Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6800 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. VI, 02/03/2022, (ud. 13/01/2021, dep. 02/03/2022), n.6800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9848-2020 proposto da:

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, (OMISSIS), in persona del

Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

LOGISPIN AUSTRIA GMBH, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA,

3, presso lo studio dell’avvocato VITTORIO LARGAJOLLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO DOSSENA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3340/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA CALABRIA, depositata il 20/09/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/01/2022 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO

CROLLA.

 

Fatto

CONSIDERATO

CHE:

1 La “LOGISPIN AUSTRIA GmbH” (già “GOLDBET SPORTWETTEN GmbH”) impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio dei Monopoli per la Calabria recuperava a tassazione a carico della contribuente, quale obbligato in solido, per il periodo 2009, l’imposta unica sulle scommesse, ex arti del D.Lgs. n. 504 del 1998 a seguito di accertamenti nei confronti dell’obbligato principale, F.D.G. titolare dell’esercizio commerciale, che effettuava, in qualità di Centro Trasmissioni Dati – CTD in favore della “LOGISPIN AUSTRIA GmbH” il servizio di raccolta scommesse in mancanza di autorizzazione.

2 La Commissione Tributaria Provinciale di Roma respingeva il ricorso.

3 Sull’impugnazione della contribuente la Commissione Regionale del Lazio accoglieva l’appello rilevando, sulla scorta delle argomentazioni svolte nella sentenza della Corte Costituzionale nr 27/2018, l’inoperatività dell’imposta unica sulle scommesse nei confronti dei bookmakers aventi sede all’estero ed operanti al di fuori del sistema concessorio in quanto riferita ad annualità antecedente al 2011.

4 Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate sulla base di due motivi; la contribuente ha svolto difese depositando controricorso.

5 Ritenuta la sussistenza delle condizioni per definire il ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la proposta formulata dal relatore è stata notificata ai difensori delle parti con il decreto di fissazione dell’adunanza della Corte. La società ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO

CHE:

1 Con il primo motivo, l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli denuncia violazione e /o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 31 e 61 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4; si deduce la nullità della sentenza non essendo stata comunicata all’Ufficio regolarmente costituito la data di fissazione dell’udienza di trattazione.

2 Con il secondo motivo viene dedotta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3 secondo l’interpretazione autentica datane dalla L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, con riferimento alla sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 14 febbraio 2018 n. 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR erroneamente ritenuto che il bookmaker non fosse soggetto passivo dell’imposta unica sulle scommesse per le annualità anteriori all’anno 2011 per essere stata esclusa, per tale periodo, la responsabilità solidale del ricevitore operante per conto di soggetti privi di concessione.

2 1 In applicazione del principio processuale della “ragione più liquida”, desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost., secondo il quale la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, anche se logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre, imponendosi, a tutela di esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, un approccio interpretativo che comporti la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica e sostituisca il profilo dell’evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare ai sensi dell’art. 276 c.p.c. (cfr da ultimo Cass.319/2019), va prioritariamente esaminato secondo motivo che è fondato con assorbimento del primo motivo.

2.2 Le questioni sottoposte allo scrutinio del collegio sono state oggetto di approfondito esame da parte di questa Corte (da ultime: Cass., Sez. 5, 31 marzo 2021, nn. 8907, 8908, 8809 e 8910; Cass., Sez. 5, 1 aprile 2021, nn. 9080 e 9081; Cass., Sez. 5, 2 aprile 2021, nn. 9144, 9145, 9146, 9147, 9148, 9149, 9151, 9152, 9153, 9160, 9162 e 9168; Cass., Sez. 5, 12 aprile 2021, nn. 9516, 9528, 9529, 9530, 9531, 9532, 9533 e 9534; Cass., Sez. 5, 14 aprile 2021, nn. 9728, 9729, 9730, 9731, 9732, 9733, 9734 e 9735; Cass., Sez. 5, 21 aprile 2021, nn. 10472 e 10473), che ha svolto le seguenti considerazioni.

2.3 Sin dalle origini, il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di L. 15 giugno 1951, n. 2033 con riguardo all’istituzione dell’imposta unica, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “(…) debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria (…)”.

2.4 Il presupposto dell’imposizione non è stato, dunque, correlato alla giocata in sé, ma alla prestazione di un servizio, che e’, appunto, il servizio di gioco e, in questo ambito, il prelievo colpisce, dunque, il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

Tale carattere permea, in termini sistematici, l’intera disciplina dei tributi sui giochi. Così è in materia di prelievo erariale unico, dove il D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 39, comma 13, primo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, disponendo: “Agli apparecchi e congegni di cui al testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, di cui al R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, art. 110, comma 6, collegati in rete, si applica un prelievo erariale unico fissato in misura del 13,5 per cento delle somme giocate”, ancorava il presupposto dell’imposizione all’utilizzazione degli apparecchi e congegni per il gioco lecito (“agli apparecchi (…) si applica un prelievo”).

Questa connotazione, del resto, era stata rilevata anche dalla sentenza depositata dalla Corte Costituzionale il 19 ottobre 2006 n. 334, la quale aveva sottolineato il parallelismo con “l’imposta sugli intrattenimenti, dal D.P.R. n. 640 del 1972, art. 1 e dal punto 6 della tariffa allegata allo stesso D.P.R. n.”, norma che, come modificata dal D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 60, art. 1 prevedeva: “Sono soggetti all’imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata 6 al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato”. Tale disposizione, adoperando la parola “svolgono”, aveva un diretto ed evidente riferimento al concreto esercizio del gioco. Analogamente, in materia di IVA, dove il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, n. 6, prevede un regime di esenzione nel caso della raccolta delle scommesse e, dunque, sulla prestazione del servizio del gioco.

E’ chiara, d’altra parte, la ratio di una simile impostazione: lo Stato ha interesse, sia fiscale che extrafiscale, a che le attività di gioco che si realizzano sul proprio territorio – ossia, nel luogo dove si trova fisicamente lo scommettitore e, comunque, esse siano svolte – siano soggette al proprio ordinamento.

2.5 Queste ragioni di ordine storico e sistematico caratterizzano il quadro normativo di riferimento, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1 volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il medesimo D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3 intitolato ai soggetti passivi, stabilisce: “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, “(…) a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorché la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze-amministrazione autonoma dei monopoli di Stato; b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3 si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorché in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il Decreto reso dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 10 marzo 2006, n. 111, art. 16 prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”.

2.4 n quadro normativo è stato sottoposto all’esame della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni, rispettivamente, con la Costituzione e col diritto unionale.

2.5 La Corte Costituzionale, con riferimento all’ambito soggettivo dell’imposta, ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3 per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore, con la L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, da un canto, ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole. Entrambi i soggetti, difatti, secondo il giudice delle leggi, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione.

In particolare, il titolare della ricevitoria, benché non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perché assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonché del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker.

2.6 Della sussistenza di autonomi rapporti obbligatori – che ai fini tributari sono avvinti dal nesso di solidarietà per conseguenza paritetica, e non già dipendente – non dubita, d’altronde, la giurisprudenza civile di questa Corte, la quale, sia pure con riguardo al gioco del lotto, ha chiarito, appunto, che sono due i rapporti obbligatori, quello concluso tra lo scommettitore e il raccoglitore e quello che si instaura tra lo scommettitore ed il gestore (Cass., Sez. 3, 27 luglio 2015, n. 15731).

La stessa giurisprudenza penale (Cass., Sez. 3, 9 luglio 2020, n. 25439) evidenzia la rilevanza del ruolo del ricevitore appartenente alla rete distributiva del bookmaker, consistente nella “(…) raccolta e trasmissione delle scommesse per conto di quest’ultimo, rilasciando le ricevute emesse dal terminale di gioco – con le annesse attività di incasso delle poste e di pagamento delle eventuali vincite – (…)”.

2.7 Ne deriva, secondo la Corte Costituzionale, che quanto al ricevitore l’attività gestoria, che costituisce il presupposto dell’imposizione, va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale. Ne’, ha aggiunto, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò in quanto, attraverso la regolazione negoziale delle commissioni, il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

2.8 La rivalsa svolge, pertanto, funzione applicativa del principio di capacità contributiva poiché redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitore, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.

2.9 In conseguenza di tale articolato percorso, dunque, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3 e della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, lett. b, nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può, difatti, procedere alla traslazione dell’imposta, perché l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. 13 dicembre 2010, n. 220 (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27).

2.10 Il giudice delle leggi ha anche chiarito che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore. Ne consegue che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma solamente i bookmakers, con o senza concessione, in base alla combinazione del D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 3 e della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, lett. b, usciti indenni dal vaglio di legittimità costituzionale.

A diversa conclusione, invece, deve pervenirsi per le annualità dal 2011. L’illegittimità costituzionale della norma in esame, infatti, è stata riscontrata “in ragione dell’impossibilità per le ricevitorie di traslare l’imposta per gli esercizi anteriori al 2011” con conseguente violazione dell’art. 53, Cost., “giacché l’entità delle commissioni pattuite fra ricevitore e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro regola torio, anche sotto il profilo tributario, precedente alla L. n. 220 del 2010”.

A fondamento, dunque, della pronuncia di incostituzionalità è stata la considerazione della già avvenuta definizione negoziale tra le parti dei reciproci rapporti in data antecedente alla introduzione della soggettività passiva della ricevitoria del bookmaker privo di concessione, ed è stato dato rilievo al fatto che le stesse non erano state nelle condizioni di regolare diversamente la misura delle commissioni al fine di procedere all’eventuale trasferimento del carico tributario, gravante anche sulla ricevitoria in forza della legge sopravvenuta, sui bookmakers.

La suddetta ragione di incostituzionalità, tuttavia, non è stata ravvisata per i “rapporti successivi al 2011”, quindi, non soltanto per gli eventuali rapporti negoziali perfezionati dopo l’entrata in vigore della norma interpretativa, ma anche per i rapporti che, seppure sorti in data antecedente, si sono protratti oltre l’entrata in vigore della medesima norma.

2.11 In entrambi i casi, invero, la disposizione interpretativa del 2010 costituisce parametro normativo di riferimento per definire negozialmente l’assetto di interessi delle parti, sia in caso di rapporti sorti successivamente che per quelli già sorti e destinati a protrarsi, potendo le parti, alla luce e tenendo conto proprio della scelta normativa di assoggettare al tributo anche i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione, rimodulare la regolazione negoziale delle commissioni al fine di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera la ricevitoria. In questo ambito, la solidarietà dell’obbligazione e la correlata possibilità di traslazione dell’imposta sono, infatti, destinate ad influire sulla stessa portata della regolazione negoziale delle commissioni tra le parti, che, anche quando i rapporti economici siano rimasti invariati, ossia non siano stati oggetto di modifiche o di nuovi accordi in conseguenza della L. 13 dicembre 2010, n. 220, assume, necessariamente, un valore di conformità e adeguatezza rispetto alla nuova configurazione legale del rapporto.

2.12 Orbene, considerato che nel presente giudizio si controverte sul periodo d’imposta del 2008 e che viene in rilievo la sola posizione del bookmaker, le complessive censure – anche a prescindere dai profili di inammissibilità delle doglianze in quanto articolate sulla posizione del “centro di trasmissione dei dati” (in breve, CTD) anziché su quella del bookmaker – sono infondate.

2.13 Giova premettere, invero, che non può seguirsi la linea difensiva della ricorrente secondo cui l’obbligazione solidale del bookmaker privo di concessione, delineata dalla disposizione interpretativa del 2010, sarebbe da qualificarsi quale dipendente, con la conseguenza che, venendo meno la configurabilità della responsabilità principale della ricevitoria, correlativamente verrebbe meno anche quella dipendente del bookmaker.

La Corte Costituzionale, infatti, ha chiarito che entrambi i soggetti (la ricevitoria e il bookmaker), partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione, svolgendo entrambi l’attività gestoria delle scommesse, sicché la pronuncia di incostituzionalità, se da un lato ha inciso sulla parte della norma interpretativa in cui ha configurato, per il periodo precedente all’entrata in vigore, la responsabilità della ricevitoria, non ha fatto venire meno la responsabilità del bookmaker privo di concessione.

3. Quanto alle argomentazioni svolte dalla contribuente nella memoria illustrativa che riguardano le prospettate frizioni col diritto unionale, sotto il profilo della violazione e della falsa applicazione della direttiva CE 28/11/2006 nr 206/112/CE, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale.

3.1 Al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicché i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 17). 3.2 Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonché di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte Giust., 8 settembre 2009, in causa C-42/07; Corte Giust., 24 ottobre 2013, in causa C-440/12, punto 47).

Il legislatore nazionale ha proceduto a questa valutazione, dichiarando, nella L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 64, i propri obiettivi, tra i quali si colloca “(…) l’azione per la tutela dei consumatori, in particolare dei minori di età, dell’ordine pubblico, della lotta contro il gioco minorile e le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore del gioco e recuperando base imponibile e gettito a fronte di fenomeni di elusione e di evasione fiscale nel medesimo settore”.

3.3 La prevalenza dell’ordine di valori di ciascuno Stato membro comporta che gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C788/18, punto 23; per analogia: Corte Giust., 1 dicembre 2011, in causa C-253/09, punto 83).

3.4 In questo contesto la normativa italiana ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale. La Corte di Giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perché l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C788/18, punto 21), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la (omissis), nello Stato membro interessato”.

3.5 Anzi, come la Corte Costituzionale ha sottolineato (Corte Cost., 23 gennaio 2018, n. 27), a seguire la tesi prospettata in ricorso si giungerebbe ad una discriminazione al contrario: la scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione (…)”.

3.6 Neppure sussiste incongruenza tra i punti 17, 26 e 28 di quella sentenza. Col punto 17, in relazione al bookmaker, ci si limita a stabilire in via generale che la libera prestazione di servizi non tollera restrizioni idonee a vietare, ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro; ma col punto 24 si specifica, in concreto, che, “(…) la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale non prevede un regime fiscale diverso a seconda che la prestazione di servizi sia effettuata in Italia o in altri Stati membri”; sicché, si conclude col punto 24, “(…) rispetto a un operatore nazionale che svolge le proprie attività alle stesse condizioni di tale società, la (omissis) non subisce alcuna restrizione discriminatoria a causa dell’applicazione nei suoi confronti di una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale”.

3.7 Quanto al centro di trasmissione dei dati, il punto 26 si limita a ribadire che il bookmaker estero esercita un’attività di gestione di scommesse “allo stesso titolo degli operatori di scommesse nazionali” ed è per questo che il centro di trasmissione dei dati che opera quale suo intermediario risponde dell’imposta, a norma della L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, n. 1, lett. b. Ma ciò non toglie, si aggiunge col punto 28, che la situazione del centro trasmissione dei dati che trasmette i dati di gioco per conto degli operatori di scommesse nazionali è diversa da quella del centro trasmissione dati che li trasmette per conto di un operatore che ha sede in altro Stato membro. La statuizione non è affatto oscura, giacché la diversità della situazione è in re ipsa, per il fatto stesso che si tratta di soggetto che raccoglie scommesse per conto di un bookmaker estero: nel settore dei giochi d’azzardo, difatti, il ricorso al sistema delle concessioni costituisce “(…) un meccanismo efficace che consente di controllare gli operatori attivi in questo settore, allo scopo di prevenire l’esercizio di queste attività per tini criminali o fraudolenti” (Corte Giust., 19 dicembre 2018, in causa C375/17, punto 66, richiamata da Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18, punto 18); e ciò in conformità agli obiettivi perseguiti dal legislatore italiano, dinanzi indicati, come puntualmente rimarcato dalla Corte di giustizia. Di qui l’esclusione, anche con riguardo alla posizione del centro trasmissione dati, di qualsiasi restrizione discriminatoria.

Se ne è concluso, infatti, che “l’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa di uno Stato membro che assoggetti ad imposta sulle scommesse i Centri di Trasmissione di Dati stabiliti in tale Stato membro e, in solido e in via eventuale, gli operatori di scommesse, loro mandanti, stabiliti in un altro Stato membro, indipendentemente dall’ubicazione della sede di tali operatori e dall’assenza di concessione per l’organizzazione delle scommesse”.

3.8 Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente il tributo che qui rileva è differente da una imposta sulla cifra di affari per plurime ragioni: riguarda unicamente operazioni relative all’esercizio delle scommesse, irrilevanti a fini IVA; non tiene conto del valore aggiunto di ciascuna, difettando nel sistema il meccanismo della detrazione IVA e applicandosi il tributo all’importo scommesso; è calcolato senza alcun riconoscimento di deduzione degli acquisti di beni e servizi inerenti effettuati nel periodo in cui sono poste in essere le operazioni di scommessa. Non rilevano quindi i soli fatti consistenti nella proporzionalità, nell’esser riscossa l’imposta a ogni fase e nella sua traslazione in capo al consumatore, evidenziati in ricorso, anche perché (come con evidente contraddizione logica e giuridica si ammette proprio in ricorso per cassazione) proprio la disciplina IVA che cita la ricorrente – D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, comma 2 – proclama esenti dal tributo armonizzato le operazioni in parola con ciò evitando il concorrere di due imposte sul medesimo volume d’affari (cfr sul punto Cass. n. 31912/2021).

3.9 E’ dirimente sul punto la già richiamata Corte di Giustizia UE che – con la sentenza del 24 ottobre 2013, causa C-440/12, Metropol Spielstatten Unternehmergesellschaft (haftungsbeschrankt) contro Finanzamt Hamburg-Bergedorf, punto 28 – ha statuito ” che in forza dell’art. 401 Dir. IVA “le disposizioni di (tale) direttiva non vietano ad uno Stato membro di mantenere o introdurre imposte (…) sui giochi e sulle scommesse, (…) e qualsiasi imposta, diritto o tassa che non abbia il carattere di imposta sul volume d’affari (…)”. La formulazione di tale articolo non osta, pertanto, a che gli Stati membri assoggettino un’operazione all’IVA, nonché, in modo cumulativo, a un tributo speciale non avente il carattere d’imposta sul volume d’affari” (quest’ultimo riferimento è rivolto a Corte di Giustizia UE, sentenza dell’8 luglio 1986, causa C-73/85, Hans-Dieter e Ute Kerrutt contro Finanzamt Mónchengladbach-Mitte, punto 22).

Sulla scorta della citata decisione del 24 ottobre 2013, dunque, “l’art. 401 Dir. 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, in combinato disposto con la stessa, art. 135, par. 1, lett. i), deve essere interpretato nel senso che l’imposta sul valore aggiunto e un tributo speciale nazionale sui giochi d’azzardo possono essere riscossi in modo cumulativo, a condizione che siffatto ultimo tributo non abbia il carattere di un’imposta sul volume d’affari” e, inoltre, “la Dir. 2006/112, art. 1, par. 2, prima frase, e l’art. 73, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una disposizione o a una prassi nazionale secondo cui, per la gestione di apparecchi per giochi d’azzardo con possibilità di vincita, l’importo dei proventi di cassa di tali apparecchi dopo che è trascorso un determinato periodo di tempo viene considerato come base imponibile”.

3.9 Non si ravvisa necessità alcuna di promuovere dinanzi alla Corte di Giustizia le questioni sollecitate che, per un verso, si risolvono in una critica della sentenza resa nella causa C788/18 (Corte Giust., 26 febbraio 2020, in causa C-788/18), rivelandosi sterile per le ragioni esplicate, e, per altro verso, sembra postulare che la Corte di Giustizia abbia riconosciuto nella propria giurisprudenza precedente la legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei centri di trasmissione dati. Laddove, come lo stesso giudice unionale ha sottolineato, essa, “(…) pur avendo constatato l’incompatibilità con il diritto dell’Unione di alcune disposizioni delle gare avviate per l’attribuzione di contratti di concessione di servizi connessi ai giochi d’azzardo, non si è pronunciata sulla legittimità della gestione delle attività connesse a giochi d’azzardo in regime di libera prestazione per il tramite dei CTD in quanto tale” (Corte Giust., 19 dicembre 2018, in causa C-375/17, punto 67).

3.10 Va, infine, osservato che la Corte di Giustizia (sentenza 6 ottobre 2021, in causa C-561/19) ha affermato che l’art. 267 TFUE deve essere interpretato nel senso che un giudice nazionale avverso le cui decisioni non possa proporsi ricorso giurisdizionale di diritto interno deve adempiere il proprio obbligo di sottoporre alla Corte una questione relativa all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevata dinanzi ad esso, a meno che constati che tale questione non è rilevante o che la disposizione di diritto dell’Unione di cui trattasi è già stata oggetto d’interpretazione da parte della Corte o che la corretta interpretazione del diritto dell’Unione s’impone con tale evidenza da non lasciare adito a ragionevoli dubbi. Sulle tematiche sottese alla questione prospettata dalla ricorrente si è già pronunciata la Corte di Giustizia.

In accoglimento del secondo motivo del ricorso, l’impugnata sentenza va cassata con rinvio alla CTR della Calabria in diversa composizione anche in ordine alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale effettuata, il 13 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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