relazione all’oggetto de giudizio, e dichiarando interamente compensate tra le parti le spese processuali.

2. – Avverso il predetto decreto il S. propone ricorso per cassazione, articolato in otto motivi. Il Ministero dell’Economia e delle finanze resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo, il secondo ed il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e dei principi enunciati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui ha liquidato il danno non patrimoniale in misura inferiore agli standards europei.

1.1 – I motivi sono infondati.

E’ pur vero, infatti, che. come ripetutamente affermato da questa Corte, il giudice nazionale, se da un lato non può ignorare, nella liquidazione del ristoro dovuto per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, i criteri applicati dalla Corte EDU, dall’altro può apportarvi le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purchè motivate e non irragionevoli.

E’ stato tuttavia precisato che, ove non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa comporta, alla stregua della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che la quantificazione di tale pregiudizio dev’essere, di regola, non inferiore a Euro 750.00 per ogni anno di ritardo, in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, e non inferiore a Euro 1.000.00 per quelli successivi, in quanto l’irragionevole durata eccedente il periodo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (cfr. Cass. Sez. 1^ 30 luglio 2010, n. 17922; 14 ottobre 2009, n. 21840).

Rispetto ai predetti parametri, la liquidazione compiuta dalla Corte d’Appello con il decreto impugnato appare notevolmente riduttiva, essendo stato riconosciuto al ricorrente un importo complessivo di Euro 2.000.00, a fronte di un ritardo nella definizione del giudizio stimato in circa cinque anni. Tale valutazione, tuttavia, non risulta affatto immotivata, avendone la Corte spiegato le ragioni mediante la sottolineatura del carattere collettivo del ricorso avanzato nel giudizio presupposto, in rapporto al quale ha ritenuto configurabile un più attenuato pregiudizio di ordine psicologico, della mancata presentazione da parte del ricorrente di un’istanza motivata e personale volta ad ottenere la sollecita definizione della controversia, e dell’avvenuto rigetto della pretesa fatta valere.

La motivazione in esame, esauriente pur nella sua stringatezza, appare sostanzialmente in linea con i principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità. In riferimento alla disciplina (applicabile ratione temporis) vigente in epoca anteriore all’entrata in vigore del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, che ha subordinato all’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo la proponibilità della domanda di riparazione del danno derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata di un processo amministrativo, è stato infatti chiarito che la mancata proposizione della predetta istanza, pur non comportando il trasferimento a carico del ricorrente della responsabilità per il superamento del termine in questione, può incidere sulla valutazione del pregiudizio lamentato, ove il comportamento della parte appaia sintomatico di uno scarso interesse alla sollecita definizione del giudizio (cfr. Cass. Sez. 1^ 16 novembre 2006, n. 24438; Cass. Sez. Un. 23 dicembre 2005, n. 28507).

E’ stato altresì precisato che l’esito negativo del giudizio presupposto, pur non escludendo il diritto alla ragionevole durata del processo, e non rendendo quindi infondata la pretesa indennitaria avanzata dalla parte che abbia dovuto sopportare il ritardo nella sua definizione, salvo che essa si sia resa responsabile di lite temeraria o comunque di un vero e proprio abuso del processo.

Può tuttavia incidere riduttivamente sulla misura dell’indennizzo, allorchè la domanda sia stata proposta in un contesto tale da farla apparire aleatoria (cfr. Cass. Sez. 1^ 30 agosto 2010, n. 18875; 13 novembre 2009, n. 24107).

Il ricorrente non contesta tali principi, ma lamenta l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione del decreto impugnato, senza però spiegare i motivi per cui ritiene che nel ragionamento seguito dalla Corte d’Appello non sia rintracciabile il criterio logico che l’ha condotta alla formazione del proprio convincimento e che le ragioni poste a fondamento della decisione siano tali da elidersi a vicenda e da non consentire quindi l’individuazione della ratio decidendi. Ciò rende evidente che, sotto l’apparenza della denuncia di un vizio di motivazione, egli mira in realtà a sollecitare una revisione dell’apprezzamento compiuto dal giudice di merito, non consentito in sede di legittimità, non spettando a questa Corte il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto compete la valutazione del danno, nei limiti segnati dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 e dai parametri elaborati dalla Corte EDU. 2. Con il quarto, il quinto ed il sesto motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dei principi enunciati dalla CEDU, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, rilevando che la Corte d’Appello ha rigettato la domanda di riconoscimento del bonus di Euro 2.000,00 omettendo di tener conto della natura del giudizio presupposto, avente ad oggetto un credito retributivo, e senza fornire alcuna motivazione.

2.1. – Le censure sono infondate.

L’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali ed assistenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la violazione del termine di ragionevole durata possa giustificare il riconoscimento di un importo forfetario aggiuntivo, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa infatti che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo. Ne consegue da un lato che il giudice di merito può tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr. Cass. Sez. 1 3 dicembre 2009 n. 25446; 29 luglio 2009, n. 17684); dall’altro che, ove sia stato negato il riconoscimento di tale pregiudizio, la critica della decisione sul punto non può fondarsi sulla mera affermazione che il bonus in questione spetta ratione materiae, era stato richiesto e la decisione negativa non è stata motivata, ma deve avere riguardo alle concrete allegazioni ed alle prove addotte nel giudizio di merito, che nella specie non sono state in alcun modo richiamate, sebbene la Corte d’Appello abbia espressamente escluso la particolare incidenza dell’oggetto della controversia sulla componente non patrimoniale del danno (cfr. Cass. Sez. 1 28 gennaio 2010, n. 1893; 28 ottobre 2009, n. 22869).

3. – Con il settimo e l’ottavo motivo, il ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, dell’art. 6, par. 1, della CEDU e degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso, censurando il decreto impugnato nella parte in cui, nonostante l’accoglimento della domanda, ha dichiarato interamente compensate tra le parti le spese processuali, senza un’adeguata motivazione.

3.1. – Il giudizio in esame è stato instaurato in data successiva al 1 marzo 2006 ma precedente al 4 luglio 2009, e ad esso trova pertanto applicazione l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), ed anteriore all’ulteriore modifica introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, il quale, richiedendo l’esplicita indicazione, nella motivazione, dei giusti motivi che, al di fuori dei casi di soccombenza reciproca, giustificano la compensazione totale o parziale delle spese processuali, non impone l’adozione di motivazioni specificamente riferite a tale provvedimento, purchè le ragioni poste a fondamento dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (cfr. Cass. Sez. 3^ 30 marzo 2010, n. 7766; Cass. Sez. lav. 31 luglio 2009, n. 17868).

Nella specie, peraltro, tale operazione ricostruttiva non appare neppure necessaria, in quanto la scelta compiuta attraverso la compensazione delle spese processuali è stata espressamente giustificata dalla Corte d’Appello attraverso la sottolineatura delle peculiari connotazioni della vicenda esaminata, ed in particolare della radicale sproporzione tra l’ammontare dell’indennizzo richiesto (Euro 13.250.00) e la misura di quello riconosciuto (Euro 2.000.00), la cui valutazione, essendosi tradotta in una motivazione idonea a sorreggere la decisione ed immune da vizi logico-giuridici, si sottrae al sindacato di questa Corte.

4. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, e condanna S.P. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in Euro 500.00 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 23 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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