Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6823 del 11/03/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/03/2021, (ud. 17/02/2021, dep. 11/03/2021), n.6823

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31946-2018 proposto da:

CTF CENTRO TERAPIA FISICA E RIABILITAZIONE SRL, domiciliata in ROMA,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentata e

difesa dall’avvocato GAETANO MAZZA giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

R.C., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria della

Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso dagli avvocati

FABRIZIO CRISCUOLO e DOMENICO GIOVANNI RUGGIERO giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3674/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 12/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/02/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dal controricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

In data (OMISSIS) la C.T.F. s.r.l. conferiva al Dott. R.C. incarico professionale per la “individuazione di soluzioni giuridiche e/o amministrative, che consentissero alla società C.T.F. s.r.l., di godere del beneficio delle agevolazioni previste per le aziende industriali del mezzogiorno, con particolare riferimento allo sgravio degli oneri sociali sui contributi INPS, previsti dalla normativa in vigore”, nonchè, “ove mai venisse acquisito il diritto al godimento di tali agevolazioni, si conferisce ulteriore incarico professionale per la contabilizzazione dei contributi versati in eccesso… nonchè per l’eventuale ripetizione di tali contributi”. Quanto al compenso, veniva previsto che per tale incarico sarebbe stato corrisposto un importo pari al 25% dei contributi già pagati e recuperati.

Dopo che l’INPS riconobbe alla C.T.F. s.r.l., a titolo di contributi versati e non dovuti, una somma pari a L. 888.586.000, la società conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, il R. per ottenere l’annullamento del contratto di prestazione d’opera professionale per effetto della nullità dell’accordo economico in esso contenuto, qualificandolo “patto di quota lite” e, in via subordinata, per ottenere la rideterminazione del compenso dovuto in applicazione delle tariffe professionali.

Si costituiva in giudizio il R. contestando l’interpretazione fornita dalla società attrice in ordine all’ambito di applicazione dell’art. 2233 c.c., ed evidenziando altresì che l’eventuale applicazione della tariffa professionale per i consulenti del lavoro avrebbe comportato la quantificazione di un compenso addirittura superiore a quello pattuito. Il R. proponeva poi domanda riconvenzionale chiedendo la condanna della società attrice al pagamento, in suo favore, della somma di Euro 128.799,12, quale onorario contabilizzato nella parcella professionale vistata dal Consiglio dell’Ordine dei Consulenti del lavoro di Napoli.

Nel corso del giudizio di primo grado venivano raccolte prove documentali e testimoniali in ordine all’attività svolta dal R., e veniva disposta altresì una consulenza tecnica d’ufficio.

Con sentenza n. 1407 del 2007, il Tribunale di Napoli accoglieva la domanda della C.T.F. s.r.l. e dichiarava la nullità parziale del patto contenuto nell’accordo stipulato tra le parti, in quanto integrante violazione del “divieto di patto di quota lite”, di cui all’art. 2233 c.c., comma 3, e liquidava in favore del R. a titolo di compenso per l’attività professionale svolta, la somma di Euro 12.791,42.

Il R. proponeva allora appello, lamentando la violazione e falsa applicazione della disposizione appena citata denunciando comunque la erroneità delle risultanze della c.t.u. riportate nella sentenza di primo grado.

Resisteva al gravame la C.T.F. s.r.l., la quale proponeva anche appello incidentale per sentir annullare l’accordo intervenuto con il R. per vizi del consenso.

La Corte d’appello di Napoli, con sentenza depositata il 12 marzo 2012, rigettava sia l’appello principale che quello incidentale.

Avverso questa sentenza il R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito la C.T.F. s.r.l. con controricorso e ha altresì proposto ricorso incidentale.

Con sentenza n. 20839 del 12/9/2014 questa Corte, ritenuto fondato il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e dichiarato inammissibile il ricorso incidentale, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli.

I giudici di legittimità ritenevano che l’art. 2233 c.c., comma 3, nel testo vigente prima della sostituzione operata dal D.L. n. 223 del 2006, art. 2, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006 – applicabile ratione temporis nel presente giudizio – disponeva che “gli avvocati, i procuratori ed i patrocinanti non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio sotto pena di nullità e dei danni”. Pertanto il dato letterale è inequivoco nel senso che il divieto previsto dalla norma riguardava l’attività difensiva prestata nell’ambito di una controversia, e cioè, non ogni attività professionale, ma esclusivamente l’esercizio dell’attività di patrocinio affidata ad un difensore in una controversia o in vista di una controversia, come appunto ribadito anche da altri precedenti di legittimità (Cass. n. 11485 del 1997; Cass. n. 1701 del 1976). Poichè l’attività del R., consulente del lavoro, era consistita in una prestazione di tipo amministrativo-contabile, volta ad ottenere dall’INPS il riconoscimento, in via amministrativa, del diritto della C.T.F. s.r.l. allo sgravio relativamente a contributi da quest’ultima già pagati, e certamente non in un’attività di assistenza e rappresentanza della società in un giudizio, la previsione di cui all’art. 2233 c.c., comma 3, nella richiamata formulazione, non poteva essere esteso, in via analogica, alla fattispecie. Aveva dunque errato la Corte d’appello di Napoli nel ritenere nulla la clausola relativa alla commisurazione del compenso, apposta nell’accordo stipulato tra le parti, e nel ritenere applicabile l’art. 2233 c.c., comma 3, sulla base della considerazione che si trattava “di prestazione di opera intellettuale rispetto alla quale il professionista è sottoposto alla vigilanza del relativo ordine di appartenenza… in attuazione del fine pubblicistico di tutela dell’interesse del cliente e della dignità e moralità del professionista”.

L’accoglimento del primo motivo del ricorso principale comportava l’assorbimento del secondo motivo, mentre quanto al ricorso incidentale lo stesso era inammissibile sia per difetto di specificità, in quanto la ricorrente incidentale si era limitata a riportare nel proprio scritto difensivo la comparsa di discussione e la comparsa di replica senza documentare gli esiti dell’attività istruttoria, dal cui esame la Corte territoriale avrebbe dovuto desumere la sussistenza dei presupposti della domanda di annullamento dell’accordo, sia perchè la Corte d’Appello aveva altresì riscontrato il difetto di specificità del motivo di appello senza che tale conclusione fosse stata effettivamente attinta dal motivo di ricorso incidentale.

Riassunta la causa, la Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 3674 del 12/9/2017 ha accolto l’appello proposto a suo tempo dal R., e per l’effetto ha condannato la società al pagamento della somma di Euro 116.202,80, oltre interessi, in conformità dei patti contrattuali a suo tempo intercorsi, ritenendo assorbiti tutti gli altri rilievi e censure formulate dall’appellante avverso la sentenza di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la CTF S.r.l. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso R.C..

Il controricorrente ha depositato anche memoria in prossimità dell’udienza.

Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 384 e 112 c.p.c., nonchè degli artt. 2909 e 2233 c.c., nonchè un vizio di motivazione, nella parte in cui il giudice di rinvio ha omesso di decidere sulle ulteriori domande proposte, reputando che l’accoglimento del primo motivo di appello avesse portata assorbente.

Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nonchè vizio di motivazione, nella parte in cui la sentenza ha escluso che potesse procedersi ad una riduzione dei compensi liquidati al difensore dell’appellante per la novità della questione oggetto di causa.

Rileva la Corte che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per intempestività della sua proposizione in relazione all’inosservanza del termine lungo stabilito dall’art. 327 c.p.c. (“ratione temporis” applicabile nella specie, ovvero con riferimento al disposto antecedente alla modifica sopravvenuta per effetto della L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 17).

Ed, infatti la sentenza della Corte d’Appello in sede di rinvio è stata pubblicata il 12.09.2017, e quindi al termine lungo di un anno previsto dall’art. 327 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis, trattandosi di giudizio iniziato nel 2007), occorre aggiungere il periodo di 31 giorni per la sospensione feriale (dall’1 al 31 agosto 2018 secondo la nuova formulazione della L. n. 742 del 1969, art. 1), con scadenza quindi il 13.10.2018, tenendo conto sempre della sospensione nel periodo feriale.

Al momento della notifica del ricorso per cassazione, avvenuta il 26.10.2018 (data di invio della notifica a mezzo pec al difensore del controricorrente in sede di rinvio) il termine di decadenza era già scaduto, e il giudicato si era ormai formato, determinandosi quindi l’inammissibilità dell’impugnazione (in termini analoghi, circa la rilevanza della sopravvenuta modifica della durata del periodo si sospensione feriale a seguito della previsione di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, conv. con modifiche dalla L. n. 162 del 2014, Cass. n. 27338/2016, nonchè Cass. n. 24867/2016, che hanno appunto ribadito che ai fini della determinazione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale – nella specie, per il computo del termine di impugnazione cd. lungo, ex art. 327 c.p.c., comma 1 – occorre verificare, in mancanza di una disciplina transitoria, se l’impugnazione sia stata proposta anteriormente o successivamente alla data dell’1 gennaio 2015, di efficacia del D.L. n. 132 del 2014, art. 16, comma 1, conv., con modif., dalla L. n. 162 del 2014, che, la L. n. 742 del 1969, sostituendo l’art. 1, ha ridotto il periodo di sospensione da 46 giorni a 31 giorni).

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con attribuzione all’avv. Domenico Giovanni Ruggiero, dichiaratosi antistatario.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, l’art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi ed accessori di legge, con attribuzione all’avv. Domenico Giovanni Ruggiero, dichiaratosi anticipatario;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2021

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