Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6787 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 10/03/2020), n.6787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14031-2018 proposto da:

F.G., nella qualità di titolare dell’omonima ditta,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LUIGI CALAMATTA 16, presso lo

studio dell’avvocato SIMONA GRASSO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPE GRASSO;

– ricorrente –

Contro

MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI;

– intimato –

avverso la sentenza n. 365/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 20/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE

GABRIELLA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte di appello di Napoli ha accolto il gravame del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali avverso la decisione di primo grado e rigettato l’opposizione all’ordinanza ingiunzione n. 254 del 2014 proposta da F.G. e avente ad oggetto sanzioni per violazioni in materia di lavoro, in relazione a due rapporti di lavoro;

a fondamento del decisum, con riferimento alla questione della documentazione utilizzabile ai fini della decisione, la Corte territoriale ha osservato come dovesse distinguersi la documentazione prevista dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 8, da quella del successivo comma 9; la Corte territoriale ha affermato come la prima, in quanto strettamente inerente all’accertamento della violazione, fosse estranea alla disciplina dell’art. 416 c.p.c. (rilevante – la disciplina dell’art. 416 c.p.c. -, ai sensi del comma 9, solo per i documenti prodotti dall’Amministrazione che si costituisce in giudizio);

i documenti indicati dall’art. 23 cit., comma 8, sono, invece, richiesti d’ufficio, indipendentemente e al fuori della costituzione dell’Amministrazione ed entrano a far parte del fascicolo d’ufficio, al fine di consentire al giudice, e alla stessa parte opponente, una compiuta conoscenza di ciò che è stato accertato e valutato al fine della adozione e notifica dell’atto impugnato;

nel merito, la Corte ha, quindi, giudicato corretta la qualificazione dei rapporti di lavoro come di natura subordinata;

ha proposto ricorso per cassazione F.G., con tre motivi;

è rimasto intimato il Ministero in epigrafe;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio;

la parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 416 c.p.c., comma 3, in combinato disposto con la L. n. 150 del 2011, art. 6, nella parte in cui la Corte di merito distingue, quanto al termine per la produzione in giudizio della documentazione dell’amministrazione, la previsione del comma 8 da quella del successivo comma 9;

il primo motivo è infondato in relazione al principio di questa Corte (v. Cass. n. 9545 del 2018) secondo cui: “in tema di procedimento di opposizione a sanzione amministrativa (…) disciplinato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, il termine previsto dal cit. art. 6, comma 8, per il deposito di copia del rapporto, con gli atti relativi all’accertamento nonchè alla contestazione o alla notificazione della violazione non è, in difetto di espressa previsione, perentorio, a differenza di quello contemplato dall’art. 416 c.p.c., che si applica, in virtù del richiamo operato dal medesimo D.Lgs. n. 150, art. 2, comma 1, per gli altri documenti depositati dall’Amministrazione” (il principio è peraltro affermato anche in relazione all’omologa previsione del D.Lgs. cit., art. 7, in materia di opposizione al verbale di accertamento di violazione del codice della strada da Cass. n. 15887 del 2019 e Cass. n. 16853 del 2016 ed, in precedenza, per lo stesso termine di dieci giorni, fissato dalla L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 2, da Cass. n. 5828 del 2015 ed altre);

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 437 c.p.c., dell’art. 2222 c.c., del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11, dell’art. 24 Cost.;

le censure investono l’accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con M.P.; parte ricorrente imputa alla sentenza di aver tratto l’espresso convincimento senza assumere i mezzi istruttori richiesti, sulla scorta di una opinabile valutazione di verosimiglianza;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c, nn. 3 e 5 – è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., dell’art. 437 c.p.c., dell’art. 2222 c.c., del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11, dell’art. 24 Cost.;

i medesimi rilievi di cui al precedente motivo sono sviluppati in relazione all’accertamento della natura subordinata del rapporto intercorso con N.G.; si critica la decisione per aver utilizzato le dichiarazioni rese dal lavoratore alla Polizia Stradale e per aver conferito natura confessoria alla comunicazione di assunzione inoltrata dalla ditta;

i motivi, per la loro evidente connessione, possono congiuntamente esaminarsi e sono inammissibili;

le censure, piuttosto che denunciare puntuali violazioni delle norme riportate in rubrica, investono interamente gli esiti dell’accertamento compiuto dalla Corte di merito e quindi si risolvono in una critica dell’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione,

a tale riguardo, deve rammentarsi che, in relazione alla qualificazione del rapporto compiuta dal giudice di merito, è censurabile in sede di legittimità, sotto il profilo della violazione di legge, soltanto la determinazione dei criteri astratti e generali applicati alla fattispecie concreta mentre costituisce apprezzamento di fatto, come tale sindacabile in cassazione nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, la valutazione, a mezzo delle risultanze di causa, del concreto atteggiarsi del rapporto;

non è condivisibile la critica secondo cui la Corte di appello di Napoli avrebbe aderito, in modo apodittico e senza idonei elementi probatori, alla valutazione espressa dalla Direzione territoriale del Lavoro;

i giudici hanno compiuto un accertamento che non presta il fianco alle critiche mosse; ai fini della qualificazione dei rapporti, hanno esaminato il contenuto degli accordi intercorsi e considerato come le clausole contrattuali stabilissero: 1. lo svolgimento della prestazione con mezzi di proprietà del datore di lavoro; 2. il rispetto dei tempi stabiliti dal datore; 3. la corresponsione di una retribuzione in misura fissa;

in tal modo, i giudici hanno valutato gli indici rivelatori della subordinazione, cd. sussidiari, secondo gli insegnamenti di questa Corte, valorizzando, in particolare, lo svolgimento della prestazione lavorativa con strumenti di lavoro di proprietà datoriale, l’osservanza di un orario, la forma di retribuzione.

a tali considerazioni, costituenti il nucleo centrale della ratio decidendi, la Corte ha poi aggiunto (pag. 7 sentenza impugnata: “con l’aggiunta”), quanto alla posizione del lavoratore N.G., la valutazione del contenuto delle dichiarazioni rese alla polizia stradale e la comunicazione del datore di lavoro di assunzione del lavoratore;

discende, da quanto precede, l’inammissibilità delle censure del terzo motivo che investono tali ultime argomentazioni (id est: quelle che, nel paragrafo che precede, si sono qualificate aggiuntive) perchè eccedenti rispetto alba necessità logico-giuridica della decisione e, come tali, non vincolanti, improduttive di effetti giuridici e non suscettibili nè di gravame, nè di censura in sede di legittimità (Cass. n. 11160 del 2004; Cass. n. 23635 del 2010; Cass. n. 1815 del 2012; in motiv., Cass. n. 28923 del 2018, p. 4.5.);

sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va rigettato; nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, in assenza di attività difensiva da parte del Ministero.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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