Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6794 del 02/03/2022

Cassazione civile sez. lav., 02/03/2022, (ud. 19/10/2021, dep. 02/03/2022), n.6794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26870-2019 proposto da:

ERICSSON TELECOMUNICAZIONI S.P.A, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA n. 22 presso lo studio Legale GERARDO VESCI &

PARTNERS, rappresentata e difesa dagli avvocati GERARDO VESCI,

LEONARDO VESCI;

– ricorrente – principale –

2021 contro

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MANZONI n.

26, presso lo studio dell’avvocato ENNIO CALBI, rappresentato e

difeso dall’avvocato CONCETTA SANTOCHIRICO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

ERICSSON TELECOMUNICAZIONI S.P.A;

– ricorrente principale – controricorrente incidentale –

e contro

I.N.P.S., – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZ. DIST. DI

TARANTO, depositata il 10/07/2019 R.G.N. 165/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/10/2021 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. Con ordinanza depositata il 7.7.2019 la Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. avverso la sentenza con cui il Tribunale della medesima sede aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato a P.G. con lettera del 21.7.2017 e ne aveva ordinato la reintegra nel posto di lavoro, condannando l’azienda a risarcirle i danni in misura pari alle retribuzioni percipiende dal recesso alla reintegra, in applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4.

2. La Corte distrettuale ha ritenuto il reclamo della società connotarsi per “sovrabbondanza espositiva”, con conseguente difetto di specificità dei motivi.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società propone ricorso affidato a un motivo, illustrato da memoria. Resiste il lavoratore concontroricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato articolato in un motivo. L’Inps è rimasto intimato.

4. In data 25 novembre 2021, ossia oltre un mese dopo l’udienza di discussione, è stato depositato verbale di conciliazione intervenuto tra le parti, di cui questo Collegio non può tenere in considerazione considerata la tardività.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. La società ricorrente denuncia, con l’unico motivo, la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) rilevando che i motivi di reclamo – come sintetizzati – rispettavano i canoni si specificità, essendo trascritti i passaggi della sentenza impugnata ai quali si attribuiva le violazioni processuali lamentate.

2. Con ricorso incidentale condizionato si denunzia violazione degli artt. 348 ter e 91 c.p.c., avendo, la Corte territoriale, omesso ogni pronuncia sulla regolazione delle spese di lite.

3. Il ricorso principale è inammissibile.

La norma di cui all’art. 342 c.p.c. – è stato spiegato dalle Sezioni Unite – va interpretata nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza tuttavia che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cass. Sez. U. 16 novembre 2017, n. 27199). In particolare, la disposizione in parola esige che “che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze”; in tal senso, “in nome del criterio della razionalizzazione del processo civile, che è in funzione del rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata”, si richiede “che la parte appellante ponga il giudice superiore in condizione di comprendere con chiarezza qual è il contenuto della censura proposta, dimostrando di aver compreso le ragioni del primo giudice e indicando il perché queste siano censurabili” (sent. cit., in motivazione, par. 5.1).

La Corte di merito, nel rilevare che l’odierna ricorrente aveva proposto un reclamo che “si connota per una sovrabbondanza espositiva” e dunque che “non sia di agevole né fruibile lettura”, ha inteso proprio sottolineare come il proposto gravame mancasse di motivi di impugnazione sufficientemente specifici.

A tale rilievo l’odierna istante contrappone un motivo di censura che è privo di autosufficienza. Va qui considerato che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 2C181): la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo, in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, non esclude, infatti, che preliminare ad ogni altro esame sia quello concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando ne sia stata positivamente accertata l’ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (così Cass. 13 marzo 2018, n. 6014: cfr. pure: Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 8 giugno 2016, n. 11738; Cass. 30 settembre 2015, n. 19410). In particolare, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità (Cass. 20 settembre 2006, n. 20405; Cass. 29 settembre 2017, n. 22880 cit.; da ultimo, Cass. nn. 26593 e 25744 del 2021).

Nella fattispecie, invece, il mezzo di censura si risolve in sintetici rinvii all’atto di appello, i quali non consentono di apprezzare la reale consistenza dei motivi di reclamo; inoltre, non è trascritta, nemmeno per stralcio, la sentenza del Tribunale oggetto del reclamo.

4. Il ricorso principale deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile; il ricorso incidentale, in quanto condizionato, è assorbito.

5. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. Nulla sulle spese con riguardo all’Inps, rimasto intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge, da distrarsi a favore del legale dichiaratosi antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 marzo 2022

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