Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6812 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 11/03/2020), n.6812

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. MAISANO Giulio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 379-2013 proposto da:

MIRAMARE SAS, D.V.R., G.C., elettivamente

domiciliati in ROMA V.LE DELLE MILIZIE 108, presso lo studio

dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI, che li rappresenta e difende

unitamente agli avvocati FRANCO BURAN, CARLO CETOLI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE GENERALE DI (OMISSIS), in

persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI (OMISSIS), AGENZIA DELLE ENTRATE –

UFFICIO CONTROLLI DIREZIONE PROVINCIALE DI (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 44/2012 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 21/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2019 dal Consigliere Dott. GIULIO MAISANO.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza n. 44/05/12 pubblicata il 21 maggio 2012 la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha rigettato l’appello proposto dalla Miramare s.a.s. di D.V.R., D.V.R. in proprio e G.C. avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Venezia n. 207/05/2010 che aveva rigettato il loro ricorso avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) emesso nei confronti di detta società e con il quale era stato rettificato il reddito di questa per l’anno d’imposta 2006 in Euro 146.391,00 a fronte di una perdita dichiarata di Euro 11.164,00, a seguito del rigetto dell’istanza di disapplicazione della normativa sulle società non operative di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, non avendo la stessa società superato il test di operatività con conseguente obbligo di dichiarare un reddito, ai fini IRAP, pari al reddito minimo presunto ai sensi di detto art. 30, e non avendo essa fornito elementi giustificativi del non raggiungimento di tale reddito minimo presunto. La Commissione Tributaria Regionale ha considerato che i coefficienti applicativi della presunzione di cui al citato art. 30, non sono generici e standardizzati essendo l’imponibile ricavato dai dati forniti dallo stesso contribuente; inoltre il giudice dell’appello ha considerato che la società in questione non aveva fornito alcuna giustificazione valida del proprio reddito se non l’impossibilità della revisione del canone di locazione dell’immobile di sua proprietà adibito ad attività commerciale alberghiera costituente unica entrata; la Commissione Tributaria Regionale ha pure considerato il particolare rapporto fra la società ricorrente proprietaria e la società affittuaria composte dalle medesime persone fisiche con il verosimile intento elusivo di tale affitto;

Che la Miramare s.a.s. di D.V.R., D.V.R. in proprio e G.C. hanno proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi; ulteriormente illustrato da memoria;

Che l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso chiedendo il rigetto del ricorso deducendone l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, ex art. 360 c.p.c., n. 4, ex art. 360 c.p.c., n. 3, e omessa e contraddittoria e illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio costituito dall’affitto di azienda alberghiera e la stagionalità dell’attività aziendale affittata, ex art. 360 c.p.c., n. 5. Il motivo è inammissibile sotto entrambi i profili proposti. La ricorrente pretende di giustificare il mancato raggiungimento del reddito determinato secondo i parametri di cui alla L. n. 724 del 1994, art. 30, tramite la stagionalità dell’attività alberghiera oggetto del contratto di affitto di azienda contestando, sostanzialmente, prima il metodo adottato e comunque previsto dalla legge, e poi la stagionalità dell’attività alberghiera elemento del tutto irrilevante e che non coglie la ratio decidendi che è fondata sul canone di locazione che è del tutto indipendente dall’attività svolta dal distinto soggetto affittuario. Il giudice dell’appello ha correttamente valutato la giustificazione rilevante ai fini del decidere e costituita dall’impossibilità di rinegoziare il canone di affitto e l’ha ritenuta infondata anche considerando logicamente la sua irrisorietà in relazione all’investimento immobiliare effettuato e la conseguente antieconomicità dell’attività così come descritta dalla stessa contribuente. Nè vale considerare il principio dell’irretroattività della norma tributaria, in quanto il D.L. n. 223 del 2006, intervenuto nel corso dell’anno 2006, non è stato applicato retroattivamente in modo lesivo del diritto dei contribuenti, in quanto questi avrebbero avuto modo di regolarizzare nel corso del medesimo anno il canone di locazione, peraltro riscosso da loro stessi sotto la forma di altra società, rendendolo di ammontare più economicamente giustificabile in relazione all’investimento immobiliare secondo la considerazione legittimamente svolta nella sentenza impugnata.

Che con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 724 del 1994, art. 30, violazione dei principi di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., e di capacità contributiva di cui allo cit. art. 53 Cost., ex art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla disparità di trattamento fiscale fra chi svolge un’attività continua per tutto l’anno e chi svolge attività stagionale. Anche tale motivo è inammissibile perchè coglie un aspetto, come detto, irrilevante ai fini della decisione impugnata e costituito dalla stagionalità dell’attività alberghiera svolta dal soggetto affittuario estraneo all’accertamento in questione ed ai criteri adottati;

Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 112 c.p.c., mancata pronunzia in merito alla non applicabilità delle sanzioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 8, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. Il motivo è parzialmente fondato. Infatti non sussiste la pretesa violazione del principio di irretroattività sia con riferimento a quanto espressamente disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 16, convertito in L. n. 248 del 2006, riguardo alla modifica apportata alla L. n. 724 del 1994, art. 30, comma 4, sia in ragione della specialità della norma successiva rispetto al disposto della L. n. 212 del 2000, art. 3, comma 1. Il motivo è tuttavia fondato con riferimento all’omessa pronuncia riguardo all’inapplicabilità delle sanzioni, dovendosi escludere che la motivazione della Commissione tributaria Regionale relativa alla legittimità dell’accertamento comporti il rigetto implicito della domanda relativa all’applicabilità delle sanzioni, come invece dedotto dalla contro-ricorrente.

La sentenza impugnata deve dunque essere cassata in relazione al profilo accolto del terzo motivo, con rinvio alla medesima Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione, che provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo e il secondo motivo di ricorso; Accoglie il terzo motivo; Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale del Veneto in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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