Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6833 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 19/12/2019, dep. 11/03/2020), n.6833

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. CENICCOLA Aldo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in Roma, via Giambattista Vico

n. 22 presso lo studio legale tributario

Santacroce-Procida-Fruscione e, rappresentato e difeso unitamente e

disgiuntamente, per procura a margine del ricorso, dagli Avv.ti

Salvatore Mileto e Alessandro Fruscione.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentato e difeso.

– resistente –

per la cassazione della sentenza n. 75/06/2012 della Commissione

tributaria regionale del Lazio, depositata il giorno 11 aprile 2012.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 dicembre 2019 dal relatore Consigliere Dott.ssa Crucitti Roberta.

Fatto

RILEVATO

che:

la Commissione tributaria regionale del Lazio (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), nella controversia concernente l’impugnazione, da parte di A.M., di avviso di accertamento, effettuato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e relativo a IRPEF dell’anno 2002, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate e in riforma della prima decisione (favorevole al contribuente), ha dichiarato la legittimità dell’atto impositivo impugnato;

per il Giudice di appello le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente, persona fisica, dovevano ritenersi legittime, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 7, quando si abbia motivo di ritenere che tali conti siano connessi e inerenti al reddito del contribuente. Ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salvo prova contraria, la riferibilità al medesimo accertato delle operazioni riscontrate sui conti corrente bancari degli indicati soggetti;

per la cassazione della sentenza A.M. ha proposto ricorso, su sei motivi, cui resiste con controricorso, l’Agenzia delle entrate;

il ricorso è stato avviato, ex art. 380 bis 1 c.p.c. alla trattazione in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1 con il primo motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza impugnata di omessa pronuncia, con violazione dell’art. 112 c.p.c.;

si deduce, in particolare, che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione, sollevata nelle controdeduzioni in appello, di violazione da parte dell’Ufficio del principio di non contestazione, in quanto, in primo grado, quest’ultimo nulla aveva dedotto sulle giustificazioni addotte e sui documenti prodotti dal contribuente;

1.1 la censura è infondata alla luce del principio, costantemente ribadito da questa Corte (v., di recente, Cass., n. 15255 del 04/06/2019; id n. 20718/18 e n. 21191/17) secondo cui “non ricorre il vizio di omessa pronuncia di una sentenza di appello quando, pur non essendovi un’espressa statuizione da parte del giudice in ordine ad un motivo di impugnazione, tuttavia la decisione adottata comporti necessariamente la reiezione di tale motivo, dovendosi ritenere che tale vizio sussista solo nel caso in cui sia stata completamente omessa una decisione su di un punto che si palesi indispensabile per la soluzione del caso concreto”;

2 con il secondo motivo, avanzato in subordine al primo, si deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, e dell’art. 167 c.p.c. laddove si dovesse ritenere che la C.T.R. avesse implicitamente rigettato la superiore eccezione, malgrado l’Ufficio durante tutto il giudizio di primo grado non fosse mai entrato nel merito delle prove documentali fornite da esso contribuente, nè contestato i fatti esposti per spiegare le movimentazioni dei conti correnti bancari;

2.1 la censura è infondata. Il principio di non contestazione opera anche nel processo tributario, nell’ambito del quale, tuttavia, deve essere coordinato con quello, correlato alla specialità del contenzioso, secondo cui la mancata specifica presa di posizione dell’Ufficio sui motivi di opposizione alla pretesa impositiva svolti dal contribuente non equivale ad ammissione dei fatti posti a fondamento di essi; si è, pertanto, anche, di recente, statuito (Cass.n. 19806 del 23/07/2019) che, nell’ipotesi di ricorso contro l’avviso di accertamento, il principio di non contestazione non implica a carico dell’Amministrazione finanziaria, a fronte dei motivi di impugnazione proposti dal contribuente, un onere di allegazione ulteriore rispetto a quanto contestato mediante l’atto impositivo, in quanto detto atto costituisce nel suo complesso, nei limiti delle censure del ricorrente, l’oggetto del giudizio;

2.2 nella specie, pertanto, nessuna violazione di legge può rinvenirsi nella pronuncia implicita di rigetto da parte del Giudice di appello, in quanto l’Amministrazione erariale, nel costituirsi in primo grado e nel proporre atto di appello, aveva integralmente contestato l’impugnazione proposta dal contribuente, chiedendo la conferma dell’avviso di accertamento;

3 con il terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, laddove la sentenza impugnata aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle entrate, ritenendo, erroneamente, che la presunzione, di cui all’invocato art. 32, si estendesse anche ai conti bancari dei terzi, mentre tale presunzione non operava automaticamente, dovendo l’Ufficio dimostrare la fittizietà dell’intestazione al terzo del conto in questione e la sostanziale imputabilità delle movimentazioni al contribuente sottoposto a accertamento;

3.1 anche tale censura è infondata alla luce del principio costantemente ribadito da questa Corte (cfr Cass. n. 428 del 14/01/2015; id n. 30098 del 21/11/2018) secondo cui in tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica, sicchè in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente;

3.2 la sentenza impugnata, che di tali principi ha fatto corretta applicazione, va, quindi, sul punto esente da censura;

4 con il quarto motivo si denunzia che la C.T.R. avrebbe omesso di pronunciare in ordine a tutti i fatti e i documenti giustificativi che il contribuente aveva allegato in primo grado e ribadito, con le controdeduzioni, in appello;

4.1 la censura è infondata per le stesse ragioni svolte con riguardo al primo motivo cui ci si riporta;

5 con il quinto motivo, si deduce, in subordine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame dei fatti, decisivi, cosi come specificatamente indicati nell’illustrazione del quarto motivo;

6 con il sesto motivo, infine, si deduce l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione laddove la C.T..R, nella parte della sentenza in fatto, aveva riconosciuto che esso ricorrente operava su un conto corrente cointestato con la madre mentre, nella parte in diritto, aveva affermato, contraddittoriamente, che il contribuente operava solo con conti correnti intestati a terzi;

7 i motivi sono entrambi fondati. La motivazione resa dalla C.T.R. in ordine alla fondatezza della pretesa impositiva, oltre a confondere gli elementi fattuali alla stessa offerti, ha integralmente omesso di esaminare i fatti, quali risultanti dai documenti prodotti in primo grado e reiterati in grado di appello, che il contribuente aveva allegato al fine della giustificazione delle movimentazioni bancarie, oggetto di accertamento e che, ove esaminati, avrebbero potuto comportare una diversa decisione;

8 in conclusione, in accoglimento del quinto e sesto motivo di ricorso, rigettati tutti gli altri, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti dei motivi accolti, e va disposto il rinvio al Giudice di merito perchè provveda al riesame, fornendo congrua motivazione, e regoli le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Rigetta i primi quattro motivi di ricorso;

accoglie il quinto e il sesto motivo, cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 19 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 11 marzo 2020

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