Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6819 del 24/03/2011

Cassazione civile sez. I, 24/03/2011, (ud. 10/02/2011, dep. 24/03/2011), n.6819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA ((OMISSIS)) in persona del Ministro

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

M.C.;

– intimata –

avverso il decreto n. 58370/06 R.G. della CORTE D’APPELLO di ROMA del

13/10/08, depositato il 17/11/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

10/02/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. FEDERICO SORRENTINO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e’ del seguente tenore: “1.- M.C. – in proprio e quale erede di M.S. – ha adito la Corte di appello di Roma, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex L. n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tribunale di Benevento con citazione del. 15.10.1990, definito con sentenza del 25.5.2005, avente ad oggetto domanda di risoluzione di un contratto. La Corte di appello, con decreto depositato il 17.11.2008, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ha ritenuto violato il relativo termine per la parte eccedente tale periodo, pari a ulteriori undici anni e sette mesi e ha liquidato per il danno non patrimoniale Euro 12.000,00, condannando l’intimato alle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso il Ministero della Giustizia, affidato a nove motivi. L’intimata non ha svolto difese.

2.- Va preliminarmente evidenziata l’inammissibilita’ del primo motivo di ricorso, con il quale e’ denunciato vizio di motivazione in relazione all’eccezione di prescrizione sollevata nel grado di merito; censura, peraltro, manifestamente infondata perche’ la Corte di merito ha esaminato e disatteso l’eccezione di prescrizione.

Infatti, va ricordato che, quanto alla formulazione dei motivi nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5. La giurisprudenza di questa Corte ha sottolineato che la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (che svolge l’omologa funzione del quesito di diritto per i motivi di cui all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 1, 2, 3 e 4) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (v. S.U. sent. n. 20603/2007 e, successivamente, le ordinanze della sez. 3 n. 4646/2008 e n. 16558/2008, nonche’ le sentenze delle S.U. nn. 25117/2008 e n. 26014/2008): per questo il relativo requisito deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non e’ possibile ritenerlo rispettato quando solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli, all’esito di un’attivita’ di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis, che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichino quali sono le ragioni per cui la motivazione e’ conseguentemente inidonea sorreggere la decisione (ord., sez. 3, n. 16002/2007; ord., sez. 3, nn. 4309/2008, 4311/2008 e 8897/2008, cit. , nonche’ sent. S.U. n. 11652/2008). In altri termini,, si richiede che l’illustrazione del motivo venga corredata da un momento di sintesi dei rilievi attraverso il quale poter cogliere la fondatezza della censura (v.

sentenza, S.U., n. 16528/2008).

Requisito che, nella concreta fattispecie, manca del tutto e cio’ rende inammissibili le censure concernenti la motivazione del decreto impugnato.

Cio’ premesso, va rilevato che le censure sub 2, 3 e 4, con le quali il Ministero denuncia violazione di legge lamentando la mancata dichiarazione dell’estinzione per prescrizione del diritto vantato dai ricorrenti e assumendo la compatibilita’ tra prescrizione e decadenza comminata dalla L. n. 89 del 2001 appaiono infondate alla luce del principio per il quale la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facolta’ di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilita’ tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere la difficolta’ pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilita’ della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonche’ il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operativita’ della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Sez. 1, Sentenza n. 27719 del 30/12/2009).

La censura sub 5, con la quale il ricorrente denuncia violazione di legge deducendo l’applicabilita’ ai processi in corso della L. n. 89 del 2001 con conseguente applicabilita’ della disciplina interna in materia di prescrizione, appare manifestamente infondata per le medesime ragioni esposte in relazione ai precedenti motivi.

Con i motivi sub 6, 7, 8 e 9 il Ministero ricorrente denuncia violazione degli artt. 75 e 112 c.p.c., vizio di motivazione e violazione degli artt. 75 c.p.c. e L. n. 89 del 2001, art. 2 lamentando che la Corte di merito, senza indicare la data del decesso dell’originaria parte del processo presupposto, abbia Liquidato un unico indennizzo, senza specificare la somma liquidata all’attrice – che ha agito iure proprio e quale erede – a titolo personale, omettendo: di specificare la data di intervento nel processo iniziato dal dante causa; di valutare la non indennizzabilita’ del periodo intercorrente tra la data del decesso e la data di costituzione in giudizio della ricorrente; di determinare la durata ragionevole della fase processuale successiva all’intervento dell’erede. Le censure appaiono manifestamente fondate alla luce del principio per il quale in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, qualora la parte costituita in giudizio sia deceduta anteriormente al decorso dei termine di ragionevole durata del processo, l’erede ha diritto al riconoscimento dell’indennizzo, “iure proprio”, soltanto per il superamento della predetta durata verificatosi con decorrenza dal momento in cui, con la costituzione in giudizio, ha assunto a sua volta la qualita’ di parte, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, la continuita’ della sua posizione processuale rispetto a quella del dante causa, prevista dall’art. 110 cod. proc. civ., in quanto il sistema sanzionatorio delineato dalla CEDU e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001 non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia ricevuto danni patrimoniali o non patrimoniali, mediante indennizzi modulabili in relazione al concreto patema subito, il quale presuppone la conoscenza del processo e l’interesse alla sua rapida conclusione (Sez. 1, Sentenza n. 23416 del 04/11/2009).

Il ricorso, quindi, puo’ essere deciso in camera di consiglio”.

2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondano e che conducono all’accoglimento del ricorso nei termini innanzi precisati (motivi sub 6, 7, 8 e 9).

Il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio per nuovo esame alla luce del principio innanzi enunciato e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’ alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il primo motivo, rigetta i motivi sub 2-5, accoglie i motivi di ricorso sub 6, 7, 8 e 9, cassa il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese del giudizio di legittimita’ alla Corte di appello di Roma in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, il 10 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2011

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