Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6834 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 09/02/2022, dep. 02/03/2022), n.6834

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21312-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

F.C., S.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato LUIGI

MANZI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESARE

GLENDI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2079/4/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE dell’EMILIA ROMAGNA, depositata l’11/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 09/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO

MONDINI.

 

Fatto

PREMESSO

che:

1. con la sentenza in epigrafe, la CTR dell’Emilia Romagna ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione di maggior imposta di registro emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di F.C. e di S.L. a seguito di qualificazione, operata ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, come cessione di immobili dai predetti F. e S. alla Lantana Properties LTD, la sequenza negoziale così articolata: atto pubblico, in data (OMISSIS), registrato a tassa fissa, di conferimento da parte dei contribuenti di tre immobili nella società Deasy Properties Ltd; atto, in data (OMISSIS), di cessione, da parte dei medesimi F.C. e S.L., delle azioni della Deasy Properties Ltd in favore della Lantana Properties LTD;

2. la sentenza della CTR fa perno sulla affermazione per cui il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20 “circoscrive l’interpretazione (degli atti da registrare) al dato testuale senza ricorrere a collegamenti extratestuali o a dati evincibili dal collegamento negoziale”;

3. l’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con due motivi. Il primo è centrato sull’assunto per cui la sopra riportata affermazione della CTR contrasterebbe con il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, anche in uno con l’art. 1362 c.c., e con l’art. 53 Cost.. Col secondo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR omesso di pronunciare “sulla configurabilità di un abuso del diritto secondo il principio codificato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis”;

4. i contribuenti si sono costituiti con controricorso ed hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo di ricorso è infondato.

L’avviso di liquidazione di cui trattasi è stato adottato ai sensi della versione originaria del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, secondo cui: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Il testo della norma è stato modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), in modo che esso prevede: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extra-testuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”. La L. 30 dicembre 2018, n. 145, art. 1, comma 1084, ha stabilito che la L. 27 dicembre 2017, n. 205, art. 1, comma 87, lett. a), costituisce interpretazione autentica del testo unico di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, comma 1. La Corte Costituzionale, con sentenza 158/2020, ha dichiarato “non fondate le questioni di legittimità costituzionale del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), art. 20, come modificato dalla L. 27 dicembre 2017, n. 205 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020), art. 1, comma 87, lett. a), e dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), art. 1, comma 1084, sollevate dalla Corte di cassazione, sezione quinta civile, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., con l’ordinanza indicata in epigrafe”.

La Corte Costituzionale ha ribadito la dichiarazione con sentenza 9 febbraio 2021, n. 39 in riferimento a questioni “prive di argomenti sostanzialmente nuovi rispetto a quelle già sollevate dal giudice di legittimità”, sollevate, rispetto agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna con l’ordinanza 13 novembre 2019.

Con detta sentenza la Consulta ha inoltre dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale della L. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), art. 1, comma 1084, sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla medesima commissione tributaria e inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della L. n. 145 del 2018, art. 1, comma 1084, sollevate dallo stesso giudice a quo, in riferimento agli artt. 24,81,97,101,102 e 108 Cost..

In ragione di quanto precede, a seguito della legge di interpretazione autentica, l’imposta di registro, “marcatamente un’imposta “d’atto” (punto 5.2.2. del “Considerato in diritto” della citata sentenza 158/2020), deve essere applicata in riferimento alla manifestazione di ricchezza risultante dal singolo atto.

Ciò posto, l’affermazione cardine della sentenza impugnata non può essere messa in alcun modo in discussione. Correttamente la CTR ha ritenuto illegittimo l’avviso di cui trattasi, basato su una qualificazione dell’atto soggetto a registrazione, effettuata in base ad elementi extra-testuali e, in modo specifico, in considerazione del collegamento funzionale tra tale atto ed altro atti successivo;

3. il secondo motivo di ricorso è inammissibile.

L’Agenzia espressamente riconosce che con il riferimento all’abuso del diritto intende “fondare la pretesa fiscale contestata su una ricostruzione giuridica e fattuale non puntualmente identificata nel proprio provvedimento impositivo”. Nel corpo del motivo e nell’intero ricorso non è mai detto che la questione “sulla configurabilità di un abuso del diritto secondo il principio codificato dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10-bis” sia stata prospettata alla CTR.

E’ quindi escluso che quest’ultima non pronunciandosi su tale questione abbia violato l’art. 112 c.p.c..

Peraltro e solo per completezza, deve ricordarsi il passaggio della motivazione della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 158/2020 in cui si legge “5.2.4. Non varrebbe, infine, obiettare che la normativa di cui si discute, escludendo (salvo per le ipotesi espressamente regolate dal testo unico) la rilevanza interpretativa sia di elementi extratestuali, sia del collegamento negoziale, potrebbe favorire l’ottenimento di indebiti vantaggi fiscali sottraendo all’imposizione, in violazione degli evocati parametri costituzionali, “l’effettiva ricchezza imponibile”. In proposito va sottolineato che detta sottrazione potrebbe rilevare sotto il profilo dell’abuso del diritto. Tuttavia… (deve essere escluso decisamente, in base all’indirizzo più recente della giurisprudenza di legittimità) che il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, abbia una specifica funzione antielusiva… Una volta constatato, per quanto sopra detto, che non è manifestamente arbitrario che il legislatore abbia ribadito la ratio dell’imposta di registro in sostanziale conformità alla sua origine storica di “imposta d’atto” nei sensi sopra precisati, in caso di collegamento negoziale, qui può solo osservarsi, sul piano costituzionale, che l’interpretazione evolutiva, patrocinata dal rimettente, del D.P.R. n. 131 del 1986, detto art. 20, incentrata sulla nozione di “causa reale”, provocherebbe incoerenze nell’ordinamento, quantomeno a partire dall’introduzione della L. n. 212 del 2000, art. 10-bis. Infatti, consentirebbe all’amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale stabilita a favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione Europea)”;

4. il ricorso va rigettato;

5. le spese sono compensate dato che le citate, decisive sentenze della Corte Costituzionale sono intervenute dopo la proposizione del ricorso per cassazione;

6. risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, mediante collegamento da remoto, il 9 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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