Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 683 del 15/01/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/01/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 15/01/2020), n.683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 709-2019 proposto da:

E.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DE DONATO

10, presso lo studio dell’avvocato LUIGI COMITO, rappresentato e

difeso dall’avvocato LUCA PARILLO giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580;

– intimato –

avverso il decreto n. 2815/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 16/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/09/2019 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 2815 del 16/10/2018, ha dichiarato improponibile la domanda volta al riconoscimento dell’equo indennizzo avanzata da E.V., in ragione della irragionevole durata di un processo amministrativo intentato dinanzi al TAR Lazio per il riconoscimento dell’indennità di cui alla L. n. 78 del 1983, art. 9, comma 2, intrapreso nel 2002 e definito con sentenza n. 813/2011 del 28/01/2011.

La Corte distrettuale rilevava che il ricorso per equa riparazione era stato iscritto in data successiva all’entrata in vigore del codice del processo amministrativo che aveva novellato il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, conv. nella L. n. 133 del 2008, con la conseguenza che la domanda volta al riconoscimento dell’equo indennizzo doveva reputarsi improponibile ove nel giudizio presupposto non fosse stata presentata l’istanza di prelievo.

Poichè nella fattispecie il ricorrente non avevano presentato tale istanza, la domanda non poteva essere accolta.

Avverso tale decreto E.V. propone ricorso articolato in quattro motivi.

L’Amministrazione non ha svolto difese in questa fase.

Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè del D.L. n. 112 del 2002, art. 54, nel testo novellato dal D.Lgs. n. 104 del 2010, laddove la Corte di merito ha escluso che fosse stata presentata l’istanza di prelievo, senza adeguatamente considerare le risultanze del sito web istituzionale della giustizia amministrativa dalle quali emergeva che in data 11/11/09 era stata avanzata istanza di fissazione d’udienza che a ben vedere costituiva un equipollente dell’istanza di prelievo.

Il secondo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio costituito appunto dai documenti di cui I motivo che precede che attestavano come in realtà fosse stata effettivamente presentata istanza di prelievo.

Il terzo motivo lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 5, e dell’art. 738 c.p.c., in quanto in base al testo della L. n. 89 del 2001 nella formulazione previgente, ed applicabile ratione temporis, il giudice avrebbe dovuto anche d’ufficio acquisire tutta la documentazione afferente al giudizio presupposto che avrebbe permesso di rilevare l’avvenuta presentazione dell’istanza di prelievo.

Il quarto motivo denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 54 cit., per contrasto con l’art. 117 Cost, e con gli artt. 6 par. 1, 13 e 46 della CEDU, nella parte in cui relativamente ai giudizi amministrativi pendenti alla data del 16 settembre 2010 e per la loro intera durata, subordina la proponibilità della domanda di equa riparazione alla previa presentazione dell’istanza di prelievo.

Ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato, dovendo prendersi atto che nelle more del presente giudizio è intervenuta la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato incostituzionale il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modifiche, qui rilevante, trattandosi nella specie di procedimento per il quale non risulta applicabile la previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1, come novellato dalla L. n. 208 del 2015 (attesa la specifica norma transitoria di cui all’art. 6, comma 2 bis, della L. n. 89 del 2001 cit., atteso che il processo presupposto alla data del 31 ottobre 2016 avrebbe già superato i termini di durata ragionevole).

La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte Europea dei diritti dell’uomo, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege Pinto (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente.

Ha altresì rammentato che di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2. Ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 della CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevede alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo.

Per l’effetto ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71, comma 2, del codice del processo amministrativo, la parte “può” segnalare al giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d’Appello di Roma, la quale dovrà in ogni caso considerare, come ribadito dalla Consulta nella menzionata sentenza, che la mancata presentazione dell’istanza di prelievo può costituire elemento indiziante di una sopravvenuta carenza, o di non serietà, dell’interesse della parte alla decisione del ricorso, potendo quindi assumere rilievo ai fini della quantificazione dell’indennizzo ex lege n. 89 del 2001, ma non potendo viceversa condizionare la stessa proponibilità della correlativa domanda.

Al giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2020

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