Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6791 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. trib., 01/03/2022, (ud. 10/02/2022, dep. 01/03/2022), n.6791

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13030/2012 R.G. proposto da:

D.C.A., rappresentato e difeso, come da procura in calce al

ricorso, dall’Avv. Piero Conti, presso il quale è elettivamente

domiciliato in Roma, Via Filippo Nicolai n. 16.

– Ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 14/9/12, depositata il 25 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 10 febbraio

2022 dal Consigliere Rosita D’Angiolella.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il contribuente, D.C.A., ha presentato ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito, CTR) n. 14/9/12, depositata in data 25/01/2012, con la quale è stato rigettato il ricorso per revocazione proposto da D.C.A. avverso la sentenza della CTR di Roma n. 65/14/2009.

2. Dagli atti di causa risulta che la sentenza oggetto dell’impugnazione per revocazione nasce dal ricorso del contribuente avverso la cartella di pagamento n. (OMISSIS), con la quale venne iscritta a ruolo la somma di Euro 735.609,99 a seguito di definizione degli avvisi di accertamento con cui l’Ufficio di Roma (OMISSIS) aveva rettificato la dichiarazione dei redditi presentata dal ricorrente per gli anni 1997-1998-1999-2000, accertando un maggior reddito di partecipazione in quanto socio, con una quota del 22%, della società d.C.F. Riscaldamenti s.a.s.

3. Nel giudizio avverso la cartella di pagamento, instauratosi innanzi alla CTP di Roma, il contribuente eccepiva l’illegittimità del ruolo per carenza dei presupposti, per decadenza dal termine di notifica degli accertamenti per gli anni 1997-1998, per l’assenza del presupposto impositivo degli anni 1999-2000 perché definito dalla società d.C.F. Riscaldamenti & C. s.a.s., ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 5, per la contestazione degli accertamenti 1999-2000 ad opera della società d.C.F. Riscaldamenti s.a.s, per l’impugnazione nel merito degli avvisi di accertamento unitamente al ruolo, eccezioni cui l’Ufficio resisteva rilevando la legittimità della notifica degli accertamenti effettuata ex art. 140 c.p.c., l’autonomia degli accertamenti emessi nei confronti della società rispetto a quelli emessi a carico dei soci, l’inammissibilità del ricorso D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 19, che prevede l’impugnazione della cartella solo per vizi propri.

4. La Commissione tributaria provinciale, con sentenza n. 170/20/2007, accoglieva il ricorso del contribuente, sicché l’Ufficio interponeva appello che veniva accolto dalla CTR del Lazio con la sentenza n. 65/14/2009 che riconosceva la regolarità del procedimento notificatorio, ex art. 140 c.p.c., degli atti prodromici alla cartella, in quanto il contribuente non risultava trasferito dalla propria residenza, nonché escludeva la rilevanza del condono effettuato dalla società D.C.F. Riscaldamento s.a.s. in quanto riguardanti la ripresa a tassazione di Irap ed Ilor, mentre nei confronti del socio, D.C.A., era stato contestato il maggior reddito di partecipazione ai fini Irpef.

5. Il contribuente impugnava tale sentenza innanzi alla CTR chiedendo, in via principale, la revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, assumendo l’errore di fatto sul domicilio di Andrea D.C. essendosi dovuto notificare l’atto presso l’azienda in cui era il proprio domicilio (in (OMISSIS)); in via subordinata, chiedeva di annullare gli avvisi accertamento per omessa notifica degli stessi, in via di ulteriore subordine, di giudicare nel merito le ragioni dell’opposizione (v. sentenza qui impugnata pagina n. 4); chiedeva, altresì, lo stralcio delle posizioni relative alle annualità 1999-2000, rilevando che nel giudizio riguardante le annualità 1999 e 2000, a carico della società D.C.F. Riscaldamenti s.a.s., avverso la sentenza n. 255/01/18, questa Corte di Cassazione, con le ordinanze nn. 23670 e 23671 del 2010, aveva dichiarato la nullità dell’intero processo rimettendo alla Commissione tributaria provinciale per integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci.

6. La CTR, con la sentenza di cui in epigrafe, ritenendo che il ricorso per revocazione non rientrava in alcune delle ipotesi previste dall’art. 395 c.p.c., n. 4., “rigettava” il ricorso per revocazione e confermava la sentenza revocanda, soffermandosi sulla correttezza del ragionamento di tale sentenza circa la validità della notifica degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella nonché circa l’irrilevanza dei giudizi di cui alle due ordinanze della Corte di Cassazione, in quanto riguardanti altro processo nei confronti della società D.C.F. & C. s.a.s.

7. D.C.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, denunciando, col primo motivo di ricorso – così rubricato: “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 140 c.p.c., art. 60, lett. e), nonché della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6,” – l’erroneità della sentenza impugnata laddove ha ritenuto corretto quanto statuito con la sentenza n. 65/14/09 circa la validità della notifica degli avvisi di accertamento notificati ex art. 140 c.p.c., che, invece, avrebbe dovuto essere ripetuta presso l’azienda, dove il ricorrente esercitava l’impresa, prima di notificare ex art. 140 c.p.c.; quindi, avrebbe errato la CTR a non accogliere la richiesta di revocazione della precedente sentenza di appello, considerato che “dagli stessi atti di causa risultava incontrastabilmente che la stessa notifica era stata invece effettuata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lett. e), e, quindi, sullo specifico presupposto che il destinatario non aveva abitazione, ufficio, azienda nel Comune di (OMISSIS), circostanza questa pur sconfessata dal certificato anagrafico in atti”, con l’effetto di privare il ricorrente della “conoscenza della notifica degli avvisi di accertamento non essendo stato il pertinente avviso di deposito affisso (…) né alla porta della sua abitazione (in (OMISSIS)) né in quella dell’azienda presso cui era il proprio domicilio (in (OMISSIS))”. Col secondo mezzo – così rubricato: “insufficiente motivazione su di un punto deciso della controversia. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,” – deduce l’insufficiente motivazione relativamente alle annualità 1999 e 2000 in relazione alle ordinanze della Corte di Cassazione nn. 23670 e 23671 del 2010. Col terzo mezzo – così rubricato: “insufficiente motivazione su di un punto deciso della controversia. Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5,” – deduce l’insufficiente motivazione sull’eccezione di decadenza della notifica degli avvisi di accertamento relativi alle annualità 1997 e 1998.

8. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.

9. Con memoria telematica, la difesa di parte ricorrente ha dato atto che “per le annualità 1997 1998 e 1999 e 2000 sono pendenti due procedimenti per Cassazione di cui, quello odierno, che ha per oggetto la cartella di pagamento n. (OMISSIS) annullata dall’ufficio e, quindi, non più attuale”, nonché che, a seguito dei giudizi svoltosi nei confronti della società D.C.F. & C., s.a.s., in cui D.C.A. era stato chiamato ad intervenire come litisconsorte necessario, “e’ venuta meno la pretesa dell’Agenzia delle entrate in ordine agli imponibili e alle relative imposte pretese per gli anni 1999-2000, essendo stata accertata l’assenza di reddito distribuito dalla società D.C.F. Riscaldamenti & C. s.a.s. ai propri soci”; ha insistito, dunque, per l’accoglimento delle conclusioni formulate con il ricorso per Cassazione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Oggetto del presente ricorso per cassazione è la sentenza di cui in epigrafe, n. 14/09/12, sentenza che ha rigettato la domanda di revocazione della sentenza della CTR n. 65/14/2009 confermando integralmente la sentenza revocanda. Tale sentenza, a dire del ricorrente, sarebbe affetta da vizio di violazione di legge e di motivazione perché non avrebbe riconosciuto l’errore revocatorio determinato dal fatto che la notifica degli avvisi di accertamento prodromici alla cartella doveva essere ripetuta presso l’indirizzo dell’azienda del contribuente, prima di essere effettuata ex art. 140 c.p.c..

3. E’ pacifico, oltre a risultare dalla sentenza impugnata, che l’Ufficio ha effettuato la notifica degli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 140 c.p.c., “in quanto la parte, pur avendo sia la residenza che il domicilio fiscale in (OMISSIS), il notificatore recatosi all’indirizzo ha trovato il portone chiuso e aveva riscontrato l’assenza del cognome sul citofono” (v. sentenza impugnata).

4. I giudici della sentenza qui impugnata, hanno ritenuto “l’inammissibilità del ricorso per revocazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 64 e 65,” perché i motivi indicati dal ricorrente non rientravano nelle “5 ipotesi” indicate dalla legge per la revocazione. Ergo, “solo per ulteriore chiarezza”, sono ritornati sul procedimento notificatorio degli avvisi di accertamento ritenendo corretta, anche in parte qua, la decisione n. 65/14/2009; in particolare, hanno richiamato l’indirizzo “consolidato” di questa Corte secondo cui “la notificazione dell’avviso di accertamento tributario va effettuata secondo il rito previsto dall’art. 140 c.p.c., allorquando, come nella specie, siano conosciuti la residenza del destinatario ma non si sia potuto effettuare la consegna perché questi non era stato rinvenuto in detto indirizzo da dove, tuttavia, non risultava trasferito (…) la disciplina di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, lette. e), sostitutivo per il provvedimento tributario dell’art. 143 c.p.c., quando il messo notificatore non reperisca il contribuente che, dalle notizie acquisite all’atto alla notifica, risulti trasferito il luogo sconosciuto” (v. sentenza impugnata), ribadendo l’inammissibilità del ricorso per revocazione perché “il contribuente non ha eletto alcun domicilio fiscale per la notifica degli atti e, quindi, nell’anagrafe e questo risulta essere corrispondente alla residenza anagrafica sin dal 13/10/1992 (come risulta dall’allegato numero 1…)”; inoltre, hanno precisato che la sentenza revocanda (n. 65/14/2009) non è stata impugnata in Cassazione e che le ordinanze di questa Corte nn. 23670 e 23671 del 2010 non influivano nel giudizio di revocazione in quanto riguardanti altro procedimento, autonomo rispetto a quello di causa.

5. Pure a fronte della chiara pronuncia di inammissibilità per insussistenza di ipotesi realizzanti la revocazione, il ricorrente in cassazione non prospetta alcuna questione che riguardi la sussistenza dell’errore revocatorio sul domicilio presso cui effettuare la notifica che, a suo dire, i secondi giudici non avrebbero colto, limitandosi a riproporre le stesse doglianze avanzate in sede di appello e risolte in senso sfavorevole al contribuente dai giudici della sentenza revocanda (n. 65/14/2009), nonché dai giudici della sentenza qui impugnata (n. 14/9/12).

6. Tale generica e sovrapposta – rispetto alle censure avanzate in appello – prospettazione dei motivi di ricorso, non rende intellegibili le censure proposte in sede di legittimità e non consente di individuare le ragioni critiche, nell’ambito dei vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., il che comporta l’inammissibilità del ricorso per carenza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4). In buona sostanza, il ricorrente è venuto meno all’onere di prospettare in maniera chiara e immediatamente intellegibile il fatto che si assume avere costituito oggetto dell’errore di cui all’art. 395 c.p.c., incorrendo così nell’inammissibilità del gravame che non consente “la valorizzazione dello scopo del processo volto da un lato ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost., nell’ambito dei principi del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, e in coerenza con l’art. 6 CEDU, e, dall’altro, di evitare di gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui” (così, Sez. 62, 27/09/2021, n. 26161; id. Sez. 5, 30/04/2020, n. 8425). La riprova della genericità del ricorso è data dal fatto che nessuna delle censure aggredisce la statuizione della CTR – contenuta in cerica tre pagine di motivazione – riguardante le ragioni dell’inammissibilità della domanda di revocazione.

7. L’inammissibilità dei motivi di doglianza si trae anche dall’ulteriore considerazione che, con il ricorso in cassazione, il ricorrente prospetta nuovamente la sussistenza di un errore revocatorio attraverso le stesse questioni ritenute decisive dalla sentenza revocanda (n. 65/14/2009) ovvero dalla sentenza qui impugnata (v. Consiglio di Stato sez. V, 13/02/2019, n. 1028 secondo cui il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile qualora il fatto sul quale si pretende di fondare l’errore revocatorio, in realtà, sia stato proprio il punto decisivo sul quale il Collegio ha fondato la propria decisione).

8. Peraltro, anche considerando che nell’atto introduttivo con cui la difesa di A. Penta ha proposto la domanda la revocazione della sentenza d’appello è ricompresa la richiesta di pronuncia sul merito della controversia – da intendersi implicitamente proposta anche laddove la parte non la avesse esplicitamente formulata (v. Sez. 5, 18/09/2020, n. 19450) – il ricorso in cassazione risulta inammissibile anche in parte qua, perché non prospetta alcuna ragione critica, nel perimetro dei parametri di censura previsti dall’art. 360 c.p.c., delle statuizioni della sentenza impugnata circa la correttezza del procedimento notificatorio. In proposito, va richiamato l’indirizzo assolutamente pacifico di questa Corte secondo cui la notificazione degli avvisi e degli atti tributari impositivi va eseguita ai sensi dell’art. 140 c.p.c., solo ove sia conosciuta la residenza o l’indirizzo del destinatario che, per temporanea irreperibilità, non sia stato rinvenuto al momento della consegna dell’atto (cd. irreperibilità relativa), mentre va effettuata D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 60, lett. e), (cd. irreperibilità assoluta) quando il notificatore non reperisca il contribuente perché trasferitosi in luogo sconosciuto, sempre che abbia accertato, previe ricerche, attestate nella relata, che il trasferimento non sia consistito nel mero mutamento di indirizzo nell’ambito dello stesso comune del domicilio fiscale (cfr. Sez. 5, 15/03/2017, n. 6788).

9. Va qui ribadito il principio consolidato di questa Corte secondo cui “…l’art. 395 c.p.c., n. 4, non prevede come causa di revocazione… l’errore di diritto, sostanziale o processuale, e l’errore di giudizio o di valutazione; né, con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111 Cost., della ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze ed i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non appare irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione, considerato anche che, quanto all’effettività della tutela giurisdizionale, la giurisprudenza Europea e quella costituzionale riconoscono la necessità che le decisioni, una volta divenute definitive, non possano essere messe in discussione, onde assicurare la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, nonché l’ordinata amministrazione della giustizia” (Sez. U, 11/04/2018, n. 8984; v., altresì, Sez. U, 27/12/2017, n. 30994; Sez. U., 30/10/2008, n. 26022).

10. Anche una risposta al motivo di doglianza ritenuta insoddisfacente o incompleta – come sembrano sottendere gli ultimi due motivi di ricorso- è di per sé idonea ad escludere un errore revocatorio, costituendo un normale effetto del sistema che la decisione giudiziale, la quale, come nel caso, dimostri di avere percepito i motivi di doglianza per averne illustrato il contenuto, possa risultare insoddisfacente per una delle due parti litiganti. E’ perciò indispensabile, per non snaturare l’ambito del rimedio revocatorio e non trasformarlo in un inammissibile “terzo” grado di merito, che l’errore revocatorio cada su di un fatto materiale, e che quando oggetto della revocazione siano i provvedimenti di questa Corte, di un fatto materiale interno al giudizio di legittimità ed afferente ai suoi stessi atti.

11. Infine, considerato il perimetro del giudizio revocatorio instaurato da parte contribuente, risultano infondate anche le ulteriori deduzioni contenute nella memoria telematica, non incidendo sulla prospettazione dell’errore revocatorio assunto in sede di appello, né i giudizi svoltosi in sede di legittimità riguardanti le annualità 1999-2000 e di cui alle ordinanze di rinvio di questa Corte nn. 23670 e 23671 del 2010 che, instaurati nei confronti della società D.C.F. & C. s.a.s., né i provvedimenti di sgravio allegati alla memoria. Ed invero, tali sopravvenienze, non costituiscono errore di fatto, rilevante ai fini della revocazione ex art. 395 c.p.c., n. 4, nei termini indicati al p. 9, ma errore di diritto la cui prospettazione esorbita dai motivi di ricorso qui proposti (cfr., Sez. U., 16/11/2004, n. 21639; conf., Sez. 6-5, 31/10/2019, n. 28138; Sez. 3, 05/05/2017, n. 10930).

12. L’inammissibilità del ricorso in cassazione e la precedente inammissibilità del ricorso per revocazione costituiscono, dunque, quaestiones litis ingressum impedientes, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessivi Euro 7.300,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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