Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6805 del 11/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 11/03/2020, (ud. 13/06/2019, dep. 11/03/2020), n.6805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24809-2C13 proposto a:

B.E.A., elettamente domiciliata in ROMA VIA TIRSO 26,

presso lo studio dell’avvocato PIETRO BORIA, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ECONOMIA E FINANZE;

– intimato –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, -presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la decisione n. 5277/2012 della COMM. TRIBUTARIA CENTRALE di

ROMA, depositata il 04/12/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 del Consigliere Dott. PAOLO BERNAZZANI.

Fatto

RILEVATO

che:

B.E.A., in proprio e quale erede dell’ex coniuge M.G., propone ricorso nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza della CTC – Sezione di Roma, n. 5277/03/2012, pronunciata il 15.6.21012 e depositata il 4.12.2012, con la quale è stato parzialmente accolto il ricorso dell’Ufficio, in relazione all’annualità 1983, in controversia concernente l’impugnazione di avvisi di accertamento ai fini Irpef ed Ilor per gli anni di imposta 1983 e 1984, fondati sulle risultanze di un accertamento sintetico D.P.R. n. 600 n. 1973, ex art. 38, motivato sulla base di cospicui movimenti di denaro sui conti correnti intestati ai predetti coniugi nonchè ad altri indici di redditività, quali il possesso di un’autovettura Ferrari, di una residenza secondaria e di un’imbarcazione.

Nel corso del giudizio, in particolare, avviato con ricorso avanti alla C.T. di I grado in data 16.2.1990, la difesa dei contribuenti ha sostenuto che i redditi conseguiti dal M. erano frutto di attività di consulenza internazionale svolta all’estero ed ivi sottoposta a tassazione alla fonte e che, in ogni caso, il medesimo contribuente aveva trasferito negli anni in esame la propria residenza all’estero con contestuale iscrizione all’AIRE. Sempre il M. aveva, quindi, provveduto a versare sui conti correnti della moglie la maggior parte dei proventi della propria attività all’estero.

La CTC, pronunciando nel costituito contraddittorio fra i contribuenti e l’Ufficio II.DD. di Roma, nel riformare parzialmente la decisione della CT di II grado, ha osservato che il D.P.R. n. 597 del 1973, art. 1, disponeva che fossero soggetti ad imposta i redditi provenienti da qualsiasi fonte, anche estera; il successivo art. 18, sempre nella formulazione ratione temporis vigente, stabilisce che alla formazione della base imponibile concorrono anche i redditi prodotti all’estero; e le imposte pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’Irpef nei limiti in cui lo Stato estero che ha proceduto alla tassazione accordi un credito di imposta sui redditi della stessa natura provenienti dall’Italia, fermo restando l’obbligo di dichiarare anche i redditi di provenienza estera. La Commissione centrale ha, quindi, rilevato che il M. era stato residente in Italia sino al 15.9.1983 e che da tale data aveva trasferito la propria residenza all’estero, con la conseguenza che, non avendo il contribuente provato quali e quanti redditi imputabili al 1983 fossero stati prodotti dopo il proprio trasferimento, si legittimava la presunzione di conseguimento dell’intero reddito entro tale data; all’opposto, i redditi conseguiti nel 1984, in quanto prodotti certamente all’estero, non potevano giustificare l’accertamento nel nostro Paese, che, conseguentemente, veniva annullato in parte qua.

Il ricorso è affidato a sei motivi. Il M.E.F. è rimasto intimato, mentre l’Agenzia ha depositato atto al solo fine della partecipazione all’eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 636 del 1972, art. 25, comma 2, ratione temporis vigente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la CTC avrebbe omesso di rilevare l’inammissibilità dell’impugnazione dell’Ufficio per genericità ed indeterminatezza dei motivi.

Il motivo è inammissibile sotto più profili.

1.1. In primo luogo, il ricorso, pur dando atto che parte contribuente aveva espressamente proposto tale eccezione, non riproduce, ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, il contenuto del gravame avversario in modo da consentire alla Corte di apprezzare la doglianza; non potendò gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare (v. Cass., 25/9/2012, n. 16254; Cass., 16/2/2012, n. 2223; Cass., 12/9/2011, n. 18646; Cass., 22/10/2010, n. 21779; Cass., 23/6/2010, n. 15180; Cass., 18/9/2009, n. 20093; Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628), sicchè il ricorrente è al riguardo tenuto a rappresentare e riprodurre esaurientemente i fatti giuridicamente rilevanti in ordine ai quali richiede l’intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema (v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698).

1.2.In secondo luogo va osservato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (cfr. Sez. 3, n. 25154 del 11/10/2018, Rv. 651158 – 01; Cass., 25/1/2018, n. 1876, Rv. 647132 – 01; Cass., 26/9/2013, n. 22083, Rv. 628214 – 01; Cass., 23/1/2009, n. 1701, Rv. 606407 – 01).

2. Il secondo motivo di gravame si incentra sulla ritenuta violazione degli art. 324 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa impugnazione, da parte dell’Ufficio, delle statuizioni della sentenza di II grado relative all’assenza dei presupposti sostanziali per procedere ad accertamento sintetico, atteso che, secondo i giudici di appello, la parte aveva dimostrato che la “quasi totalità dei redditi prodotti risultano provenienti da attività di consulente internazionale e come tale tassati alla fonte dall’ente estero erogante”; di qui, secondo la prospettazione della odierna ricorrente, la conseguente formazione del giudicato interno.

Anche tale motivo risulta inammissibile per carenza di autosufficienza, atteso che lo stesso non riproduce il contenuto dei motivi di impugnazione dell’Ufficio avanti alla CTC da cui dovrebbe desumersi l’assenza di impugnazione sul punto. Il principio di autosufficienza del ricorso impone, invero, che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa. (cfr., ex multis, Sez. 6 – 3, n. 1926 del 03/02/2015, Rv. 634266 – 01).

Tale conclusione vale a fortiori ove si consideri che, dai pochi riferimenti di sintesi contenuti nello stesso ricorso, si evince che l’Ufficio aveva bensì dedotto, fra l’altro, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e del D.M. 13 dicembre 1984, oltre che del D.P.R. n. 557 del 1973, artt. 1 e 2, con ciò autorizzando a ritenere che l’impugnazione abbia riguardato anche il capo relativo alla ritenuta inesistenza, da parte della CT di II grado, dei presupposti per procedere all’accertamento sintetico; nè appare pleonastico rilevare che l’Ufficio, a tale riguardo, ha evidenziato, altresì, che da alcuni fatti significativi (acquisto in Italia di un’autovettura Ferrari; domiciliazione in Roma) doveva desumersi che il M. negli anni 1983-84 fosse residente in Italia, con conseguente verificarsi del presupposto impositivo ai fini accertativi.

3. Con il terzo motivo, si deduce la violazione degli art. 324 e art. 329 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per omessa impugnazione delle statuizioni della sentenza di II grado relative alla posizione della contribuente B., con riferimento al ritenuto carattere non reddituale degli accrediti effettuati sui conti correnti alla stessa intestati ed all’esclusione dell’irrogabilità delle sanzioni in considerazione dell’assoluzione in sede penale, con conseguente formazione del giudicato interno su tali punti.

Il motivo in esame, non dissimilmente dai precedenti, risulta inammissibile per carenza di autosufficienza, in quanto non riproduce il contenuto dei motivi di impugnazione dell’Ufficio avanti alla CTC da cui dovrebbe desumersi l’assenza di impugnazione sul punto.

4. Il quarto motivo di ricorso concerne l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell’intervenuta formazione del giudicato interno sui punti di cui al terzo motivo dell’odierno ricorso; censura formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il motivo è inammissibile.

Va premesso che, nella specie, deve trovare applicazione ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, e che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la disposizione in parola fa riferimento all’omesso esame di un fatto “storico”, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), mentre il semplice mancato esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio in questione qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (cfr. Sez. 2, n. 27415 del 29/10/2018 Rv. 651028 – 01; Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 – 01); analogamente, non è inquadrabile nel vizio in esame la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Sez. 2 -, n. 14802 del 14/06/2017, Rv. 644485 – 01).

Ne consegue che, nel paradigma normativo evocato dalla ricorrente, non è inquadrabile la censura concernente non tanto l’omesso esame di un “fatto” storico, principale o secondario, quanto, in realtà, la mancata rilevazione del preteso giudicato, che implica un’attività giudiziale di carattere valutativo in ordine ad una deduzione difensiva e, ancora, un’attività di carattere interpretativo e valutativo in ordine al contenuto ed ai limiti della domanda stessa formulata dall’Ufficio con l’atto di gravame; attività giammai riconducibile alla nozione di “fatto” in senso storico-naturalistico, onde il motivo deve essere dichiarato inammissibile (cfr., per una puntuale ricognizione dei limiti semantico-normativi della previsione di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., Sez. 5, n. 21152 del 08/10/2014, Rv. 632989 – 01 e Sez. 6 – 3, n. 6835 del 16/03/2017, Rv. 643679 – 01).

5. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 654 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, con riferimento alla mancata considerazione del fatto che la sentenza penale di assoluzione con la formula “perchè il fatto non sussiste” nei confronti dei coniugi M.’, resa dal Tribunale di Roma in data 22.2.1990 e divenuta irrevocabile in data 26.3.1990, aveva affermato che il M. era residente in Gran Bretagna dal 24 agosto 1983.

Il motivo è inammissibile o comunque infondato.

Invero, al di là dell’inesistenza di alcun effetto vincolante della sentenza penale di assoluzione nel giudizio tributario (cfr. Sez. 5, n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 – 01), la CTC ha, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), proceduto ad un apprezzamento del dato fattuale rilevante (ossia la residenza all’estero del M.) posto a fondamento della decisione penale, ponendolo a confronto con gli elementi di prova acquisiti al giudizio e concludendo non nel senso di ignorare o di negare tout court l’esistenza di tale circostanza, ma nel senso di affermarne motivatamente la ricorrenza a decorrere dal 15 settembre 1983, ossia dalla data di iscrizione all’AIRE dello stesso contribuente.

Elemento, questo, che ha condotto la CTC a concludere che i redditi prodotti fino a tale data erano soggetti ad imposizione in Italia, onde, non avendo il contribuente provato quali e quanti redditi imputabili al 1983 fossero stati prodotti dopo il proprio trasferimento, era legittima la presunzione di conseguimento dell’intero reddito entro tale data; all’opposto, quelli conseguiti nel 1984, in quanto prodotti certamente all’estero, non potevano giustificare l’accertamento nel nostro Paese, che conseguentemente veniva annullato in parte qua.

6. Infine, con il sesto motivo, la ricorrente deduce “violazione della L. n. 329 del 1990. Erronea determinazione della residenza. Violazione della normativa internazionale in materia di doppia imposizione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Il motivo è inammissibile.

Parte ricorrente richiama l’art. 4, par. 2 Convenzione fra Regno Unito ed Italia contro le doppie imposizioni, ratificata con L. 5 novembre 1990, n. 329, che contiene una serie di disposizioni che consentono di ritenere la persona residente di entrambi gli Stati contraenti in base alle disposizioni nazionali, come fiscalmente residente in uno solo di essi (c.d. tie-breaker rules).

Afferma, di seguito, che il M. nel 1983 poteva considerarsi residente tanto in Italia quanto in Gran Bretagna, omettendo, peraltro, di specificare in base a quali argomentazioni logico-giuridiche ed a quali specifiche fonti normative di diritto anglosassone, genericamente ed inammissibilmente indicate come “combinazione di legislazione, decisioni giudiziarie anche risalenti e circolari delle autorità”, il contribuente si sarebbe trovato nell’indicata condizione, con conseguente ipotetica necessità di ricorrere ai criteri della Convenzione.

Di qui, l’ulteriore riferimento al fatto che, dagli “elementi probatori prodotti sia nel giudizio tributario che nel processo penale”, anch’essi non meglio specificati, avrebbe dovuto concludersi nel senso che il M. sarebbe stato residente per la maggior parte del periodo di imposta in Gran Bretagna; nel medesimo senso si richiama, peraltro in modo contraddittorio, l’ulteriore fatto che il giudice penale aveva affermato che il contribuente era residente in Gran Bretagna (soltanto) dal 24 agosto 1983.

Risulta evidente che il ricorso è inammissibile sia per la sua manifesta genericità sia in quanto richiede alla Corte una valutazione di merito non consentita.

7. In conclusione, il ricorso deve essere dichiaratò nel suo complesso inammissibile. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, attesa l’assenza di attività processuale delle parti intimate.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento della (ndr. Testo originale non comprensibile) pari a quello per il ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2020

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