Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6778 del 15/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.15/03/2017),  n. 6778

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21070-2015 proposto da:

L.P. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA ADRIANA, 5, presso lo studio dell’avvocato MARCO LEONI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANTONELLA PILETTA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO C.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 616/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/06/20 r.g.n. 20/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI MACIOCE;

udito l’Avvocato MARCO LEONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso in data 9.01.2015 L.P. ha proposto reclamo avverso la sentenza del Tribunale di Sondrio che aveva rigettato la sua impugnativa del licenziamento irrogatogli il 25.11.2008 dal Ministero dell’Interno sulla base della contestazione 1.08.2008. Al L. in data 20.05.2008 era stata applicata dal Tribunale di Biella ai sensi dell’art. 444 c.p.p. la pena di anni due e mesi otto di reclusione per i delitti di cui agli artt. 81-110-314-640 c.p. per vicende commesse quale assistente amministrativo contabile della questura di Biella e responsabile della relativa sezione stipendi.

La Corte di Milano, con sentenza 17.06.2015, ha respinto il reclamo affermando:

che nessun automatismo espulsivo era stato riconnesso alla sentenza di applicazione della pena su richiesta, posto che non era difettata affatto l’autonoma valutazione da parte del giudice civile, in relazione alla circostanza che i fatti accertati e contestati non erano stati messi in dubbio dal reclamante, il quale, di contro, si era affidato a doglianze sulla difficoltà di prova e sulla calunniosità delle accuse oltre che sulle pressioni alle quali egli sarebbe stato sottoposto;

che del resto era significativa la difesa proposta e riproposta per la quale il L. non aveva mai beneficiato delle somme oggetto di appropriazione, in quanto a ciò indotto da dirigenti della Questura;

che l’assenza di precedenti, in relazione alla massima gravità dei fatti, non escludeva affatto la accertata proporzionalità.

Per la cassazione di tale sentenza il L. ha proposto ricorso l’11.08.2015 articolando più censure in unico motivo, ed illustrandole in memoria finale. Nessuna difesa è stata articolata dall’intimata Amministrazione dell’Interno (invalidamente intimata presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ritiene il Collegio che il ricorso, affidato a censure inammissibili o prive di fondamento, debba essere rigettato.

Tale assunto esonera il Collegio dall’onere di disporre la rinnovazione della notificazione del ricorso (affetta da nullità per violazione del R.D. n. 1611 del 1933, art. 11), non potendosi imporre alcun onere aggiuntivo alla parte le volte in cui il ricorso la cui notifica sarebbe da rinnovare appaia – come nella specie – ictu oculi destinato alla reiezione.

L’unico motivo, intitolato a violazione dell’art. 13 CCNL comparto Ministeri, della L. n. 97 del 2001, artt. 3 e 5, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55 quater e sintetizzato in rubrica con riguardo al difetto – nel licenziamento contestato – dei requisiti indicati nelle predette norme, si snoda attraverso indistinti passaggi: dopo aver rammentato alle pagine 4, 5 e 6 le norme stesse, si sintetizzano i fatti (dalla sottoposizione ad indagini preliminari dell’1.3.2006 a licenziamento senza preavviso del 26.11.2008) alle pagine 7 ed 8 e quindi:

a pagg. 9 e 10 si lamenta che sia stata riconnessa efficacia probatoria diretta alla sentenza di applicazione della pena su richiesta, senza tenere conto della inferiorità della pena applicata al limite statuito dalla L. n. 97 del 2001, art. 5;

a pag. 11 ci si duole della disattenta considerazione degli stessi elementi (non contestati) emergenti dalla vicenda penale, quali la inesistenza di alcuna personale appropriazione delle somme e la loro destinazione ad altri dipendenti dell’Amministrazione (che lo avevano indotto all’appropriazione stessa);

a pagg. da 12 a 17 si reiterano la censura di disattenzione della stessa istruttoria disciplinare per le difese di esso incolpato, la doglianza di tardività della istruttoria disciplinare dalla data di cessazione della sua custodia cautelare, vieppiù in difetto di alcuna misura sospensiva medio tempore, la assenza di ogni valutazione della personalità del deducente.

Già la struttura del motivo appena sintetizzato ne evidenzia un chiaro profilo di inammissibilità, quello afferente la mancanza di specifica correlazione tra passaggi della sentenza oggetto di critica e censure proposte: la stessa critica peraltro si appunta più volte direttamente sull’operato di inerzia dell’Amministrazione (mancata adozione di misure cautelari medio tempore) o, quando allega violazioni di legge, neanche si fa carico di contestare la statuizione della Corte di merito. In particolare la censura di indebita convalida di un meccanismo di automatismo esplusivo, non adottabile in ipotesi di irrogazione di pena inferiore alla misura indicata nella L. n. 97 del 2001, art. 5 e nel correlato art. 55 quater, non pare aver compiutamente compreso la statuizione della Corte di merito.

La sentenza impugnata, infatti, in coerente applicazione dei principii dettati da questa Corte di legittimità (da ultimo cfr. Cass. 18324 del 2016) ha ben chiarito che nella specie di nessun automatismo era a parlarsi posto che dalla sentenza emessa ex art. 444 c.p.p. e dall’atteggiamento processuale che in relazione ad essa aveva assunto il L. (di sostanziale ammissione dei fatti), era da trarre la prova certa della responsabilità del dipendente in ordine alla commissione di fatti di non comune gravità.

Lo stesso odierno ricorrente, nella congerie di argomenti del ricorso in disamina, non manca di ammettere che quei fatti, quella condotta, non erano negati nè potevano contestarsi: di contro si ripropone l’argomento, già disatteso dalla Corte territoriale, della induzione a tenere quella condotta da parte di dirigenti superiori della Polizia di Stato, argomento disatteso in sentenza con la chiara affermazione di assoluta genericità di dati, fatti e persone, tale da non consentire l’ammissione o la disposizione di alcuna prova orale sul tema (pag. 5 secondo cpv. sentenza).

Ebbene, la critica (rectius il mero dissenso) a tale passaggio non si sostanzia di alcuna deduzione di specifica omissione od illogicità valutativa (comunque non prospettabile contro sentenza del 17.06.2015, alla luce del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 quale illustrato da SU 8053 del 2014) ma si limita alla reiterazione del dissenso, in forza della personale persuasione della verità oggettiva delle pressioni subite per l’appropriazione contestata. Analogamente per la generica doglianza sulla severità della sanzione rispetto al contegno procedimentale dell’Amministrazione, che non ha ritenuto di ricorrere a misure cautelari ed ha lasciato trascorrere il tempo, o per quella relativa alla mancata valutazione della anteatta condotta (doglianze che neanche si avvedono della sintetica ma chiara statuizione contenuta a pag. 5 pen.cpv. della sentenza).

Per nessun verso, quindi, vengono offerte critiche meritevoli di considerazione. La inesistenza di attività defensionale dell’Amministrazione esonera dal regolare le spese. Segue la declaratoria di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso, senza provvedere sulle spese. Dichiara sussistenti i presupposti per il versamento dal ricorrente dell’ulteriore importo dovuto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella c.d.c., il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

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