Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6828 del 07/04/2016


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 6828 Anno 2016
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 15529-2014 proposto da!
POSTE ITALIANE S.P.A. (97103880585), Società con socio unico, in
persona del Presidente del Consigli() di :\mministrazione e legale
rappresentante pro tempre, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
LUIGI G. FARAVELL1 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO
N1ARESCA, elle la rappresenta e difende, giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
CATALDT MONICA (CTI,MNC75M71H501.4 elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA RENO 21, presso lo studio dell’avvocato
ROBERTO RIZZO, che la rappresenta e difende, giusta procura
speciale a margine del controricorso;
– controticorrente –

u-

Data pubblicazione: 07/04/2016

avverso la sentenza n. 3678/2013 della CORTE D’APPEI LO di
ROMA del 16/4/2013, depositata il 26/6/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
24/2/2016 dal Consigliere Relatore Dott. CA Il R IN A NIAROTTA.
– Considerato che è stata depositata relazione del seguente

< ed il secondo, per il periodo 1/7/2002-30/9/2002, . Il
Tribunale respingeva il ricorso. A seguito di impugnazione da parte della
lavoratrice, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di
primo grado, accoglieva la domanda dichiarando l’illegittimità del
termine apposto al primo contratto e condannando Poste Italiane al

Ric. 2014 n. 15529 sez. ML – ud. 24-02-2016
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contenuto;

pagamento, in favore della Cataldi, dell’indennità risarcitoria nella misura
di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto oltre
interessi e rivalutazione monetaria.
..:1v-verso questa sentenza Poste Italiane propone ricorso per
cassazione affidato a tre motivi.

I motivi proposti dalla soc. Poste si riassumono come segue.
Violazione e falsa applicazione dell’art 1372, co. 1, cod. civ.
avendo il giudice dcl gravame rigettato l’eccezione di definitivo
scioglimento del rapporto per tacito mutuo consenso dei contraenti
senza tener conto che il comportamento inerte della lavoratrice (che
aveva atteso ben quattro anni prima di promuovere il tentativo
obbligatorio di conciliazione) evidenziava il disinteresse al

3110

ripristino,

anche in considerazione della breve durata del periodo di lavoro (primo
motivo).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ. in relazione
all’interpretazione dell’accordo collettivo del 25/9/1997 e degli accordi
collettivi nazionali di lavoro, nonché vizio di motivazione circa
l’interpretazione degli accordi attuativi e del termine fissato al
30/4/1998, oltre a dedurre la violazione e falsa interpretazione degli
artt. 1 e 2 della legge 230/62 e dell’art. 23 della legge 56/1987. Si
contesta la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha
estrapnlato un limite temporale pur avendo gli accordi successivi
rivestito una valenza meramente ricognitiva

e confermativa del

permanere delle condizioni legittimanti la stipulazione a termine
(secondo motivo).
Violazione e falsa applicazione dell’art. 32 della lewe n. 183/2010
per avere la Corte territoriale condannato la società alla corresponsione
di quattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto senza
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La lavoratrice resiste con controricorso.

valutare adeguatamente i criteri di cui all’art. 8 1,. n. 604/1966
richiamato dal citato art. 32 , comma 5. Si assume, altresì, che gli
accessori non erano dovuti atteso il carattere onnicomprensivo di detta
indennità ed in ogni caso che gli stessi iitni potevano decorrere per il
periodo antecedente la sentenza di accoglimento della domanda (terzo

Il primo motivo è manifestamente infondato.
In via di principio, è ipotizzabile una risoluzione del rapporto di
lavoro per fatti concludenti (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007, n. 15264, 7
maggio 2009, n. 10526); l’onere di provare circostanze significative al
riguardo grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione per mutuo
consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002, n. 17070 e 2 dicembre
2000, n. 15403); la relativa valutazione da parte del giudice costituisce
giudizio di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di
legittimità, se non sussistono vizi logici o errori di ditino (v. Cass. 10
novembre 2008, n. 26935, Cass. 28 settembre 2007, n. 20390); la meta
inerzia del lavoratore nel contestare la clausola appositiva del termine,
così come la ricerca media iempare di una occupazione, non sono

sufficienti a far ritenere intervenuta la risoluzione per mutuo consenso.
In particolare, come precisato nella più recente Cass. 12 aprile 2012,
n. 5782, “quanto al decorso del tempo, si tratta di dato di per sé neutro,

come sopra chiarito (per un’ipotesi analoga a quella oggi in esame, vale a
dire di decorso di circa sei anni fra cessazione del rapporto a termine ed
esercizio dell’azione da parte del lavoratore v., da ultimo, Cass. n.
16287/2011). In ordine, poi, alla percezione del t.f.r., questa S.C. ha più
volte avuto modo di rilevare che non sono indicative di un intento
risolutorio né l’accettazione del t.f.r. né la mancata offerta della
prestazione, trattandosi di comportamenti entrambi non interpretabili,
per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di
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motivo).

rinunzia ai diritti derivanti dalla illegittima apposizione del termine (cfr.,
Cass., n. 15628/2001, in motivazione). Lo stesso dicasi della condotta di
chi sia stato costretto ad occuparsi o comunque cercare occupazione
dopo aver perso il lavoro per cause diverse dalle dimissioni (cfr. Cass. n.
839/2010, in motivazione, nonché, in senso analogo, (ass., n.

Cass. 7 aprile 2014, n. 8061, Cass. 20 marzo 2014, n. 6632 -.
Orbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha respinto
l’eccezione di scioglimento del vincolo contrattuale sul rilievo che tòsse
mancata ogni allegazione e prova di condotte concludenti utili a
rappresentare la disaffezione del lavoratore, essendo rimasta detta
eccezione meramente fondata sul decorso del tempo (che non è di per
sé espressione di una tacita rinuncia a coltivare il diritto a far accertare
l’illegittimità del termine apposto al contratto).
Trattasi di considerazioni di merito corrette sul piano giuridico e
congruamente motivare, come tali non censurabili sul piano logico.
manifestamente infondato il secondo motivo.
Questa Corte ha da tempo affermato che la legge 28 febbraio 1987,
n. 56, art. 23, nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di
individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla legge 18
aprile 1962, n. 230, art. 1, nonché dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8
bis, conv. dalla legge 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione
di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e
propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non
sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine
comunque omologhe a quelle previste per legge (v. Cass. Sez. Un. 2
marzo 2006, n. 4588). Dato che in forza di tale delega le parti sindacali
hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di
cui all’accordo integrativo del 25/9/97, la giurisprudenza ritiene corretta
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15900/2005, in motivazione)” – si vedano, in termini, anche le recenti

l’interpretazione dei giudici che, con riferimento al distinto accordo
attua tivo, sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo del
16/1/98, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di
riconoscere la sussistenza fino al 31/1/98 (e poi in base al secondo
accordo attuativo, fino al 30/4/98), della situazione di fatto integrante le

che per far fronte alle esigenze derivanti da tale simazione l’impresa
poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di
personale straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette
esigenze costituisse presupposto essenziale della parnizione negoziale;
da ciò deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine
stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto
normativo. In altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto
originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente
stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla
possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente al
31/1/98 e successivamente al 30/4/98, l’indicazione di tale causale
nel contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada
in data non successiva al 30/4/98 (v., ex plztrimis, Cass. 23 agosto 2006,
n. 18378).
La giurisprudenza di questa Corte ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito,
l’irrilevanza attribuita all’accordo 18/1/01 in quanto stipulato dopo oltre
due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del
soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso
l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti
comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25/9/97 (scaduto in forza degli accordi attuativi),
la suddetta conclusione è comunque conforme alla
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regula imis

esigente eccezionali menzionate dal detto accordo integrativo. Consegue

dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi
escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo
strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale
settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel d.lgs. n. 165 del
2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a

(vedi, per tutte., CASS. 12 marzo 2004, n. 5141).
Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque stipulati) al di
fuori del limite temporale del 30/4/98 sono illegittimi in quanto non
rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito dalla legge 28
febbraio 1987, n. 56, art. 23 e dalla successiva legislazione collettiva che
consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Essendo nella specie
il contratto stipulato per per il periodo
2/12/1999-31/12/1999, il motivi deve essere rigettato.
Il terzo motivo è, infine manifestamente fondato nei termini di
seguito illustrati.
Va, infatti, rilevato che la Corte di merito ha indicato le ragioni per
le quali ha ritenuto di determinare in quattro mensilità la indennità di cui
all’art. 32 cit. individuandole, da un lato, nelle dimensioni nazionali della
società datrice di lavoro e nell’elevato numero dei dipendenti, dall’altro,
nella durata e nella reiterazione nel tempo dei contratti. Si tratta,
all’evidenza, di una corretta applicazione dei criteri di cui al citato art. 8
della legge 15 luglio 1966, n. 604 involgente, peraltro, valutazioni di
merito che non possono essere sindacate in questa sede.
La società, inoltre, si limita a riferire di avere prodotto gli accordi in

sede di memoria di costituzione in appello e di avere chiesto, nelle
conclusioni, l’applicazione dell’art. 32, comma 6, senza chiarire se – e in
quali termini – avesse argomentato circa la rilevanza e la
decisività degli accordi nella fattispecie concreta, con riferimento alla
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termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita

posizione dell’appellante. Il contenuto di tali accordi non è poi riportato
nell’esposizione del motivo di ricorso. L’omissione integra violazione
del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il quale trova
la propria ragion d’essere nella necessità di consentire al giudice di
legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere

altresì di permettere alla Corte di Cassazione di verificare se una
determinata questione possa ancora ritenersi sub il/dice (cfr., Cass. n. 5970
del 2011).
Quanto, poi, alle ulteriori doglianze, va osservato che,
contrariamente all’assunto della ricorrente, l’indennità in esame deve
essere annoverata tra i ex art. 429, comma 3, cod.
proc. civ., giacché, come più volte è stato affermato da questa Corte, tale
ampia accezione si riferisce a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro
e non soltanto a quelli aventi natura strettamente retributiva (ad
esempio, fra le altre, per i crediti liquidati ex art. 18 1. n. 300/1970 v.
(ass. 23 gennaio 2003, n. 1000, Cass. 6 settembre 2006, n. 19159; per
l’indennità ex art. 8 della legge n. 604 del 1966 v. già Cass. 21 febbraio
1985, n. 1579; per le somme a titolo di risarcimento del danno ex. art.
2087 cod. civ. v. Cass. 8 aprile 2002, n. 5024). D’altra parte l’indennità in
esame rappresenta comunque il ristoro (seppure – —:forfetizzato> e
) dei danni conseguenti alla nullità del termine
apposto al contratto di lavoro, relativamente al periodo che va dalla
scadenza del termine alla data della sentenza di conversione del rapporto
(si veda in particolare la già citata 11 febbraio 2014, n. 3029).
Orbene, l’impugnata sentenza ha correttamente riconosciuto gli
accessori sull’indennità in questione, tuttavia ha errato nel far decorrere
gli stessi non dal momento della decisione bensì dalla diversa data della

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all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (cfr., C.,ass. n. 86 del 2012) e

scadenza del rapporto (si veda la il penultimo capoverso della parte
motiva della sentenza).
Per tutto quanto sopra considerato, Si propone l’accoglimento, in

parte qua, del terzo motivo di ricorso ed il rigetto degli altri, la cassazione
della sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e la decisione

corresponsione in favore di Monica Cataldi dell’indennità ex art. 32 della
legge n. 183/2010 come determinata dalla Corte territoriale e
maggiorata di rivalutazione monetaria ed interessi legali a decorrere dalla
decisione di secondo grado, il tutto con ordinanza, ai sensi dell’art. 375
cod. proc. civ., n.

5>>.

2 – E’ stato successivamente depositato il verbale di conciliazione
stipulato fra le parti in data 12 ottobre 2015 in sede sindacale.
Dal suddetto verbale di conciliazione, debitamente sottoscritto dalla
lavoratrice interessata e dal rappresentante della Poste Italiane S.p.A.,
risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transa.rtivo concernente
la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole

e

definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che, in
caso di fasi giudiziali ancora aperte, le stesse sarebbero state definite in
coerenza con il verbale stesso; tale verbale di conciliazione si appa.lesa
idoneo a dimostrare l’intervenuta cessazione della materia del
contendere nel giudizio di cassazione.
3 – In tal senso va emessa la corrispondente declaratoria.
4 – Il contenuto dell’accordo transattivo giustifica la compensazione
integrale delle spese processuali.
5 – Non sussistono i presupposti per il versamento, da parte della
società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto

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della causa nel merito con condanna della società Poste Italiane alla

dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di
stabilità 2013). Tale disposizione trova applicazione raÚofrie iemporis ai
procedimenti iniziati – come il presente – in data successiva al 30 gennaio
2013, avuto riguardo al momento in cui la notifica del ricorso si è
perfezionata, con la ricezione dell’atto da parte del destinatario (Sezioni

dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dalla
stessa norma, è collegato al fatto oggettivo del rigetto integrale o della
definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (Cass.
10306 del 13 maggio 2014), condizione insussistente nella specie.

P.Q.M.
La Corte dichiara cessata la materia del contendere; compensa le
spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte
della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma, il 24 febbraio 2016

DEPOSITATO IN CANCELLEK«

Unite, sent. n. 3774 del 18 febbraio 2014), ma l’obbligo del pagamento

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