Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6811 del 15/03/2017
Cassazione civile, sez. VI, 15/03/2017, (ud. 24/01/2017, dep.15/03/2017), n. 6811
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14392-2015 proposto da:
S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, V. GERMANICO 172,
presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO GALLEANO, che
lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
POSTE ITALIANE SPA, (C.F. (OMISSIS)), in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE
EUROPA 175, presso il CENTRO DI POSTE ITALIANE, rappresentata e
difesa dall’avvocato ANNA TERESA LAURORA, unitamente dall’avvocato
STELLARIO VENUTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 8254/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 02/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 24/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Premesso che il Collegio ha deliberato la redazione della motivazione dell’ordinanza in forma semplificata, ai sensi del decreto del Primo Presidente in data 14/9/2016;
Rilevato:
che la Corte d’appello di Roma ha confermato la decisione di primo grado di rigetto della domanda di S.L. intesa all’accertamento della nullità del termine apposto al contratto con Poste Italiane s.p.a., stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis;
che, per quel che ancora rileva, il giudice di appello, escluso il contrasto di tale previsione con l’ordinamento europeo, ha ritenuto che Poste aveva provato il rispetto del prescritto rapporto percentuale tra assunzioni a termine e assunzioni a tempo indeterminato in quanto dalla documentazione prodotta risultava che il numero dei dipendenti assunti a termine era inferiore al 15% del totale; ciò anche utilizzando il criterio cd. del full time equivalent; ha quindi osservato che la verifica del rispetto del detto rapporto percentuale andava, in confotiiiità della previsione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2 bis, condotta sulla base dell’intero organico aziendale e non solo considerando, come invece sostenuto dal lavoratore appellante, i soli lavoratori addetti al servizio postale;
che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso S.L. sulla base di due motivi illustrati con memoria;
che Poste Italiane s.p.a. ha resistito con tempestivo controricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il primo motivo, con il quale parte ricorrente deduce violazione della clausola 4 e 8.1 della direttiva UE 1999/70 e sostiene la contrarietà, sotto vari profili, del disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis ai principi di diritto dell’Unione europea, è manifestamente infondato;
che le questioni di diritto a riguardo sottoposte sono state già risolte da questa Corte con pronunzia a sezioni unite (sentenza del 31/05/2016 n. 11374) e per alcuni aspetti dalla Corte di Giustizia UE;
che con tale pronunzia, per quel che qui rileva si è precisato che le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, non necessitano anche delle indicazioni delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del comma 1 dell’art. 1 medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata ex ante direttamente dal legislatore;
che la questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’art. 8 della direttiva 1999/70 è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6, 11/11/2010, n. 20, Vino contro Poste Italiane s.p.a.), che ha valorizzato l’assunto che l’adozione dell’art. 2, comma 1 bis perseguiva uno scopo distinto da quello consistente nella garanzia dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio. Nella stessa ordinanza il giudice europeo ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l’uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, verte unicamente sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica, pertanto, alla conclusione di un primo ed unico contratto di lavoro a tempo determinato; da ciò discende la infondatezza del dubbio di compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva europea, sollevato in relazione al primo ed unico contratto a termine concluso nella fattispecie di causa;
che, alla stregua di tutto quanto sopra, richiamato il consolidato orientamento di questa Corte (cfr, oltre alle richiamate sezioni unite, fra le altre, Cass. n. 11659 del 2012), è da escludere la dedotta violazione, peraltro genericamente argomentata, del principio di proporzionalità, conseguendone la esclusione della necessità di rimessione della causa alla Sezione ordinaria;
che il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis in punto di rispetto della clausola di contingentamento, sostenendosi che la relativa verifica andava condotta prendendo in considerazione esclusivamente i lavoratori addetti al servizio postale e non anche agli ulteriori servizi (es. finanziari) offerti da Poste, è manifestamente infondata alla luce dell’orientamento di questa Corte consolidatosi a partire da Cass. n. 13609 del 2015 (tra le altre, ss.uu. n. 11374 del 2016 cit., n. 2324 del 2016);
che a tanto consegue il rigetto del ricorso, che le spese sono regolate secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 2.500,00 per compensi professionali, 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017