Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 68 del 07/01/2010

Cassazione civile sez. I, 07/01/2010, (ud. 08/10/2009, dep. 07/01/2010), n.68

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. SALME’ Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

B.C. – domiciliato ex leqe in ROMA, presso la Cancelleria

civile della Corte Suprema di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Marra Alfonso Luigi, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del

Consiglio pro tempore – domiciliata ex lege i n Roma, via dei

Portoghesi, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale

è rappresentata e difesa;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli depositato il 13

gennaio 2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio

dell’8 ottobre 2009 da Consigliere dott. Luigi Salvato e letta la

relazione dallo stesso redatta in data 9 marzo/23 aprile 2009.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

B.C. adiva la Corte d’appello di Napoli, allo scopo di ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 in riferimento al giudizio promosso innanzi al Tar Campania con ricorso del 4.8.97, avente ad oggetto il calcolo del t.f.r. per l’attività svolta alle dipendenze del Comune di Napoli, non ancora definito.

La Corte d’appello, con decreto del 13.1.2007, fissata la durata ragionevole del giudizio in anni tre, ritenuto violato il relativo termine per anni 6 e mesi 3, liquidava per il danno non patrimoniale (in considerazione del carattere collettivo del ricorso e della circostanza che la controversia aveva ad oggetto un maggior lucro), Euro 600,00 per ogni anno di ritardo, quindi complessivi Euro 3.750,00, con il favore delle spese del giudizio.

Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso B. C., affidato a quattordici motivi; ha resistito con controricorso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata alle parti costituite.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione ex art. 380-bis c.p.c. ha il seguente contenuto:

“1.- Con i primi sette motivi è denunciata erronea e falsa applicazione di legge (L. n. 9 del 2001, art. 2, artt. 1 e 6, p.1 CEDU), in relazione al rapporto tra norme nazionali e la CEDU, nonchè della giurisprudenza della Corte di Strasburgo e di questa Corte ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, omessa decisione di domande (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; art. 112 c.p.c.) e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) questione relativa alla efficacia della CEDU nell’ordinamento interno ed all’efficacia vincolante per il giudice nazionale della giurisprudenza della Corte EDU (sostanzialmente riproposta in tutti i motivi, richiamando sentenze della Corte europea e di questa Corte) ed è formulato il seguente quesito la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 6, par. 1 CEDU e in ipotesi di contrasto tra la Legge Pinto e la CEDU, ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU?” (primo motivo).

b) Questioni concernenti la quantificazione del danno. Secondo l’istante, nella liquidazione occorre fare riferimento a i parametri del giudice europeo ed è, quindi, formulato il seguente quesito “una volta accertato il diritto all’equo indennizzo lo stesso va liquidato nella misura annua di Euro 1.000,00-1.500,00” (motivo due) e la Corte non avrebbe motivato in ordine alla mancata osservanza di detto parametro (motivo tre); inoltre, ratione materiae doveva essere liquidato un bonus di Euro 2.000,00 (sono richiamate alcune sentenze della Corte EDU, ed è formulato il seguente quesito: “spetta un ulteriore somma rationae materiae (bonus di Euro 2.000,00), trattandosi di diritti dei lavoratori come stabilito dalla CEDU, o comunque l’equo indennizzo per tali materie va calcolato in misura maggiore?” (quarto motivo) ed il decreto sarebbe viziato per la violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte d’appello deciso su una delle domande proposte dalla parte istante (quinto motivo), incorrendo in difetto di motivazione (sesto motivo); infine, è formulato il seguente quesito “il modesto valore della controversia può costituire elemento atto ad escludere il diritto all’equa riparazione ovvero è idoneo a ridurre l’equo indennizzo?” (settimo motivo).

1.1.- I motivi dall’ottavo al quattrodicesimo denunciano violazione dell’art. 6, p.1 CEDU e dell’art. 1 del protocollo addizionale, della L. n. 89 del 2001, art. 2 degli artt. 91, 92, 112 e 132 c.p.c., del D.Lgs. n. 794 del 1942, art. 24, delle tariffe professionali, nonchè difetto di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, artt. 112 e 132 c.p.c.), nella parte concernente la liquidazione delle spese del giudizio e, in sintesi, sono poste le seguenti questioni:

a) nella specie non dovrebbe aversi riguardo alla tariffa per i procedimenti di volontaria giurisdizione, ed è formulato il seguente quesito di diritto “alla fattispecie concreta e con ritardo alle spese di lite, premesso che trattasi di un procedimento ordinario contenzioso (e non di v.g.) vanno applicate le tariffe professionali per i procedimenti ordinari contenziosi (e non quelli di volontaria giurisdizione)?” (ottavo motivo) e questo stesso quesito è reiterato negli stessi identici termini nel decimo motivo; la parte soccombente deve essere condannata alle spese di lite, ed e formulato il seguente quesito di diritto “è legittimo, con riferimento alla fattispecie che ci occupa, un accoglimento della domanda con liquidazione di spese insufficiente o parziale compensazione delle spese, anche in considerazione dell’art. 1 prot. add CEDU direttamente applicabile al caso di specie?” (nono motivo) ed è denunciato difetto di motivazione sulla liquidazione insufficiente delle spese (undicesimo motivo);

il decreto avrebbe liquidato le spese del giudizio in misura insufficiente e si sarebbe posto in contrasto con le quantificazioni operate da questa Corte (sono indicate alcune somme senza indicazione delle sentenze) ed è formulato il seguente quesito “le spese liquidate dal giudice di primo grado sono sufficienti in relazione all’attività svolta, alle tariffe professionali vigenti ed alla nota spese?” (dodicesimo motivo); sono riportate le voci tariffarie asseritamente dovute, per sostenere che emergerebbe chiara la violazione di legge ed è formulato il seguente quesito “può il giudica, nel liquidare le spese ed in presenza di nota spese specifica, disattendere la stessa liquidando spese, diritti ed uno rari inferiori a quelli richiesti e comunque escludere o ridurre alcune delle voci tariffarie indicate nella nota spese ?” (motivo 13) e sul punto è denunciato anche difetto di motivazione riportando nel ricorso specifica nella quale sono riportate le diverse voci tariffarie, in relazione ai diversi scaglioni (motivo 14).

2.- I motivi indicati nel p.1, da esaminare congiuntamente, perchè giuridicamente e logicamente connessi, sono manifestamente fondati, entro i limiti di seguito precisati.

a) Relativamente alla questione sub a), ammissibile e rilevante per l’incidenza su quelle ulteriori, va ribadito il principio enunciato dalle S.U., in virtù del quale il giudice italiano, chiamato a dare applicazione alla L. n. 89 del 2001, deve interpretare detta legge in modo conforme alla CEDU per come essa vive nella giurisprudenza della Corte europea. Siffatto dovere opera entro i limiti in cui detta interprefazione conforme sia resa possibile dal testo della stessa L. n. 89 del 2001 (sentenza n. 1338 del 2004) e, come affermato dalla Corte costituzionale – contrariamente all’assunto dell’istante, che si palesa perciò manifestamente erroneo – al giudice nazionale “spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve i rivestire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117 Cost., comma 1” (sentenze n. 348 e n. 349 del 2007).

Resta dunque escluso che, in caso di contrasto, possa procedersi alla “non applicazione” della norma interna, in virtù di un principio concernente soltanto il caso del contrasto tra norma interna e norma comunitaria.

In questi termini è il principio che può essere enunciato in relazione al quesito formulato con il primo motivo, che rivela la manifesta infondatezza della censura, nei termini in cui è stata proposta.

b) Relativamente alla quantificazione del danno ed agli ulteriori motivi qui in esame, va ribadito che deve escludersi che le norme disciplinatrici della fattispecie permettano di riconoscere – come ha invece sostenuto l’istante – una ulteriore, più elevata somma, svincolata da qualsiasi parametro e dovuta in considerazione dell’oggetto e della natura della controversia.

Infatti, come ha chiarito questa Corte, i giudici europei hanno affermato che il cd. bonus in questione va riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e previdenziali. Tuttavia, ciò non implica al curi automatismo, ma significa soltanto che dette cause, in considerazione della loro natura, è probabile che siano di una certa importanza (Casa. n. 30570, n. 18012 del 2008). Siffatta valutazione rientra nella ponderazione del giudice del merito, che deve rispettare il parametro sopra indicato, con la facoltà di apportare le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda (quali: l’entità della “posta in gioco”, il “numero dei tribunali che hanno esaminato il caso in tutta la durata del procedimento” ed il comportamento della parte istante; per tutte, Cass. n. 1630 del 2006; n. 1631 del 2006; n. 19029 del 2005), purchè motivate e non irragionevoli (tra le molte, Cass. n. 30064 e n. 6898 del 2008; n. 1630 e n. 1631 del 2006).

Il giudice del merito può, quindi, attribuire una somma maggiore, qualora riconosca la causa di particolare rilevanza per la parte, senza che ciò comporti uno specifico obbligo di motivazione, da ritenersi compreso nella liquidazione del danno, sicchè se il giudice non si pronuncia sul cd. bonus, ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo (Cass. n. 30570, n. 18012 del 2008).

In questi termini sono i principi che possono essere enunciati in relazione ai quesiti posti con i citati motivi, che dimostrano la manifesta fondatezza delle censure, nella parte in cui ha liquidato la somma di Euro 600,00 a titolo di indennizzo per il danno non patrimoniale, discostandosi in misura irragionevole dal parametro minimo della Corte EDU (in misura cioè superiore ad 1/3), con motivazione insufficiente, siccome ha fatto riferimento in misura incongrua al carattere collettivo del ricorso ed alla natura patrimoniale della controversia, diretta ad ottenere somme maggiori.

Pertanto, in relazione alle censure accolte il decreto potrà essere cassato – assorbiti i mezzi concernenti le spese dei giudizio, occorrendo procedere alla riliquidazione delle spese della fase di merito – e la causa potrà essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. In applicazione degli standard della Corte EDU, individuato, in applicazione dello standard minimo CEDU – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, neppure in riferimento al succitato bonus – nella somma di Euro 1.000,00 per ciascun anno di ritardo il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, andrà riconosciuta all’istante la somma di Euro 6.250,00 (pari al periodo di irragionevole durata di anni sei e mesi tre accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese della fase di merito potranno seguire la soccombenza, così come quelle della presente fase, nella misura del 50%, dichiarando compensata la residua parte, sussistendo giusti motivi, stante il parziale accoglimento del ricorso.

Pertanto, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge”.

2.- La relazione va condivisa, in difetto della prospettazione di argomentazioni in grado di indurre alla rimeditazione della conclusione nella stessa affermata, con la precisazione di seguito svolta.

Relativamente al quantum, in virtù della più recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di far apprezzare la peculiare rilevanza del danno non patrimoniale (costituiti appunto, tra gli altri, dal valore della controversia, dalla natura della medesima, da apprezzare in riferimento alla situazione economico-patrimoniale dell’istante, dalla durata del ritardo, dalle aspettative desumibili anche dalla probabilità di accoglimento della domanda), l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, la quantificazione, deve essere, di regola, non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtù degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno.

Pertanto, in relazione alle censure accolte il decreto va cassato – assorbiti i mezzi concernenti le spese del giudizio, occorrendo procedere alla riliquidazione delle spese della fase di merito – e la causa può essere decisa nel merito, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto. In applicazione dello standard sopra indicato – che nessun argomento del ricorso impone e consente di derogare in melius, neppure in riferimento al succitato bonus (le deduzioni della parte si risolvono nella prospettazione di argomenti stereotipati e standardizzati che in nessun modo danno conto degli elementi concreti, già sottoposti al giudice del merito, in grado di evidenziare la particolare rilevanza del giudizio e la ricorrenza dei presupposti per la liquidazione di una somma più elevata)- identificato nella somma di Euro 750,00 per ciascun anno di ritardo, per i primi tre anni di irragionevole ritardo, quindi in Euro 1.000,00 per anno, il parametro di indennizzo del danno non patrimoniale, andrà riconosciuta all’istante la somma di Euro 5.499,00 (pari al periodo di irragionevole durata di anni sei e mesi tre accertato dal giudice del merito), oltre interessi legali dalla domanda al saldo.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza – distratte in favore del difensore, per dichiarazione di anticipo- quanto al giudizio di merito e per la metà quanto alla presente fase, dichiarandosi compensata 1 a residua parte, sussistendo giusti motivi, in considerazione del parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, nei termini precisati in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere al ricorrente la somma di Euro 5.499,00 oltre interessi legali dalla domanda al saldo ed oltre alle spese processuali – per la metà, quanto alla presente fase, compensandosi la restante parte – distratte in favore dell’avv. Alfonso Luigi Marra e liquidate, quanto al giudizio di merito, in Euro 1.190,00 (di cui Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari) e, quanto al giudizio di legititimità, in Euro 550,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di Legge.

Dispone che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui alla L. n. 39 del 2001, art. 5.

Così deciso in Roma, il 8 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 7 gennaio 2010

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