Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6786 del 10/03/2020

Cassazione civile sez. VI, 10/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 10/03/2020), n.6786

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13042-2018 proposto da:

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 190,

presso l’AREA LEGALE TERRITORIALE dell’Istituto medesimo,

rappresentata e difesa dagli avvocati ROBERTA AIAZZI, GAETANO

STEFANO PESANTE;

– ricorrente –

contro

T.C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO NATALE EDOARDO

GALLEANO, rappresentato e difeso dall’avvocato VITO COLONNA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 298/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 18/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARCHESE

GABRIELLA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

il Tribunale di Trani accoglieva la domanda di T.C.D. nei confronti di Poste Italiane S.p.A. e dichiarava il diritto del primo ad essere inquadrato, a far data dal 30.3.2000, nell’area Quadri di secondo livello, corrispondente al Livello A Quadri Posizione retributiva A2, ai sensi dell’art. 21 del CCNL del 2003;

la Corte di appello di Bari ha rigettato il gravame di Poste Italiane S.p.A.;

in estrema sintesi, la Corte territoriale ha ritenuto, in base alle risultanze della prova orale, che il lavoratore non si fosse limitato a svolgere attività impiegatizia di caposquadra e neppure che fosse mero esecutore di ordini del collega P.; secondo i giudici di merito, il T., piuttosto, era stato preposto a dirigere, in piena autonomia decisionale e con esclusiva responsabilità, l’Ufficio postale di Barletta Centro che, per complessità e dimensioni, richiedeva la presenza di una figura professionale corrispondente a quella rivendicata; tale posizione era ricoperta per circa un anno e mezzo, ossia dal marzo 2000 all’ottobre 2001, e dunque per un tempo utile alla maturazione del diritto azionato;

per la cassazione della decisione, ha proposto ricorso Poste Italiane S.p.A., affidato ad un unico ed articolato motivo;

ha resistito, con controricorso, il lavoratore;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

RILEVATO

CHE:

con un unico motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti ed accordi collettivi nazionali con riferimento all’art. 2103 c.c. e alla L. n. 190 del 1985;

il motivo, nel complesso, investe l’accertamento con cui la Corte di appello ha riconosciuto, nei compiti concretamente svolti dal lavoratore, il contenuto mansionistico proprio del superiore inquadramento richiesto;

il motivo si arresta ad un generale rilievo di inammissibilità;

in primo luogo, le censure non soddisfano gli oneri di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1, n. 4; invero, non è indicato dove sia rinvenibile e quando sia stato depositato integralmente (Cass., sez.un., n. 20075 del 2010) il contratto collettivo su cui si fonda il ricorso (Cass., sez. un. 25038 del 2013, Cass., sez. un., n. 7161 del 2010,) senza che possa essere considerata sufficiente la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito (Cass. n. 4373 del 2010);

inoltre, sotto diverso profilo, il motivo, piuttosto che individuare specificamente gli errori di sussunzione commessi dalla Corte territoriale, investe l’esito del percorso argomentativo dei giudici, la valutazione delle risultanze istruttorie e, in definitiva, l’apprezzamento di merito compiuto dalla Corte di appello, così schermando vizio di motivazione;

sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le spese liquidate, come da dispositivo, secondo soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2020

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