Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6775 del 15/03/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. lav., 15/03/2017, (ud. 20/12/2016, dep.15/03/2017),  n. 6775

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20560-2014 proposto da:

F.P., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SAVERIO MERCADANTE 9, presso lo studio dell’avvocato

ADRIANO AURELI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.N.O.V.I. – FEDERAZIONE NAZIONALE ORDINI VETERINARI ITALIANI P.I.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ANNA BUTTAFOCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6121/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13/08/2013 R.G.N. 4174/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato ADRIANO AURELI;

udito l’Avvocato ANNA BUTTAFOCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6121, depositata il 13 agosto 2013, rigettava l’appello proposto da F.P. nei confronti della Federazione nazionale ordine veterinari italiani – FNOVI, in ordine alla sentenza emessa dal Tribunale di Roma, tra le parti, n. 20775 del 18 dicembre 2008.

2. La F. era stata assunta dalla FNOVI nel marzo 1999 a seguito di delibera del Comitato centrale n. 97/1990, con inquadramento iniziale nella carriera esecutiva (4^ qualifica funzionale), e di seguito, nel 1993, nella 5^ qualifica funzionale, secondo la procedura prevista dall’art. 3 del Regolamento organico del personale della FNOVI, all’epoca vigente.

In data 29 novembre 2006, in coincidenza del mutamento degli organi direttivi della FNOVI, la quale aveva compiuto una riorganizzazione dell’archivio, veniva comunicato alla lavoratrice l’apertura di un procedimento amministrativo volto a verificare la legittimità dell’assunzione, non essendo stato rinvenuto alcun documento riguardante l’espletamento di alcuna procedura selettiva.

In data 2 febbraio 2002, le veniva comunicata la risoluzione del rapporto di lavoro essendo emersi gravi ed insanabili irregolarità nel procedimento di assunzione che risultava posto in essere in assenza del superamento di idonea e regolare procedura selettiva, così come previsto da disposizioni di legge e dall’art. 97 Cost.

3. La lavoratrice aveva adito, quindi, la FNOVI dinanzi al Tribunale, chiedendo che fosse dichiarata la nullità o l’illegittimità del recesso datoriale e che la Federazione fosse condannata alla reintegrazione nel servizio ed al pagamento di tutte le retribuzioni medio tempore maturate.

In subordine, chiedeva la retrodatazione della propria nomina al 1993, ovvero la sospensione del giudizio e la rimessione alla Corte di Giustizia UE della questione di interpretazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 nella parte in cui prevede la necessità di assunzione mediante concorso pubblico.

In ulteriore subordine chiedeva l’attivazione delle procedure di assunzione con conseguente ammissione di essa ricorrente alla selezione per il posto ancora vacante.

Sempre in subordine, chiedeva la condanna della Federazione al risarcimento dei danni da perdita del posto di lavoro e del danno morale subito.

4. Il Tribunale aveva ritenuto la insanabile nullità dell’assunzione della ricorrente, in quanto assunta senza alcuna procedura selettiva, non essendo stato neppure utilizzato il procedimento di assunzione per chiamata diretta dalle liste di collocamento, e aveva respinto la possibilità di stabilizzare il rapporto di lavoro non vertendosi in ipotesi di assunzione a termine escludendo la richiesta di risarcimento del danno e la istanza di rimessione alla CGUE.

5. La Corte d’Appello rilevava che l’assunzione era avvenuta in assenza di prove selettive o concorsuali, come previsto per gli enti pubblici non economici, dando luogo a nullità.

Il giudice di secondo grado escludeva l’applicabilità degli istituti di cui alla L. n. 241 del 1990, ma riteneva che anche in presenza di moduli privatistici l’Amministrazione poteva far valere l’assenza di un vincolo contrattuale in quanto il contratto era affetto da nullità.

6. La sentenza di appello rigettava la domanda di stabilizzazione attesa la mancanza dei presupposti costitutivi della fattispecie, e non procedeva a rinvio pregiudiziale in ordine al D.Lgs. 165 del 2001, art. 36 nella parte in cui sarebbe pregiudizievole degli interessi di quei lavoratori che prima della sua entrata in vigore hanno prestato servizio continuativo ma in assenza di titolo, atteso che la norma non trovava applicazione nel caso in esame per l’assoluta diversità dei presupposti applicatici, mancando il rispetto delle disposizioni sul reclutamento del personale.

Infine, rigettava il motivo di appello relativo al rigetto della domanda di risarcimento del danno conseguente all’illegittimo comportamento dell’ente, atteso che la condotta dello stesso era conforme alla legge e non poteva ritenersi produttiva del lamentato pregiudizio per il quale non erano stati allegati e dimostrati i presupposti di fatto.

7. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre la F. prospettando sei motivi di impugnazione.

8. Resiste con controricorso la FNOVI, eccependo, in via preliminare, la formazione di giudicato implicito sulla giurisdizione.

9. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

10. Dopo le conclusioni rassegnate in udienza dal Procuratore generale, la ricorrente ha depositato nota di replica ex art. 379 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, art. 360-bis c.p.c., comma 1, art. 374 c.p.c., art. 375 c.p.c., n. 4, la censura di: violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. e della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies anche in relazione del secondo al primo, nonchè dell’art. 12 preleggi, e dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Omissione di esame e valutazione del 2^ motivo di appello. Omesso esame o falsa applicazione di documenti decisivi (i documenti 2 Trib., 3 Trib., 15 Trib., e qui, anche 7.2, 7.3,e 7.15).

2. La Corte d’Appello non aveva rilevato il carattere amministrativo della procedura, come sussistente in ragione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, e della lettera di apertura del procedimento, che aveva condotto al recesso datoriale, assumendone la natura negoziale, e quindi non aveva rilevato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, che sussisteva ìn quanto veniva in rilievo un rapporto di pubblico impiego con un Ordine professionale, fattispecie che le Sezioni Unite con sentenze n. 1582 del 1979 e n. 12010 del 1990 aveva ritenuto rimesso alla giurisdizione amministrativa.

La ricorrente assume che la Corte d’Appello, nel rigettare, in ragione della natura negoziale e non provvedimentale dell’atto di recesso, la propria argomentazione difensiva secondo cui “la PA non avrebbe potuto in autotutela, annullare, a distanza di tempo, l’assunzione ormai effettuata, non essendovi alcun interesse pubblico alla risoluzione del rapporto”, non aveva considerato che l’autotutela era stata contestata da essa ricorrente (secondo motivo di appello) non per la mancanza di interesse pubblico, ma in ragione della giurisprudenza amministrativa che aveva affermato che l’atto amministrativo divenuto illegittimo, continua ad essere efficace e vincolante finchè non venga rimosso in presenza dei necessari presupposti, non potendo essere disapplicato. Detta motivazione della sentenza di secondo grado non risultava idonea neppure rispetto al terzo motivo di appello, con cui si contestava la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies, sia per insussistenza dell’interesse risoluzione, sia per il lungo tempo trascorso.

La risoluzione del rapporto di lavoro in esame aveva natura di provvedimento amministrativo, come si poteva rilevare dalla lettera del 29 novembre 2006 della FNOVI alla lavoratrice che aveva ad oggetto “Comunicazione avvio procedimento L. n. 241 del 1990, ex art. 7”, come confortata dalla lettera del 2 luglio 2007.

Erroneamente, la Corte d’Appello escludeva l’applicabilità dei principi e delle regole del procedimento e degli atti amministrativi.

3. La suddetta censura del primo motivo non è fondata.

4. E’ preliminare rilevare che questa Corte, con la sentenza delle Sezioni Unite 20 ottobre 2016, n. 21260, ha affermato che “L’attore che abbia incardinato la causa dinanzi ad un giudice e sia rimasto soccombente nel merito non è legittimato ad interporre appello contro la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto in quanto non soccombente su tale, autonomo1capo della decisione”.

5. Pertanto l’odierna ricorrente, che ha adito il giudice ordinario, non può introdurre in questa sede la questione del difetto di giurisdizione.

Tanto premesso, si rileva che si è in presenza di un rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, regolato da schemi di diritto privato, al quale non si applicano regole del procedimento amministrativo e dunque la L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies.

Si può ricordare che l’art. 21-nonies, inserito nella legge sul procedimento amministrativo dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, art. 14, comma 1, nel testo vigente ratione temporis, anteriore alle modifiche introdotte dalla L. 7 agosto 2015, n. 124, stabiliva, al comma 1: “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’art. 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”, così regolando il potere di annullamento utilizzabile in caso di illegittimità dell’atto.

Questa Corte ha già vagliato l’applicabilità della L. n. 241 del 1990 all’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato e l’ha esclusa (cfr. Cass. n. 15444 e n. 16088 del 26 luglio 2016).

6. Ciò, tuttavia, non significa che il contesto pubblicistico in cui si collocano i rapporti di lavoro stipulati dalla PA iure privatorum, siano svincolati dai canoni del buon andamento e della imparzialità dell’Amministrazione, quali criteri che devono conformare anche l’attività di diritto privato dell’Amministrazione, in ragione della persistenza anche in regime contrattualizzato di una significativa relazione tra la prestazione lavorativa del dipendente pubblico e l’interesse generale, insieme ai canoni della correttezza e della buona fede che caratterizzano le relazioni negoziali tra l’Amministrazione datore di lavoro e il lavoratore.

7. Sul punto è significativa la statuizione contenuta in Cass. n. 11595 del 6 giugno 2016, che ha affermato “Va altresì rammentato che il lavoro pubblico e il lavoro privato non possono essere totalmente assimilati (Corte costituzionale sentenze n. 120 del 2012 e n. 146 del 2008) e le differenze, pur attenuate, permangono anche in seguito all’estensione della contrattazione collettiva a una vasta area del lavoro prestato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, e che la medesima eterogeneità dei termini posti a raffronto connota l’area del lavoro pubblico contrattualizzato e l’area del lavoro pubblico estraneo alla regolamentazione contrattuale (Corte cost., sentenza n. 178 del 2015): (…) i principi costituzionali di legalità ed imparzialità (…) concorrono comunque a conformare la condotta della pubblica Amministrazione e l’esercizio delle facoltà riconosciutele quale datore di lavoro pubblico in regime contrattualizzato”.

8. Tali principi sono stati specificati proprio in relazione alla disciplina del procedimento amministrativo, chiarendo come, nell’ambito di un rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, modifiche di precedenti determinazioni, che pur possono intervenire, non sono sussumibili negli istituti di diritto pubblico di autotutela.

In tal senso, le sentenze di questa Corte, sopra richiamate, n. 15444 e n. 16088 del 26 luglio 2016 che hanno affermato che la pubblica Amministrazione, nell’ambito dei rapporti di lavoro pubblico contrattualizzato, non può agire con gli istituti dell’autotutela, non potendo trovare applicazione, peraltro in mancanza di provvedimenti autoritativi, la L. n. 241 del 1990.

Tuttavia, l’adozione da parte della pubblica Amministrazione, nella gestione del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, di un atto negoziale di diritto privato, con il quale venga attribuito al lavoratore un determinato trattamento economico, non è sufficiente di per sè, a costituire un diritto soggettivo in capo al lavoratore medesimo, poichè la misura economica deve trovare fondamento nella contrattazione collettiva, e si legittima in ragione della conformità a quest’ultima, diversamente incorrendo nel vizio di nullità per contrarietà a norme imperative (cfr., Cass., S.U., n. 21744 del 2009).

9. Pertanto, la natura privatistica del rapporto di lavoro in questione, così conformatosi il rapporto di lavoro in ragione della privatizzazione del pubblico impiego, non esclude che l’Amministrazione potesse risolvere il rapporto di lavoro, nella cui costituzione rilevava una nullità vizio non sanabile.

Tale agire risponde anche a quanto previsto anche dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 1, secondo il quale “Le amministrazioni pubbliche assumono ogni determinazione organizzativa al fine di assicurare l’attuazione dei principi di cui all’art. 2, comma 1, e la rispondenza al pubblico interesse dell’azione amministrativa”, atteso che, come si è rilevato, la pubblica Amministrazione “conserva pur sempre – anche in presenza di un rapporto di lavoro ormai contrattualizzato – una connotazione peculiare”, essendo tenuta “al rispetto dei principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento cui è estranea ogni logica speculativa” (Corte cost., sentenze n. 146 del 2008, n. 82 del 2003).

10. Pertanto, la fattispecie in esame esula dalla disciplina della L. n. 241 del 1990.

11. Si rileva infine che la nullità del rapporto di lavoro privatizzato per contrarietà con norme imperative e ancor prima con l’art. 97 Cost. non potrebbe, comunque, rapportarsi all’ipotesi dell’annullamento o della revoca dell’atto amministrativo, tenuto anche conto che analoga vicenda nell’ambito del pubblico impiego non contrattualizzato determinerebbe un mero rapporto di fatto e dunque l’assenza di un provvedimento da revocare o annullare.

11. A ciò consegue che l’affidamento del privato non può che essere vagliato in relazione all’agire dell’Amministrazione (tenuta a garantire il buon andamento, l’imparzialità e la legalità del proprio operato), secondo i canoni di correttezza e buona fede.

Non può trovare dunque applicazione, in mancanza di poteri autoritativi, quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite, con la sentenza n. 17586 del 2015, che hanno confermato la sussistenza della tutela risarcitoria dinanzi al giudice ordinario laddove l’Amministrazione abbia adottato un atto illegittimo inducendo a confidare incolpevolmente nella legittimità del provvedimento ed a comportarsi di conseguenza, così cagionandogli un danno (fattispecie distinta dall’azione proposta dinanzi al giudice amministrativo per il danno derivante dalla illegittimità dell’atto).

12. Ulteriore censura è prospettata, sempre nel primo motivo di ricorso, con riguardo al mancato esame del secondo motivo di appello in ordine alla statuizione del Tribunale sulla assenza della legittima costituzione del rapporto di lavoro.

13. La censura non è fondata.

Premesso che la Corte d’Appello nel primo periodo del punto 4 della sentenza ripercorre sia pure in sintesi le doglianze del secondo motivo di appello (legittimità dell’assunzione avvenuta in conformità del regolamento organico del personale che costituiva la disciplina di riferimento, rispetto alla disciplina del pubblico impiego e degli enti pubblici economici in cui andavano inseriti gli Ordini e i Collegi professionali peraltro non prevedendo la regola concorsuale), la censura, da un lato non coglie la ratio decidendi della sentenza di secondo grado che è basata sulla necessità che nei rapporti di lavoro pubblico, nonchè oggi contrattualizzati, operino criteri di trasparenza e imparzialità anche per l’accesso, di cui è espressione non solo il concorso, ma anche modalità di selezioni che accertino la sussistenza della professionalità come richiesta (che la stessa ricorrente afferma poi previsto dal regolamento FNOVI del 1990, adottato poco dopo l’assunzione della ricorrente, per la 4^ qualifica funzionale, pag. 59 del ricorso);

dall’altro afferma che mancherebbe contrasto tra l’assunzione e il quadro normativo nel cui contesto si andava a collocare.

14. La prospettata mancanza della previsione, nel Regolamento FNOVI in atto al tempo dell’assunzione del ricorso ad una procedura selettiva, non legittima l’assunzione poichè quest’ultima è avvenuta in contrasto con quanto previsto dalle norme statali che, nel tutelare interessi pubblicistici, sono per ciò stesso imperative ed inderogabili non solo nei rapporti tra P.A. e privato ma anche nei rapporti tra privati (cfr., Cass., n. 24769 del 2008), nonchè dei principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 97 Cost..

15. Va ricordato, infatti, che il D.P.R. n. 68 del 1986, art. 3 che determinava i comparti della contrattazione collettiva stabiliva che apparteneva in ogni caso al comparto (del personale degli enti pubblici non economici) di cui al medesimo articolo il personale (…) degli ordini e collegi professionali e relative federazioni, consigli e collegi nazionali.

La successiva L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 16 come modificato dal D.L. n. 86 del 1988, art. 4 convertito dalla L. 20 maggio 1988, n. 160 ha poi stabilito “1. Le Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, gli enti pubblici non economici a carattere nazionale, e quelli che svolgono attività in una o piú regioni, le province, i comuni e le unità sanitarie locali effettuano le assunzioni dei lavoratori da inquadrare nei livelli retributivo-funzionali per i quali non è richiesto il titolo di studio superiore a quello della scuola dell’obbligo, sulla base di selezioni effettuate tra gli iscritti nelle liste di collocamento ed in quelle di mobilità, che abbiano la professionalità eventualmente richiesta e i requisiti previsti per l’accesso al pubblico impiego. Essi sono avviati numericamente alla sezione secondo l’ordine delle graduatorie risultante dalle liste delle circoscrizioni territorialmente competenti”.

La norma è stata nella sostanza trasfusa nel D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 36, in parte poi recepito dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che all’art. 35, testualmente prevede che “L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno; b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità” (comma 1).

L’appartenenza degli enti pubblici non economici nazionali alla pubblica Amministrazione veniva poi ribadita dalla riforma del 1993 (D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, art. 1, comma 2, poi trasfuso nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165).

16. Dunque la necessità di una procedura concorsuale e/o selettiva, quando veniva effettuata l’assunzione, come ritenuto dalla Corte d’Appello (punto 4), in linea con l’art. 97 Cost., era prevista dalla disciplina normativa relativa agli enti pubblici non economici nazionali (sulla corretta qualificazione come enti pubblici non economici delle Federazione di ordini professionali, si cfr., Cass. n. 21226 del 14 ottobre 2011) al cui comparto andava ricondotto la FNOVI, con riguardo, in particolare, alla disciplina della costituzione e della gestione del rapporto di lavoro.

17. Peraltro, anche il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 prevede procedure selettive o, comunque, l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (scuola dell’obbligo) salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4685 del 9 marzo 2015 hanno osservato che “la circostanza che con l’art. 35 (del D.Lgs. n. 165 del 2001), le assunzioni di alcune categorie di pubblici dipendenti possano avvenire mediante espletamento di procedure selettive, o mediante avviamento dei soggetti iscritti nelle liste di collocamento, rappresenta, dunque, una semplificazione dello strumento tecnico (il pubblico concorso), ma non il superamento delle esigenze di trasparenza ed imparzialità insite nel concetto di concorsualità volute dalla norma costituzionale”.

Hanno, altresì, ricordato che la Corte Costituzionale (sentenza del n. 159 del 2005) ha statuito che il concorso pubblico costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale all’efficienza dell’Amministrazione, e che a tale regola può derogarsi solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica Amministrazione ed il cui vaglio di costituzionalità passa attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta del legislatore; la regola stessa può ritenersi rispettata solo qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi.

18. Che il concorso pubblico sia principio basilare del pubblico impiego volto a garantire non solo l’imparzialità ma anche l’efficienza dell’Amministrazione (art. 97 Cost.) è stato ribadito dalla Corte Cost. anche con la sentenza n. 187 del 2016.

19. Nella specie, dunque, la statuizione della Corte d’Appello secondo cui l’assunzione senza il rispetto della procedura concorsuale o selettiva è nulla e non annullabile e, come tale improduttiva di effetti, è esente da censure.

20. Con il secondo motivo di appello è dedotto: art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., degli artt. 112 e 115 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, della L. n. 93 del 1983, art. 97, art. 1, art. 2, n. 2), art. 29, del D.P.R. n. 68 del 1986, art. 1, n. 2), degli artt. 2 e 3 del Reg. FNOVI del 1974, degli artt. 4 e 6 del Reg. FNOVI del 1990, del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 35, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 e dell’art. 1442 c.c.. Omesso esame della circostanza decisiva dell’assunzione della ricorrente ex artt. 2 e 3 del Reg. FNOVI del 1974 ed ex artt. 4 e 6 del Reg. FNOVI del 1990. Regolamenti assumenti rango normativo in quanto deliberati D.P.R. n. 221 del 1950, ex art. 35. Omesso esame di tali due documenti.

Assume la ricorrente che la regola del concorso ex art. 97 Cost. non è tassativa per cui il regolamento FNOVI non è in contrasto con il precetto costituzionale. La stessa Corte d’Appello, peraltro, fa riferimento ad una procedura selettiva per la qualifica in questione.

Dunque nella specie, ciò che poteva essere mancato era una procedura selettiva e non l’espletamento di un concorso.

Tuttavia solo la mancanza di concorso darebbe luogo ad una illegittimità che renderebbe nullo il rapporto, mentre la mancanza di una diversa procedura potrebbe essere rilevata solo nel termine di prescrizione quinquennale ex art. 1442 c.c.. Nella specie il regolamento del 1974 comunque non prevedeva neppure procedura da collocamento introdotta dal Reg. del 1990.

21. La censura non è fondata.

Occorre premettere che il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 35 prevede, con riguardo alle professioni sanitarie, che “i regolamenti delle Federazioni nazionali devono essere deliberati dai rispettivi comitati centrali e sono soggetti all’approvazione dei Consigli nazionali”, e non attribuisce agli stessi valore normativo, considerato altresì che tutto il citato d.P.R., il cui ambito è oggi riconducibile alla materia “ordinamento civile” rimessa alla potestà esclusiva dello Stato, conformava le modalità di ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie.

Inoltre, va rilevato che, in mancanza nel suddetto D.P.R. di una espressa disciplina sulle modalità di costituzione e di svolgimento del rapporto di lavoro del personale dei Collegi e Ordini professionali nonchè delle Federazioni, la stessa andava rinvenuta, ratione temporis, nelle fonti primarie sopra richiamate, non potendo un regolamento attuativo di quanto stabilito nel D.P.R. n. 221 del 1950, derogare a quest’ultimo, o prevalere sulla novella legislativa, atteso che il diverso grado della fonte normativa esclude una specialità del regolamento che ne determini un’ultrattività contra legem.

22. Sotto altro profilo la ricorrente deduce che in assenza di prova contraria deve desumersi che la procedura selettiva sia avvenuta. La FNOVI avrebbe dovuto offrire la prova in merito.

23. Anche questa censura, prospettata con il secondo motivo, non è fondata atteso che spettava alla lavoratrice provare il fatto costitutivo dell’effettuazione delle prove selettive per contrastare quanto risultante dal verbale nel quale, senza alcun riferimento allo svolgimento di procedure in tal senso, si deliberava di procedere all’assunzione della stessa.

24. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto: art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 disp. gen., del D.L. n. 148 del 1993, art. 4 bis convertito dalla L. 19 luglio 1993, n. 236, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4), e dell’art. 112 c.p.c..

La ricorrente deduce che la stabilizzazione in ragione del D.L. n. 148 del 1993, art. 4-bis conferma la derogabilità dell’art. 97 Cost., e delle altre norme primarie considerate. Inoltre, essa ricorrente aveva diritto alla stabilizzazione, essendo restata, di fatto, precaria. Erroneamente, il giudice di appello avrebbe affermato la difformità tra contratto a termine e contratto in questione, tenuto conto che per il 4^ livello in cui veniva assunta la lavoratrice non vi era obbligo di concorso o di altre procedure selettive secondo quanto previsto dal regolamento FNOVI all’epoca vigente.

25. Il motivo non è fondato sia per le ragioni già sopra esposte nel trattare i motivi che precedono, sia per le ragioni di seguito esposte.

Il D.L. 148 del 1993, art. 4 bis fa riferimento a contratti di lavoro a tempo determinato regolarmente costituiti, circostanza che non ricorre nel caso in esame, sia per la diversa natura del rapporto di lavoro a tempo determinato, sia per la costituzione del rapporto di lavoro a tempo determinato senza vizi.

26. In ogni caso, va rilevato che la norma prevedeva una procedura concorsuale, o per il personale assunto a tempo determinato previo superamento di prove selettive, concorsi riservati per soli titoli, ma sempre previa valutazione delle esigenze funzionali dell’Amministrazione. Ciò in quanto il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 impedisce la costituzione in via di fatto di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le pubbliche amministrazioni, anche quando l’assunzione a termine presenti solo vizi di forma.

Tale previsione è stata ritenuta conforme alla Costituzione dalla sentenza n. 89 del 2003 del Giudice delle Leggi, e nell’ordinanza n. 207 del 2013 di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, atteso che il meccanismo della conversione contrasterebbe con il principio costituzionale per il quale l’instaurazione del rapporto di impiego con le pubbliche amministrazioni deve avvenire mediante concorso, principio posto a presidio delle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Inoltre, la CGUE con la sentenza Mascolo, del 26 novembre 2014 ha precisato che l’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, “non enuncia un obbligo generale degli Stati membri di prevedere la trasformazione dei contratti di lavoro a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato”.

27. Con il quarto motivo si deduce: art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies e dell’art. 1442 c.c. o, in subordine, art. 2946 c.c., nonchè dell’art. 12 disp. gen., e dell’art. 112 c.p.c., e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Omissione di esame della carenza di interesse pubblico di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies.

Atteso che non sussiste secondo la ricorrente nullità dell’assunzione, la Corte d’Appello avrebbe dovuto vagliare la sussistenza dell’interesse pubblico alla risoluzione del rapporto secondo quanto previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 21-nonies.

28. Al rigetto dei precedenti motivi di ricorso, consegue, in ragione delle motivazioni sopra esposte, il rigetto del presente motivo, atteso, come ritenuto dalla Corte d’Appello, la nullità del contratto e l’inapplicabilità della L. n. 241 del 1990 nella fattispecie in esame per le ragioni sopra esposte.

29. Con il quinto motivo si deduce: art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5. Violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 519 e ssg., art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Omesso esame del 4^ motivi di appello relativo alla ivi invocata applicabilità al rapporto in oggetto delle disposizioni della L. n. 296 del 2006 che prevedono la regolarizzazione del precariato nel pubblico impiego.

La ricorrente richiama le procedure di stabilizzazione di cui alla L. n. 296 del 2006 e deduce che in ordine alla relativa deduzione in appello il giudice di secondo grado non si sarebbe pronunciato.

30. Il motivo non è fondato. La ratio decidendi della sentenza di appello, nullità dell’assunzione a tempo indeterminato, esclude la rilevanza della disciplina sopra richiamata che riguarda procedure di stabilizzazione in relazione a contratti a tempo determinato.

Occorre considerare, inoltre, che la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, al comma 1 prevedeva “Per l’anno 2007 (…) è destinata alla stabilizzazione a domanda del personale non dirigenziale in servizio a tempo determinato da almeno (…) che ne faccia istanza, purchè sia stato assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale o previste da norme di legge. Alle iniziative di stabilizzazione del personale assunto a tempo determinato mediante procedure diverse si provvede previo espletamento di prove selettive”.

Anche in tal caso, dunque, il presupposto della stabilizzazione è un rapporto di lavoro a tempo determinato regolarmente costituito, fattispecie che non ricorre nel caso in esame.

Pertanto, non è possibile procedere alla comparazione o interpretazione analogica prospettata dalla ricorrente, in ragione della diversità ontologica dei rapporti di lavoro in questione cui segue la diversa disciplina giuridica.

31. Trattandosi di norma di stretta interpretazione perchè derogatoria al principio del pubblico concorso, la stessa non può trovare applicazione analogica.

Ed infatti, come questa Corte ha affermato (Cass. n. 14592 del 2016) con riguardo alle procedure di stabilizzazione: “In tema di accesso al pubblico impiego, sono consentite deroghe al principio generale del pubblico concorso solo con forme di reclutamento alternative – quali l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento, le assunzioni obbligatorie delle persone disabili o la cd. stabilizzazione – previste da leggi la cui “ratio” sia volta a contemperare il meccanismo di selezione dei migliori con l’esigenza di ricoprire posizioni di non rilevante contenuto professionale o con il principio della tutela delle categorie protette o – nel caso di conversione a tempo indeterminato di rapporti a tempo determinato – per l’opportunità di valorizzare l’esperienza lavorativa già maturata”.

32. Con il sesto motivo si prospetta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione della L. n. 165 del 2001, art. 35, del D.L. n. 148 del 1993, art. 4-bis, comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e degli artt. 112 e 115 c.p.c.. Omissione di considerare l’applicabilità della sanzione risarcitoria in relazione alla colpa della FNOVI. Omessa considerazione di documenti prodotti (doc. 31 Trib., doc. 7.31).

Il motivo censura la statuizione della Corte d’Appello di rigetto della domanda risarcitoria conseguente all’illegittimo comportamento dell’ente.

La ricorrente ricorda di aver chiesto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia sulla questione relativa al principio del concorso, cui non dava seguito la Corte d’Appello ritenendo che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35 non trovasse applicazione nella fattispecie in esame.

Assume la ricorrente di aver dimostrato l’erroneità della tesi del mancato rispetto delle disposizioni sul reclutamento, pertanto la decisione d’appello viola la disposizione sulla stabilizzazione del rapporto di lavoro in questione. Occorre quindi applicare la sanzione risarcitoria effettiva, quale correttivo della mancata ricostituzione del rapporto di lavoro a causa dell’applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001.

La sanzione risarcitoria va applicata anche per la colpa e responsabilità della FNOVI, con riguardo alla condotta del 1990, come dedotto in appello.

I certificati medici prodotti attestavano il danno, sussisteva inoltre danno patrimoniale e non patrimoniale riferibile al comportamento della FNOVI dal 1990 al 2007 (rapporto di lavoro illegittimamente instaurato) o solo dal 2007 (rapporto di lavoro legittimamente instaurato ma illegittimamente risolto nel 2007).

32. Il motivo non è fondato.

33. Come si è già esposto, la presente fattispecie non è riconducibile all’ambito dei contratti a termine stipulati con la pubblica Amministrazione e non possono quindi trovare applicazione i principi enunciati dalla Corte di Giustizia in relazione all’ Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – allegato alla direttiva 28 giugno 1999, n. 1999/70/CE del Consiglio, dalla Corte costituzionale (cfr. ordinanza 207 del 2013, sentenza n. 187 del 2016) e da questa Corte (cfr. Cass., S.U., n. 5072 del 2016, Cass., n. 22552 del 2016) con riguardo alle relative problematiche risarcitorie.

Dunque, nella fattispecie in esame non viene in rilievo il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 bis come affermato dalla Corte d’Appello.

34. Diverse sono le misure che possono venire in rilievo.

35. Come questa Corte ha già avuto modo di affermare il rapporto di lavoro subordinato instaurato da un ente pubblico non economico, affetto da nullità perchè non assistito da regolare atto di nomina o addirittura vietato da norma imperativa, rientra nella sfera di applicazione dell’art. 2126 c.c., che fa salvi gli effetti del rapporto per il periodo in cui la prestazione risulta di fatto effettuata al fine di far conseguire al lavoratore la retribuzione, con conseguente diritto del lavoratore al trattamento retributivo per il tempo in cui il rapporto stesso ha avuto materiale esecuzione (Cass., n. 23645 del 2016, n. 7680 del 2014).

Tuttavia, la ricorrente non ha agito nel presente giudizio ai sensi dell’art. 2126 c.c., atteso, peraltro, che come si legge nel motivo in esame (pag. 79 del ricorso) il mancato pagamento delle retribuzioni a seguito della risoluzione è invocato quale parametro per determinare il danno patrimoniale, conseguente al comportamento illegittimo della FNOVI, che discenderebbe automaticamente dalla risoluzione del rapporto di lavoro con la perdita dello stipendio.

36. Osserva il Collegio che a seguito della risoluzione, da parte della pubblica Amministrazione, di un rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato, intervenuta in ragione della nullità del contratto posto in essere tra le parti in violazione di norme imperative, poichè l’Amministrazione opera secondo moduli di diritto privato, il lavoratore può chiedere il risarcimento del danno per la violazione degli obblighi di buona fede e di correttezza, di cui assume l’onere della prova (cfr., Cass., n. 19826 del 2016), e non può, invece, promuovere l’azione risarcitoria per la lesione dell’affidamento incolpevole (di cui alla sentenza Cass., Sezioni Unite, n. 17586 del 2015), poichè la stessa ha come presupposto l’agire autoritativo dell’Amministrazione, escluso nel caso in esame.

37. Nella specie, la lavoratrice, nel dedurre la regolare instaurazione del rapporto di lavoro da parte della FNOVI, ha di fatto escluso la lesione dei canoni di buona fede e correttezza al momento della costituzione del rapporto di lavoro e sino alla risoluzione dello stesso in ragione della nullità.

La risoluzione, come si è affermato nel rigettare i motivi di ricorso che precedono, per le argomentazioni sopra esposte, avveniva legittimamente, e quindi la stessa non costituisce, ex sè, in mancanza della prova della violazione di buona fede e correttezza, fonte di responsabilità per l’Amministrazione.

38. Dunque, correttamente, la Corte d’Appello ha rigettato la domanda risarcitoria.

39. Le ulteriori affermazioni della sentenza di appello sulla mancanza di prova della sussistenza di danni patrimoniali e non patrimoniali, non sono adeguatamente censurate atteso, in particolare, la mancata esposizione ragionata del contenuto della documentazione prodotta al fine di farne apprezzare la rilevanza, ma ancor prima la legittimità della risoluzione del rapporto di lavoro, intervenuta, in presenza di nullità del contratto per violazione di norma imperativa, senza che sia risultato un agire dell’Amministrazione contrario ai principi di buona fede e correttezza.

40. Il ricorso deve essere rigettato.

41. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

42. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro duecento per esborsi, Euro tremila per compensi professionali, oltre spese generali in misura del 15 per cento e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA