Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6833 del 16/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 16/03/2017, (ud. 02/03/2017, dep.16/03/2017),  n. 6833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29581/2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ANTONIO PETTORRUSO;

– ricorrente –

contro

COMUNE di MELFI, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 1, presso lo studio

dell’avvocato SERENA VONA, – STUDIO LEGALE ACAMPORA – rappresentato

e difeso dall’avvocato ROBERTO DI TOMMASO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 181/2015 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 29/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/02/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA

CIRILLO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. P.A. convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Melfi, il Comune di quella città, chiedendo che fosse condannato al risarcimento dei danni da lei sofferti a seguito di una caduta determinata dalla presenza di una pietra sconnessa e non visibile sul manto stradale.

Si costituì in giudizio il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda. Il Tribunale accolse la domanda e condannò il Comune al risarcimento dei danni determinati in Euro 100.000, nonchè al pagamento delle spese di giudizio.

2. Avverso la sentenza è stato proposto appello da parte del Comune di Melfi e la Corte d’appello di Potenza, con sentenza del 29 aprile 2015, ha accolto il gravame e, in totale riforma della decisione di primo grado, ha rigettato la domanda della P., condannandola al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

3. Contro la sentenza d’appello ricorre P.A. con atto affidato a due motivi.

Resiste il Comune di Melfi con controricorso.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, sussistendo le condizioni di cui agli artt. 375, 376 e 380 bis c.p.c., e non sono state depositate memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c., sostenendo che il Comune non avrebbe dimostrato l’esistenza del caso fortuito; con il secondo motivo si lamenta, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

1.1. Il primo motivo non è fondato.

La Corte d’appello, con un accertamento di merito non sindacabile in questa sede, ha osservato che l’esistenza della pietra sconnessa sul manto stradale era perfettamente visibile, anche in considerazione dell’ora diurna in cui era avvenuta la caduta; ed ha poi aggiunto che l’attrice era ben a conoscenza di tale situazione e che, in considerazione dei problemi di equilibrio dei quali soffriva a causa di una rigidità delle articolazioni, ella avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitare la caduta.

Tale motivazione è in piena armonia con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha affermato che l’applicazione delle regole di cui all’art. 2051 c.c., presuppone sempre che il danneggiato dimostri il fatto dannoso ed il nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno e che, ove la cosa in custodia sia di per sè statica e inerte, il danneggiato è tenuto a dimostrare altresì che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno (sentenza 5 febbraio 2013, n. 2660). E poichè la giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che, ai fini di cui all’art. 2051 c.c., il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo del danneggiato, il motivo è evidentemente privo di fondamento (v. da ultimo le sentenze 18 settembre 2015, n. 18317, e 22 giugno 2016, n. 12895).

1.2. Il secondo motivo è inammissibile alla luce dei criteri di cui alla sentenza 7 aprile 2014, n. 8053, delle Sezioni Unite di questa Corte, poichè ha ad oggetto elementi di prova che la Corte d’appello ha comunque positivamente valutato; e si risolve nell’indebito tentativo di ottenere in questa sede una nuova valutazione del merito.

2. Il ricorso, pertanto, è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai parametri introdotti dal D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Sussistono inoltre le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 2.500, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – 3 Civile, il 2 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 16 marzo 2017

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