Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6805 del 20/03/2010
Cassazione civile sez. III, 20/03/2010, (ud. 11/02/2010, dep. 20/03/2010), n.6805
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto – Presidente –
Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –
Dott. SEGRETO Antonio – rel. Consigliere –
Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 194-2008 proposto da:
A.P., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA
CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato GAROFALO PIETRO, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
L.N., V.A., L.R.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4350/2006 del GIUDICE DI PACE di BARI del
31/05/06, depositata il 15/06/2006;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
dell’11/02/2010 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO SEGRETO;
è presente il P.G. in persona del Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO.
Fatto
FATTO E DIRITTO
Considerato:
che è stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori: “Il relatore, cons. Dr. Antonio Segreto, letti gli atti depositati;
Osserva:
1. A.P. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa dal giudice di pace di Bari, n. 4350/2 006, depositata il 15.6.2006, corretta con ordinanza del 21.6.2007, nel giudizio di opposizione di terzo in procedura esecutiva, instaurato da L.N. e V.A. contro l’ A., quale creditore opposto e L.R., quale debitore esecutato. Il giudice di pace con la sentenza accoglieva la domanda degli opponenti ed annullava il pignoramento e con la successiva ordinanza di correzione condannava l’ A. al risarcimento dei danni in favore degli opponenti.
2. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 287, 161 e 329 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. Assume il ricorrente, che avendo il giudice di pace omesso di pronunziarsi nella sentenza sulla domanda di risarcimento dei danni, tale omessa pronunzia poteva essere fatta valere in sede di impugnazione a norma dell’art. 112 c.p.c. e non poteva essere emendata dallo stesso giudice, con provvedimento abnorme, di correzione ex art. 287 c.p.c..
3. Il motivo è manifestamente fondato.
Con la pronuncia della sentenza che conclude il giudizio innanzi a sè il giudice esaurisce la sua potestas iudicandi nello specifico procedimento ed è privo di ogni potere di revoca o di modifica o, in ogni caso, di successivo ulteriore intervento decisorio su quanto è stato oggetto della sentenza (o doveva essere oggetto, in caso di omessa pronuncia). Ogni decisione che lo stesso giudice emetta successiva alla pronuncia, essendo emessa in radicale carenza di potere decisionale, da una parte deve ritenersi giuridicamente inesistente e, dall’altra, abnorme per la sua totale estraneità all’ordinamento che trasferisce, dopo la pronuncia della sentenza, la potestas iudicandi al giudice dell’impugnazione regolarmente edito (Cass. 19/08/2003, n. 12104).
Nella fattispecie, quindi, la mancata statuizione sulla domanda di condanna al risarcimento del danno integra una vera e propria omissione di carattere concettuale e sostanziale e costituisce un vizio della sentenza, stante la mancanza di qualsiasi decisione da parte del giudice in ordine ad una domanda che è stata ritualmente proposta e che richiede pertanto una pronuncia di accoglimento o di rigetto. Ne consegue che l’omessa pronuncia su tale domanda non costituisce mero errore materiale emendabile con la speciale procedura di correzione prevista dall’art. 287 e ss. cod. proc. civ., ma vizio di omessa pronuncia da farsi valere solo con i mezzi d’impugnazione (cfr. Cass. 23/06/2005, n. 13513; Cass. 5/09/2003, n. 13006).
3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento dei restanti. La sentenza impugnata va cassata senza rinvio, relativamente alla sola statuizione di condanna al risarcimento del danno, di cui all’ordinanza di correzione ex art. 287 c.p.c..
Ritenuto:
che il Collegio condivide i motivi in fatto e diritto esposti nella relazione;
che il primo motivo di ricorso deve, perciò, essere accolto, assorbiti i restanti, e che deve essere cassata in relazione l’impugnata sentenza senza rinvio;
Che le spese di questo giudizio seguono la soccombenza;
visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c..
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti; cassa in relazione l’impugnata sentenza senza rinvio.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione sostenute dalla resistente, liquidate in Euro 700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2010