Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6779 del 15/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.15/03/2017),  n. 6779

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26332-2015 proposto da:

C.C.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, LARGO MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO

TEDESCHINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

DANIELE GRANARA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CITTA’ METROPOLITANA DI GENOVA C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE

PAFUNDI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

SCAGLI, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 105/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 04/05/2015 r.g.n. 24/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI MACIOCE;

udito l’Avvocato DANIELE GRANARA;

udito l’Avvocato GABRIELE PAFUNDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale GdL di Genova C.C.P., dipendente della Provincia di Genova con ultimo inquadramento in TSA cat. C3 da 1.1.1996 a 31.03.2009, espose: di essersi indotta a rassegnare dimissioni in data 26.01.2009 all’esito di un lungo periodo di aspettativa per gravi ragioni personali e di aver poi, venute meno dette ragioni ed in data 11.10.2010, chiesto ai sensi dell’art. 26 CCNL del 2000 la riammissione in servizio; di essersi vista rispondere negativamente con nota 20.12.2010 in ragione di indisponibilità finanziaria; di aver reiterato la richiesta il 22.08.2013, alla quale la Provincia aveva risposto negativamente per la copertura del posto ed i sopravvenuti divieti di assunzione (alla quale era assimilabile la riammissione); di aver quindi adito il Tribunale per ottenere la riammissione, anche alla luce del fatto che la Provincia aveva medio tempore effettuato nuove assunzioni.

Il Tribunale, con sentenza 592 del 2014, rigettò la domanda sul rilievo che la normativa non assicurava un diritto alla riammissione ma un interesse qualificato al suo esame ed al suo accoglimento, la cui omessa valutazione avrebbe potuto portare solo al risarcimento dei danni.

La Corte di Genova con sentenza 4 Maggio 2015 ha respinto l’appello proposto dalla C. osservando:

che pur essendo stata riproposta in appello la richiesta di riammissione in servizio, non era stata censurata la statuizione del Tribunale per la quale non sussisteva alcun diritto in tal senso ma solo quello al ristoro dei danni cagionati dalla eventuale violazione degli “obblighi strumentali”; che i provvedimenti di diniego erano stati congruamente motivati sia con la indisponibilità del posto sia con i vincoli contabili-finanziari sia con il sopravvenuto blocco delle assunzioni D.L. n. 97 del 2012, ex art. 16, comma 9 convertito nella L. n. 135 del 2012;

che la sopravvenuta copertura del posto de quo era dimostrata per tabulas e successivamente non era stata evidenziata alcuna vacanza nel servizio di pertinenza da parte dei Piani di assunzioni, quindi sopravvenendo il divieto assoluto di assunzioni ex lege;

che la pretesa ricollocabilità aliunde era prospettazione nuova e peraltro in contrasto con la specifica indicazione ripristinatoria contenuta nella domanda (da cui l’inaccoglibilità delle richieste istruttorie):

Per la cassazione di tale sentenza la C. ha proposto ricorso il 29.10.2015 articolando cinque motivi, ai quali ha opposto difese la Città Metropolitana di Genova che ha notificato controricorso.

I difensori hanno depositato memorie finali e discusso oralmente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che, nessuna delle proposte censure meritando condivisione, il ricorso debba essere rigettato.

La Corte di Genova ha inteso preliminarmente chiarire che, esatta e non impugnata la ratio centrale della prima sentenza, quella per la quale non era configurabile alcun “diritto soggettivo alla riammissione”, la questione devoluta era soltanto quella di scrutinare la correttezza dell’esercizio, con esito negativo, della discrezionalità al fine di valutare la residua domanda risarcitoria della C.. Quindi la Corte territoriale ha esaminato i profili di contestazione alla decisione negativa ed ha ritenuto che, per la comprovata sussistenza delle circostanze giustificatrici della decisione stessa (la indisponibilità del posto – la presenza di divieti posti dai vincoli contabili e finanziari – il sopravvenuto blocco delle assunzioni) e per la estraneità dal thema decidendi della pretesa ricollocabilità a liunde, nessun fondamento fosse da riconoscere alle contestazioni della C..

Premesso che la statuizione in diritto fondante la scelta di ripiegare sulla mera tutela indennitaria della posizione della richiedente la riammissione è affatto conforme alla giurisprudenza di questa Corte (si rammentano Cass. 11066 del 2014 e 15737 del 2013, sulle riammissioni chieste D.P.R. n. 3 del 1957, ex art. 132 e D.Lgs. n. 297 del 1944, art. 516), vanno esposti e valutati i cinque motivi del ricorso.

Il primo motivo accusa la sentenza di travisamento della posizione di essa C., là dove avrebbe escluso, in forza della richiamata inesistenza di un “diritto” alla riammissione in servizio, che il pur spettante risarcimento del danno per cattiva gestione del potere di riammissione fosse traducibile nella forma della esecuzione specifica ex art. 2058 c.c.. Il motivo è privo di alcuna consistenza là dove dimentica che la stessa ragione per escludere la sussistenza di un obbligo di riammissione (la ineludibile potestà di valutazione della Amministrazione Pubblica della opportunità – convenienza di ripristinare ex nunc un cessato rapporto di impiego) è alla base della radicale non configurabilità della esecuzione specifica dell’obbligo risarcitorio per mala gestio del potere valutativo, obbligo che garantisce la soddisfazione riparatoria indiretta delle attese del richiedente ad una corretta, completa, congrua valutazione della sua istanza.

Il secondo motivo si duole della disattenzione dimostrata dalla Corte territoriale per la questione della assenza di una congrua motivazione nel provvedimento di diniego (motivazione imposta dalla L. n. 241 del 1990, art. 3) e per la assenza di una specifica valutazione dei giudici del merito in ordine alle osservazioni e contestazioni formulate avverso le ragioni del diniego.

A criterio del Collegio la censura non è ammissibile. A parte la evidente non pertinenza del richiamo alla L. n. 241 del 1990, art. 3 in un contesto di attività di mera gestione della domanda di riammissione, il quale implica che i requisiti di corretta gestione debbano essere scrutinati secondo i criteri di buona fede e correttezza del destinatario della “proposta” di riammissione in servizio, l’intero motivo soffre di palese inammissibilità. Ed invero non si espongono con chiarezza i passaggi della motivazione della sentenza di appello che sarebbero affetti dalle violazioni prospettate ma si giustappongono ragioni esposte dalla Amministrazione a deduzioni di essa C. in una logica affatto estranea al momento impugnatorio proprio del ricorso per cassazione. E pare appena il caso di rammentare che la sentenza impugnata alle pagine 8 e 9 ha avuto cura di esporre, sinteticamente ma chiaramente, la sussistenza di ragioni chiare, esplicitate e veridiche delle ragioni dei dinieghi frapposti alla istanza di riammissione. Il motivo, pertanto, si evidenzia essere una esposizione di ragioni di dissenso sulla effettività-ragionevolezza dalle motivazioni addotte e dai giudici del merito condivise, un dissenso che in questa sede non ha spazio alcuno.

Il terzo motivo, quindi, denunzia la illegittimità della statuizione di congruità della ragione di diniego costituita dalla inesistenza di posti disponibili: il motivo è inammissibile, essendo null’altro che una dissimulata censura di carenza di motivazione su circostanza di fatto che, avverso sentenza del 4 Maggio 2015, non ha alcun ingresso attraverso il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. S.U. 8053 del 2014). Non diversa sorte merita

il quarto motivo, che censura la totale disattenzione della Corte di Appello per la reiterata istanza di acquisizione-esibizione di documenti rilevanti in ordine alla assunzioni perpetrate dalla Amministrazione, in difformità dalla ragione addotta: ebbene, se si rammenta come uno dei centrali principii di diritto formulati dalla citate S.U. 8053 del 2014 sia quello per il quale l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, si dovrà convenire sul fatto che la sentenza impugnata ha fatto proprie le considerazioni del primo giudice sulla “prova” dei fatti ed ha in tal modo attestato di aver preso in considerazione essa stessa quella prospettazione e di aver condiviso la prima valutazione. In questo quadro non si scorge spazio alcuno per una censura quale quella proposta nel motivo.

Il quinto motivo denunzia la omessa pronunzia sulla prospettazione, necessariamente operata nel corso del primo giudizio, della disponibilità di un posto in Ufficio diverso da quello di Sestri Levante abbandonato con le dimissioni, non trattandosi di domanda nuova, come inesattamente ritenuto, ma di mera emendatio giustificata dalla impossibilità di avere contezza della circostanza in tempo anteriore. La censura, che denunzia una erronea interpretazione del novum, è inammissibile per totale carenza di autosufficienza, mancando essa di rappresentare quale fosse stata l’originaria domanda, quale la pretesa emendatio, quando essa ed in qual modo fosse stata inserita negli atti, qual censura in appello venne proposta. Del resto la censura è inammissibile per mancata percezione della seconda ratio della decisione, quella per la quale andava tenuto conto del fatto che al di là della novità della prospettazione, ne doveva affermarsi la preclusione stante la reiterazione di conclusioni in appello volte alla sola riammissione in Sestri Levante-Area 11 – IAT.

Appare equo compensare le spese del giudizio. Va dichiarata la sussistenza delle condizioni di erogazione del doppio contributo.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio. Dichiara la sussistenza delle condizioni, a carico della ricorrente, per il versamento dell’ulteriore importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis ed 1 quater.

Così deciso in Roma, nella c.d.c., il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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