Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6775 del 07/04/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 6775 Anno 2016
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA
sul ricorso 5156-2013 proposto da:
ROSSI GIULIANA C.F. RSSGLN5OT48F935X, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 34, presso lo
studio dell’avvocato MARCO GUSTAVO PETROCELLI, che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro

2016
275

TELECOM ITALIA S.P.A. C.F. 00471850016, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio

dell’avvocato

ARTURO

MARESCA,

che

la

Data pubblicazione: 07/04/2016

1,

rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROBERTO
ROMEI, FRANCO RAIMONDO BOCCIA, ENZO MORRICO;

contrari corrente

avverso la sentenza n. 8879/2011 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 20/02/2012 R.G.N. 3574/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/01/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato PETROCELLI MARCO GUSTAVO;
udito l’Avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO CELENTANO che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

,.

Udienza del 21 gennaio 2016 – Aula B
n. 6 del ruolo – RG n. 5156/13
Presidente: Nobile – Relatore: Tria

1.- La sentenza attualmente impugnata (depositata il 20 febbraio 2012) respinge
l’appello proposto da Giuliana Rossi avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 2049/2006,
che: 1) aveva dichiarato improponibile la domanda della Rossi volta ad ottenere che fosse
ordinato alla datrice di lavoro TELECOM ITALIA s.p.a. sia di mettere a disposizione della
ricorrente tutti i documenti che la riguardavano, anche se custoditi presso società terze, sia di
dichiarare se disponeva di ulteriori documenti concernenti la Rossi nonché di specificare i criteri
applicati per selezionare i dati da conservare nei fascicoli personali dei dipendenti; 2) aveva
rigettato tutte le altre domande della ricorrente.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) il primo motivo di appello, con il quale si impugna la suddetta decisione di
improponibilità di una delle domande della lavoratrice non è fondato, in quanto, diversamente
da quel che sostiene l’appellante, la domanda in oggetto concerne soltanto il diritto di accesso
e di informazione ai propri dati personali previsti e disciplinati dall’art. 13 della legge n. 675 del
1996, cui si è riferita la lettera inviata dalla lavoratrice alla società TELECOM il 24 settembre
1999, in relazione alla quale è stato avviato dalla Rossi il procedimento dinanzi al Garante di
protezione dei dati personali;
b) conseguentemente, la statuizione di improponibilità de qua appare corretta, data
l’applicabilità nella specie della preclusione scaturente, ex art. 29, comma 2, della legge n. 675
del 1996, dalla preventiva proposizione del ricorso al Garante, da configurare, nella specie, è
come rimedio alternativo rispetto a quello giurisdizionale, data la suddetta identità di oggetto
tra le due iniziative;
c) nel secondo motivo l’appellante non contrasta in modo specifico le affermazioni con le
quali il primo giudice ha respinto la domanda volta all’accertamento dell’inosservanza, da parte
di TELECOM ITALIA, agli ordini emessi dal Garante in data 27 ottobre 1999 e 16 febbraio 2000,
in quanto tale rigetto è stato fondato sull’assenza di adeguate allegazioni – prima ancora che di
prove – in ordine alla suddetta inottemperanza nonché sul rilievo secondo cui nella lettera del
30 novembre 1999 la lavoratrice aveva denunciato soltanto la mancanza nel fascicolo dei dati
personali riferiti a giudizi e valutazioni in itinere inerenti la scheda valutativa del 1998, ma non
l’assenza della scheda stessa;
d) in questa prospettiva risultano superate le censure sul mancato accesso al fascicolo
tenuto dalla società TESS, controllata da TELECOM, sulla mancata messa a disposizione della
scheda del 1998, sulla omessa precisazione della destinazione dei documenti asseritamente
mancanti, trattandosi di deduzioni per le quali mancano allegazioni prima ancora che prove;
e) va respinto anche il terzo motivo di gravame per indicazione generica dei documenti
che sarebbero stati mal conservati da TELECOM e, inoltre, l’appellante neppure precisa in che
cosa consisterebbe l’incompletezza e quali sarebbero i dati non aggiornati;
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

t.

O pure il quarto motivo è da rigettare perché, a fronte del contenuto non pregiudizievole
della valutazione del 1998 – nella quale si esprime l’apprezzamento complessivo di
“adeguatezza” della Rossi, pur rilevandosi alcune criticità – non viene chiarito e provato quali
sono i concreti profili di illegittimità della valutazione stessa e quali sarebbero i riflessi
pregiudizievoli per la carriera della lavoratrice, da essa scaturenti;

2.- Il ricorso di Giuliana Rossi, illustrato da memoria, domanda la cassazione della
sentenza per cinque motivi; resiste, con controricorso, TELECOM ITALIA s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1.- Il ricorso è articolato in cinque motivi.
1.1.- Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.,
nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 342 e 434 cod.
proc. civ., perché la Corte d’appello avrebbe omesso del tutto di esaminare: 1) il terzo motivo
di appello, nel quale si era rilevato che la mancanza nella cartella personale della ricorrente dei
certificati medici attestanti il patito tumore all’occhio riscontrato nel 1994 non poteva essere
giustificata dalla solo successiva entrata in vigore della legge n. 675 del 1996 (come affermato
dal primo giudice), perché l’obbligo datoriale di custodire la cartella sanitaria e di rischio del
lavoratore sottoposto a vigilanza sanitaria e di tenerne conto nell’assegnazione delle mansioni
è stato introdotto dall’art. 4 del d.igs. n. 626 del 1994; 2) il primo motivo di appello, con il
quale si contestavano le pronunce con le quali non era stata ammessa la prova per testi, volta
ad integrare la produzione delle schede di valutazione di colleghi della ricorrente e comunque
la valutazione della prova testimoniale acquisita.
1.2.- Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ.,
nullità del procedimento per violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 177 cod.
proc. civ., in quanto essendo controversa l’esistenza o meno di schede di valutazione per gli
anni precedenti al 1998 e risultandone l’esistenza almeno dal 1995 dall’unica testimonianza
raccolta, pur dopo la revoca dell’ordinanza ammissiva della prova per testi, la Corte d’appello
non avrebbe potuto ignorare il contenuto di tale testimonianza, concernente un fatto decisivo
al fine di supportare la tesi della incompletezza del fascicolo dei dati personali, sostenuta dalla
Rossi.
1.3.- Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., dell’art. 2 Cost., nonché degli artt.
2097, 1175, 1375, 1218, 2104 e 2106, 2697 cod. civ., per avere la Corte romana respinto le
doglianze riguardanti la scheda di valutazione del 1998 ponendo in dubbio la sussistenza
dell’interesse della lavoratrice ad impugnare note di qualifica negative addossando sulla
lavoratrice stessa l’onere di provare la scorrettezza del giudizio negativo espresso sui proprio
conto, in ingiustificato contrasto con la giurisprudenza di legittimità in materia e senza
considerare che invece incombeva alla datrice di lavoro la dimostrazione che il giudizio
espresso nella suindicata scheda, anche se potenzialmente lesivo per la destinataria, tuttavia
era fondato e veritiero e quindi costituiva legittimo esercizio dei poteri direttivi datoriali.

2

g) il rigetto dei suindicati motivi comporta il rigetto anche della domanda di condanna al
risarcimento del danno, peraltro proposta senza adeguate allegazioni in ordine all’an e al
auantum del pregiudizio dal quale si chiede il ristoro.

Inoltre, la Corte d’appello non avrebbe considerato che la suindicata scheda di
valutazione contenente un giudizio sicuramente negativo – come si afferma anche nella
sentenza impugnata – pure se fatta soltanto a fini statistici, comunque aveva contenuto
potenzialmente lesivo della dignità e identità personale della interessata e questo è sufficiente
per la sussistenza – pure in base al combinato disposto dell’art. 2 Cost. e dell’art. 2087 cod.
civ. – del relativo interesse ad agire a tutela dei suddetti beni, anche a prescindere dalla
configurabilità di diretti benefici economici o di carriera.

La ricorrente contesta il capo della sentenza nel quale è stata respinta la domanda
concernente la violazione, da parte della società TELECOM ITALIA dell’ordine del Garante dei
dati personali in data 27 ottobre 1999 – con particolare riferimento alle deduzioni relative al
mancato accesso al fascicolo della società TESS, controllata dalla TELECOM – affermando che
tale rigetto è stato disposto facendo riferimento ad un difetto di impugnativa delle
argomentazioni della sentenza di primo grado non esplicitato e senza neppure chiarire le
ragioni per le quali sono state considerate “superate” le suddette deduzioni relative alla società
TESS, alla quale, per “dichiarazione confessoria” della TELECOM, erano stati trasmessi da
quest’ultima tutti i dati occorrenti per compilare le buste paga dei dipendenti, ivi compresi
quelli sulle condizioni di salute.
Nel ricorso introduttivo del presente giudizio la Rossi aveva contestato l’incompletezza del
fascicolo mostratole da TELECOM, rilevando che in esso mancava tra l’altro la documentazione
medica, con particolare riguardo a quella concernente il tumore all’occhio. E, in appello, aveva
rilevato che la mancata esibizione del fascicolo detenuto dalla TESS costituiva una evidente
inottemperanza all’ordine del Garante, implicitamente ammessa dalla stessa TELECOM, nel suo
atto di costituzione in giudizio.
1.5.- Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e o falsa applicazione degli artt. 9, 13, 29, 37 della legge n. 675 del 1996 [artt. 7,
11, 145, 152 e 170 d.lgs. n. 196 del 2003].
Si contesta la statuizione con la quale – confermando la sentenza di primo grado – la
Corte territoriale ha dichiarato l’improponibilità della prima tra le domande proposte in sede
giurisdizionale sull’assunto – erroneo – dell’identità dell’oggetto di tale domanda con il ricorso
proposto al Garante per la protezione dei dati personali.
Si sottolinea che invece – come precisato anche nel ricorso in appello – il diritto azionato
in giudizio era quello di conoscere i criteri applicati dalla datrice di lavoro per selezionare i dati
da conservare e quelli da eliminare, al fine di verificare – dopo avere, grazie al ricorso al
Garante, ottenuto l’accesso al fascicolo personale ed avere constatato la mancanza di
documenti che avrebbero dovuto esservi per legge (come quelli sulla assoluta inabilità della
ricorrente all’impiego di videoterminali) o che era logico che vi fossero (come le schede di
valutazione riguardanti gli anni antecedenti il 1998) – se i dati conservati erano o meno
pertinenti, completi ed aggiornati e, in caso negativo, chiedere la rimozione dei dati eccedenti
ovvero l’integrazione di quelli mancanti.
Ne deriva che non era affatto configurabile una duplicazione della medesima domanda
perché in sede giudiziaria si è fatto valere un diritto del tutto diverso rispetto a quello posto a
base del ricorso in sede amministrativa, sicché per la proposizione del ricorso in sede
3

1.4.- Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ.,
omesso esame di un punto decisivo della controversia oggetto di confronto nei precedenti gradi
del giudizio.

giurisdizionale i provvedimenti ottenuti dal Garante hanno avuto carattere strumentale, in
quanto hanno consentito di appurare la gestione tutt’altro che trasparente dei dati riservati dei
dipendenti, da parte della TELECOM ITALIA, peraltro confermata dal “comportamento
processuale della società”.
H

Esame delle censure

2.1.- In primo luogo deve precisarsi che, essendo stato il presente giudizio introdotto con
ricorso dell’8 agosto 2002, ad esso non si applica la normativa di cui al d.lgs. 30 giugno 2003,
n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali) e quindi neppure la disciplina
processuale risultante dalle modifiche introdotte dagli artt. 10 e 34 del d.lgs. n. 150 del 2011
all’art. 152 del suddetto decreto legislativo. Infatti, ex art. 36 del d.igs. n. 150 cit., le norme
introdotte dal decreto medesimo “si applicano ai procedimenti instaurati successivamente alla
data di entrata in vigore” dello stesso e le norme abrogate o modificate dal decreto
“continuano ad applicarsi alle controversie pendenti” alla suddetta data (6 ottobre 2011).
Pertanto ratione temporis per il presente giudizio si deve fare riferimento alla legge 31
dicembre 1996, n. 675, nel testo aggiornato con le modifiche che rilevano.
2.2.- Deve anche essere sottolineato che, dagli atti del fascicolo in possesso di questa
Corte direttamente esaminabili perché le censure implicano la determinazione dell’oggetto
della domanda proposta in primo grado (vedi: Cass. SU 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 7
gennaio 2014, n. 896; Cass. 10 ottobre 2014, n. 21421) si desume che: 1) la ricorrente ha
lavorato – alle dipendenze di ITALCABLE s.p.a., incorporata dalla SIP s.p.a. che poi ha assunto
la denominazione di TELECOM ITALIA s.p.a. – in via continuativa ai videoterminali a partire dal
1980; 2) nel giugno 1994 le è stato diagnosticato un tumore melanocitario atipico e prescritta
la corrispondente terapia; 3) nel settembre 1994, rientrata al lavoro dopo la malattia, ha
ripreso servizio nel precedente posto, richiedente l’uso del videoterminale, e nel novembre
successivo, previa presentazione di certificazione medica, è stata trasferita ad altre mansioni,
non comportanti l’uso di videoterminali; 4) dal 1995 alla ricorrente è stato diagnosticato
melanoma della coroide e prescritta la relativa terapia. Tutte circostanze che non risultano
sostanzialmente contestate dalla controalcorrente.
La ricorrente, avendo constatato che, da quando era stata trasferita al nuovo servizio
(per motivi di salute), le proprie schede di valutazione annuali contenevano giudizi critici e di
inadeguatezza, mentre in precedenza aveva sempre ottenuto giudizi lusinghieri sulla propria
prestazione professionale, ha contestato tali valutazioni sfavorevoli, chiedendo ripetutamente
all’azienda di conoscerne le motivazioni.
In particolare, con lettera del 24 giugno 1999, contestando la scheda valutativa relativa
al 1998, la ricorrente ha chiesto alla TELECOM ITALIA, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 675
del 1996, di poter accedere al proprio fascicolo personale, anche per conoscere “le
argomentazioni e valutazioni” poste a base della suddetta scheda di valutazione. Ed ha
reiterato la richiesta in data 11 settembre 1999, sempre al fine di stabilire se il superiore
gerarchico nell’esprimere giudizi sostanzialmente negativi – a partire dal 1995 e in particolare
nel 1998 – riferiti alle nuove mansioni svolte dopo il trasferimento fosse stato informato e
comunque avesse tenuto conto dei gravi motivi di salute che avevano impedito alla ricorrente
l’utilizzo del videoterminale condizionandone complessivamente la prestazione.

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2.- Il quinto motivo di ricorso, da esaminare per primo, in ordine logico, è da accogliere
per le ragioni di seguito esposte.

A seguito di un primo provvedimento del Garante, con il quale si invitava la società ad
ottemperare spontaneamente alla richiesta della lavoratrice, la TELECOM ITALIA, in data 4
ottobre 1999, ha consegnato alla dipendente una comunicazione cui era allegato l’elenco dei
documenti conservati nel suo fascicolo personale e, il successivo 11 ottobre, ha comunicato al
Garante di avere dichiarato all’interessata la messa a disposizione del fascicolo personale e di
non essere in possesso di schede di valutazione relative ad anni anteriori al 1998, le quali
venivano compilate in base all’apprezzamento del superiore diretto.
La lavoratrice ha subito rilevato l’incompletezza dei dati inclusi nell’elenco fornitole,sicché
il Garante – con provvedimento del 27 ottobre 1999 – previa disponibilità della TELECOM
ITALIA, ha invitato la società a rendere più agevole l’accesso della richiedente a tutti i propri
dati personali, riferiti all’intero periodo lavorativo, contenuti anche in giudizi o valutazioni
comunque espressi.
Il 17 novembre 1999 la lavoratrice, avendo avuto accesso alla propria cartella personale
presso la sede della società, ha rilevato la mancanza di diversi documenti tra cui la scheda di
valutazione del 1998 e ogni elemento sulla formazione dei giudizi. Con lettera del 30 novembre
1999 la ricorrente ha informato il Garante di tali riscontrate carenze, chiedendo di conoscere
quali fossero i criteri applicati dalla società per selezionare i documenti da includere nel
fascicolo personale e quelli da scartare. Il Garante, con delibera del 16 febbraio 2000, ha
ordinato alla società di dare puntuale esecuzione alla precedente ordinanza del 27 ottobre
1999, eventualmente comunicando all’interessata di non essere in possesso dei dati di cui ella
aveva rilevato la mancanza nella suddetta lettera.
La società non ha fornito alcuna risposta e quindi la lavoratrice – rilevato il mancato
adempimento della società ai provvedimenti del Garante in data 27 ottobre 1999 e 16 febbraio
2000 – ha proposto ricorso in sede giurisdizionale chiedendo che il giudice ordinasse alla
TELECOM ITALIA: 1) di metterle a disposizione tutti i dati personali ovunque conservati, anche
presso società terze; 2) di dichiarare se era in possesso dei documenti di cui la ricorrente
aveva rilevato la mancanza; 3) in caso negativo, di chiarire quali erano i criteri di selezione
applicati per stabile quali fossero i dati da conservare nel fascicolo personale dei dipendenti e
quelli da eliminare, onde consentire alla ricorrente di esercitare il diritto alla integrazione dei
propri dati personali ai sensi dell’art. 13, lettera c, della legge n.675 del 1996; 4) di eliminare
dalla propria cartella personale le schede di valutazione relative agli anni successivi al 1995, di
cui chiedeva al giudice la dichiarazione di illegittimità e di inutilizzabilità ad ogni effetto.
Conseguentemente, la lavoratrice chiedeva la condanna la società: a) al risarcimento dei
danni, anche morali, essendo dall’art. 37 della legge n. 675 cit., l’inosservanza degli ordini del
Garante configurata come reato; b) al risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, come
previsto dall’art. 29, comma 9, della legge n. 675 cit., per la violazione degli obblighi previsti
dall’art. 9 della legge stessa e, in generale, degli obblighi di correttezza e buona fede per avere
tenuto nel proprio fascicolo personale dati incompleti, inesatti e non aggiornati; c) al
risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, ex art. 18 della legge medesima, in
conseguenza della rilevata mancanza – in sede di accesso al fascicolo personale – di tutte le
schede di valutazione positive riguardanti gli anni antecedenti il 1995, di ogni indicazione sia in
ordine ai motivi che hanno portato all’esonero dall’uso dei videoterminali e al trasferimento, sia
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In assenza di risposta da parte della datrice di lavoro, la ricorrente si è rivolta al Garante
per la protezione dei dati personali – con ricorso del 24 settembre 1999 proposto ex art. 29
della legge n. 675 del 1996 – onde ottenere che venisse ordinato alla datrice di lavoro di
metterle a disposizione il proprio fascicolo personale con i documenti ivi custoditi.

sulle particolari condizioni di salute dell’interessata (senza che potesse valere in contrario un
preteso smarrimento dei documenti ex art. 15 della legge).

2.3.- Nel costituirsi in giudizio la società – dopo aver sostenuto l’improponibilità del
ricorso ex art. 29, comma 2, della legge n. 675 del 1996 in considerazione della identità del
suo oggetto rispetto a quello del ricorso proposto preventivamente al Garante – ha precisato,
fra l’altro, che, per la compilazione delle buste-paga si avvaleva della società TESS, che, ai
sensi della legge n. 675 del 1996, aveva nominato responsabile del trattamento dei dati
funzionali all’elaborazione delle buste-paga stesse ed ha aggiunto che la valutazione delle
prestazioni di alcuni lavoratori (tra i quali la ricorrente) del 1998 era stata effettuata a titolo
meramente sperimentale.
2.4.- In sintesi, la lavoratrice, dopo avere inutilmente chiesto ripetutamente all’azienda
di poter accedere al proprio fascicolo personale ai sensi dell’art. 13 della legge n. 675 del 1996,
in assenza di risposta da parte della datrice di lavoro, si è prima rivolta al Garante per la
protezione dei dati personali – che, dopo un primo invito alla società ad ottemperare
spontaneamente alla richiesta, ha emesso due provvedimenti in favore della richiedente (il 27
ottobre 1999 e il 16 febbraio 2000) – e non avendo ricevuto dalla TELECOM ITALIA alcuna
comunicazione (secondo quanto prescritto dal Garante) ha proposto ricorso in sede
giurisdizionale, denunciando in primo luogo il mancato adempimento della società ai
provvedimenti del Garante in data 27 ottobre 1999 e 16 febbraio 200 e, su questa premessa,
oltre che reiterare le domande riguardanti la messa a disposizione tutti i dati personali
ovunque conservati, anche presso società terze come inutilmente ordinato dal Garante, ha
rinnovato la richiesta (rimasta priva di risposta) di chiarimenti sui criteri di formazione dei
fascicoli personali dei dipendenti onde poter esercitare il diritto alla integrazione dei propri dati
personali ai sensi dell’art. 13, lettera c, della legge n.675 del 1996 e soprattutto ha chiesto la
condanna della società al risarcimento dei danni, ai sensi degli artt. 9, 18, 29, comma 9, e 37
della legge n. 675 del 1996.
2.5.- Va precisato che il diritto soggettivo fatto valere dalla lavoratrice di accedere al
proprio fascicolo personale – la cui titolarità deriva, nella specie, dalla qualità di dipendente
della società TELECOM ITALIA – è tutelabile in quanto tale perché si tratta di una posizione
giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal rapporto di lavoro (arg. ex Cass. SU 4 febbraio
2014, n. 2397).
L’obbligo del datore di lavoro di consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella
legge n. 675 del 1996, deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che incombe
sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., come, del resto è
confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei settore in oggetto prevede
che l’azienda datrice di lavoro debba conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti gli
atti e i documenti, prodotti dall’ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso
professionale, all’attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente
ha diritto di “prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo
personale”.

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Si faceva anche rilevare che la correttezza e completezza della documentazione inserita
nel fascicolo personale (quale prevista dal citato art. 9 della legge n. 675 cit.) è funzionale alla
correttezza della valutazione della prestazione lavorativa nel suo complesso (sia in occasione di
provvedimenti individuali, sia per le selezioni di tipo comparativo), come dimostrato dalla
assegnazione della ricorrente a turni di lavoro incompatibili con le proprie condizioni di salute.

2.7.- Tutto questo ovviamente non esclude – ma anzi rafforza – il diritto del lavoratore di
rivolgersi – come ha fatto l’attuale ricorrente – al Gerente per la protezione dei dati personali
tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli, alcuno dei provvedimenti – di natura
provvisoria o definitiva – previsti, per quanto qui interessa, dall’art. 13 della legge n. 675 del
1996,a1 fine di ottenere, ad esempio, l’integrazione dei dati personali detenuti dal datore di
lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che comunque a suo avviso
rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa le modalità di utilizzo di
dette integrazioni (vedi decisione del Garante Privacy del 30 settembre 2002, L. Marcon C.
Telecom Italia SpA in www.garanteprivacy.it , direttamente esaminabile in questa sede, vedi,
per tutte: Cass. 28 agosto 2014, n. 18418) oppure che l’azienda, su richiesta del dipendente,
gli metta a disposizione, ai sensi dell’art. 13 della legge n. 675 del 1996, e gli fornisca le
proprie le loro informazioni personali custodite negli archivi aziendali o nei fascicoli personali
dei dipendenti, ivi inclusi … i giudizi e le note di qualifica, le assicurazioni contratte in corso di
rapporto e quant’altro costituisca dato personale ai – sensi di legge, incorrendo in caso di
inosservanza delle prescrizioni statuite con la decisione del Garante nella sanzione penale da 3
mesi a 2 anni di reclusione, ai sensi dell’art. 37 legge n. 675 del 1996 (vedi: Garante per la
p) rotezione dei dati personali, decisione del 12 giugno 2000, Marcon c. Telecom Italia SpA. in
www.garanteprivacv. it).
Quando il lavoratore si avvale del suddetto strumento di tutela si può porre la questione
dell’alternatività di tale tipo di strumento rispetto al ricorso in sede giurisdizionale, visto che
per l’art. 29 della legge n. 675 cit.: 1) i diritti di cui all’articolo 13, comma 1, possono essere
fatti valere dinanzi all’autorità giudiziaria o con ricorso al Garante. Il ricorso al Garante non può
essere proposto qualora, per il medesimo oggetto e tra le stesse parti, sia stata già adita
l’autorità giudiziaria; 2) la presentazione del ricorso al Garante rende improponibile un’ulteriore
domanda dinanzi all’autorità giudiziaria tra le stesse parti e per il medesimo oggetto.
7

2.6.- Con riferimento alla presente fattispecie viene anche in considerazione l’obbligo del
datore di lavoro di custodire “presso l’azienda ovvero l’unità produttiva, la cartella sanitaria e
di rischio del lavoratore sottoposto ia sorveglianza sanitaria, con salvaguarda del segreto
professionale” consegnandone copia al lavoratore stesso …. quando lo stesso ne faccia
richiesta”, sancito dall’art. 4, comma 8, del d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626, di attuazione
(tardiva) delle direttive comunitarie di base, riguardanti il miglioramento della sicurezza e della
salute dei lavoratori durante il lavoro, che trova applicazione nella specie visto che la ricorrente
– prima di contrarre la grave patologia oculare che l’ha colpita, quindi, fino al 1995 qua -ndo
l’azienda ne ha disposto il trasferimento per motivi di salute, essendo, quindi, edotta della
situazione di salute della dipendente – ha svolto mansioni comportanti l’uso di videoterminali,
come tali sottoposte a sorveglianza sanitaria in considerazione della lonfparticolare gravosità e
dell’esposizione dei lavoratori a seri rischi per la salute, tanto da essere oggetto di specifica
disciplina nel titolo VI del d.lgs. n. 626 cit. (artt. 50-59). Né il riferimento a tale normativa
specifica comporta la valutazione di una diversa causa petendi, implicando semplicemente una
più esatta qualificazione giuridica della fattispecie, attraverso il riferimento ad un onere
particolare previsto a tutela di tutti i lavoratori sottoposti a vigilanza sanitaria (come i
videoterminalisti), che non è altro che una specificazione della tutela già presente
nell’ordinamento per i suddetti lavoratori in base al d.P.R. 30 giugnb 1995, n. 1224 (vedi:
Cass. 27 aprile 2004, n. 8073; Cass. 10 settembre 2009, n. 19495) nonché, in linea generale,
per effetto della combinazione dell’art. 2087 cod. civ. con l’art. 32 Cost. (sulla tutela del diritto
alla salute e con l’art. 41 Cost. (secondo cui l’iniziativa economica privata non può svolgersi in
contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità
umana), secondo cui la tutela delle condizioni di lavoro è da sempre stata concepita come uno
degli obblighi essenziali del datore di lavoro.

La predetta identità di oggetto, in altri termini, deve essere intesa in senso specifico e
conforme ai principi generali del diritto processuale perché possa essere compatibile con la
tutela del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., dovendosi considerare che il procedimento che
si svolge dinanzi al Garante ai sensi dell’art. 29, commi 3-5, della legge n. 675 del 1996
(applicabile ratione temooris) per la tutela, in relazione al trattamento dei dati personali, di
uno dei diritti indicati negli artt. 9 e art. 13 della citato legge, per quanto strutturalmente
caratterizzato dal contraddittorio dei soggetti coinvolti – il “titolare”, il “respOnsabile” e
l’interessato” – e funzionalmente proteso alla tutela dei diritti della persona, si connota come
amministrativo e non pone il Garante in una posizione di terzietà assimilabile a quella del
giudice nel processo (Cass. 25 giugno 2004, n. 11864; Cass. 20 maggio 2002, n. 7341).
Ne consegue che tutte le volte che, in sede giurisdizionale, si fa valere l’inottemperanza
da parte del gestore dei dati personali rispetto ai provvedimenti assunti dal Garante e/o viene
proposta una domanda di risarcimento del danno patrimoniale o non patrimoniale – che ha
causa petendi e petitum specifici e del tutto diversi rispetto alle ragioni fatte valere con il
ricorso al Garante di cui si è detto – non può certamente ipotizzarsi l’applicazione del suddetto
principio di alternatività delle tutele.
2.9.- Del resto, in linea generale, la lettura della normativa pertinente porta ad escludere
che al Garante sia attribuita la cognizione di domande risarcitorie – che si devono ritenere
coperte da riserva esclusiva di giurisdizione ordinaria (vedi: Cass. 17 settembre 2014, n.
19534) – le quali, infatti, sono destinate ad una declaratoria d’inammissibilità se proposte
davanti al Garante, come risulta dalle numerose pronunce in tal senso emesse dal Garante
stesso, nelle quali l’Autorità ha affermato la propria incompetenza al riguardo (vedi, per tutte:
la nota del Segretario generale 29 ottobre 1999, doc. web n. 40193, ove è stata esclusa tale
competenza in relazione a violazioni della legge n. 675 cit., precisandosi che le richieste
risarcitorie devono essere fatte valere di fronte all’autorità giudiziaria ordinaria, cui si sono
uniformate tutte le successive decisioni in materia; vedi: Garante privacy 19 febbraio 2002
doc. web. n. 1063674; 30 dicembre 2003 doc. web n. 1084799; 29 dicembre 2003 doc. web n.
1085642; 5 ottobre 2006 doc. web. n. 135919).
Pertanto, come affermato da Cass. n. 19534 del 2014 cit. – alle cui statuizioni il Collegio
intende dare continuità – se la tutela risarcitoria viene chiesta dopo un provvedimento di
accoglimento del ricorso, totale o parziale, da parte del Garante, tale circostanza può facilitare
il ricorso alla suddetta tutela davanti all’autorità giudiziaria ordinaria, ma certo non escluderla.
Diversamente ragionando, dovrebbe ritenersi alternativamente che scelta la strada della
tutela inibitoria (e preventiva), sia negata quella risarcitoria, oppure che, nonostante il
riconoscimento del trattamento illecito dei dati personali, l’interessato sia tenuto ad
un’impugnazione del provvedimento del Garante al solo fine di richiedere il risarcimento del
danno e non incorrere nella sanzione di tardività dell’azione. Mentre quest’ultima soluzione è in
netto contrasto con il canone costituzionale della ragionevolezza e la prima introduce un
impedimento all’ottenimento della tutela piena di un diritto fondamentale quale quello in gioco,
8

2.8.- Come espressamente stabilito dalle suindicate disposizioni l’alternatività riguarda
però esclusivamente le domande aventi un “identico oggetto”, che devono essere intese come
quelle che se, in ipotesi, pendenti contestualmente davanti a più giudici, possono, in via
generale, essere assoggettate al regime processuale della litispendenza o della continenza. Si
tratta, quindi, delle domande giudiziali che richiedono interventi di natura preventiva, inibitoria
o conformativa, potendo il Garante indicare modalità concrete di cessazione del trattamento
illecito dei dati (vedi: Cass. 17 settembre 2014, n. 19534).

2.10.- Va inoltre considerato che, pur essendo il diritto all’accesso al proprio fascicolo
personale custodito dal datore di lavoro tutelabile di per sé, nella specie l’occasione che ha
determinato la lavoratrice ad esercitare tale tutela è stata quella della ricezione di note di
qualifica contenenti giudizi a suo avviso sostanzialmente negativi – a partire dal 1995 e in
particolare nel 1998 – che, essendo riferiti alle nuove mansioni svolte dopo aver chiesto il
trasferimento per gravi motivi di salute, ha indotto la ricorrente a chiedere di verificare se il
superiore gerarchico era stato adeguatamente informato e comunque avesse tenuto conto
della severa patologia oculare che l’aveva colpita impedendole l’utilizzo del videoterminale e
così condizionandone complessivamente la prestazione lavorativa.
Ne deriva che, in questa situazione, gli obblighi generali che incombono su ogni gestore
di dati personali – di: a) gestire e trattare tali dati secondo i canoni della liceità, correttezza,
pertinenza e non eccedenza, rispetto alle finalità del loro utilizzo, ai sensi dell’art. 9 della legge
n. 675 cit. (nonché della pertinente disciplina successiva: ex multis: Cass. 11 agosto 2013, n.
18443); b) di adottare misure idonee a garantire l’effettivo, integrale e tempestivo esercizio
del diritto degli interessati di accedere ai propri dati anche al fine di ottenere “senza ritardo”
l’aggiornamento, la rettificazione ovvero, qualora i richiedenti vi abbiano interesse,
l’integrazione dei dati stessi (art. 13 legga legge n. 675 cit. e normativa successiva) – si
cumulano con l’obbligo del datore di lavoro di formulare le valutazioni su rendimento e capacità
professionale dei lavoratori, espresse con le note di qualifica, nel rispetto dei parametri
oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di correttezza e buona
fede di cui agli artt. 1175 e 1375, cod. civ., oltre che della inerente necessaria trasparenza.
Il corrispondente diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti può essere fatto valere
anche in sede giudiziaria – pure a prescindere da un immediato effetto negativo subito,
venendo in considerazione la tutela della dignità del lavoratore – onde ottenere il controllo d•
parte del giudice della conformità del procedimento seguito per la formulazione delle suindicat_
valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul datore di lavoro l’onere di motivare le note di
qualifica medesime, per permettere lo svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è
limitato alla mera verifica della coerenza estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione,
ma ha ad oggetto la verifica della correttezza del procedimento di formazione del medesimo.
Sicché esso richiede di prendere in esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della
valutazione, non potendo invece tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa
(Cass. 20 giugno 2003, n. 9898; (Cass. 9 gennaio 2001, n. 206; Cass. 8 agosto 2000, n.
10450), comportando la violazione del suddetto obbligo datoriale la conseguenza, che, la
valutazione stessa debba ritenersi non avvenuta (Cass. 22 agosto 2001, n. 11207).

del tutto incompatibile con l’art. 24 Cost., tanto più ove il ricorrente faccia valere nei confronti
del datore di lavoro diritti soggettivi derivanti dal rapporto di lavoro, come accade nella specie

2.11.- Peraltro, nella specie, la principale ragione di diversità tra le due forme di tutela
utilizzate è rappresentata dal fatto che tutte le domande proposte in sede giurisdizionale, come
si è detto, muovevano dalla preliminare denuncia dell’inottemperanza da parte della TELECOM
ITALIA ai provvedimenti del Garante in data 27 ottobre 1999 e 16 febbraio 2000. Tale
inottemperanza:
1) con riguardo al primo provvedimento veniva desunta dal comportamento
sostanzialmente elusivo della suddetta delibera tenuto dalla società quando ha consentito allazíct..eekte
di accedere alla propria cartella personale presso la propria sede aziendale, pur avendo già
nominato responsabile del trattamento dei dati personali dei dipendenti e funzionali
all’elaborazione delle buste-paga, ai sensi della legge n. 675 del 1996, la società TESS, che si
occupava di tale elaborazione – dato che la datrice di lavoro ha comunicato alla lavoratrice solo
9

2) con riferimento alla delibera del Garante del 16 febbraio 2000, l’inottemperanza
veniva desunta non solo dal mancato rispetto, da parte della società, dell’ordine impartitole di
dare puntuale esecuzione alla precedente ordinanza del 27 ottobre 1999 ma anche dall’omesso
invio di comunicazioni, anche negative, in merito all’eventuale mancato possesso dei dati di cui
l’interessata aveva rilevato l’assenza nel proprio fascicolo quando ne aveva avuto accesso nella
sede dell’azienda.
Ebbene, se in base agli artt. 9 e 18 della legge n. 675 del 1996 “chiunque cagiona danno
ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi
dell’articolo 2050 del codice civile”, in base al successivo art. 37 l’inosservanza dei
provvedimenti del Garante è considerata reato punito con la reclusione da tre mesi a due anni.
(sanzione penale rimasta nell’art. 170 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, nel testo vigente,
mentre il successivo art. 171 rinvia all’art. 38 della legge n. 300 del 1970 per le sanzioni alle
violazioni delle disposizioni di cui ai precedenti artt. 113, comma 1, e 114, che richiamilftd
rispettivamente gli artt. 8 e 4 della suindicata legge n. 300 del 1970).
Alla suddetta disciplina consegue che per effetto della violazione dell’art. 9 e/o dell’art.
13 della legge cit. il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali, è assoggettato alla
disciplina di cui all’art. 2050 cod. civ. – richiamato dall’art. 18 cit. – con la conseguenza che il
danneggiato è tenuto solo a provare LI danno e il nesso di causalità con l’attività di trattamento
dei dati, mentre spetta al convenuto la prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare
il danno (Cass. 5 settembre 2014, n. 18812; Cass, 26 giugno 2012, n. 10616).
2.12.- Da quanto fin qui esposto si desume l’erroneità della statuizione preliminare della
sentenza impugnata – che ne costituisce il presupposto ermeneutico fondante – di
improponibilità della prima e principale domanda proposta in sede giurisdizionale dalla
ricorrente – sulla premessa dell’inottemperanza della datrice di lavoro ai provvedimenti del
Garante – onde ottenere, in sede giurisdizionale, quanto non era riuscita ad ottenere né con
richiesta diretta alla TELECOM ITALIA né per effetto dei provvedimenti (favorevoli) del Garante
ed ottenere anche la consequenziale – e facilitata – tutela risarcitoria, statuizione basata
sull’arunto – sbagliato, per quanto si è detto – dell’identità dell’oggetto di tale domanda con
la pr4a fatta valere con il ricorso proposto al Garante per la protezione dei dati personali.
Questo porta all’accoglimento del quinto motivo di ricorso.
Tanto basta, di per sé, a caducare la sentenza impugnata, siccome emessa su un
presupposto erroneo, che, per la sua assoluta pregiudizialità ha influenzato l’intero iter
processuale – 1@nche con riguardo alla ripartizione dell’onere probatorio – sicché ne deriva
l’assorbimento7futti gli altri motivi, sostanziali e processuali, del ricorso (vedi: Cass. 11 ottobre
2005, n. 19757; Cass. 20 marzo 2014, n. 6531).

III

Conclusioni

3.- In sintesi, il quinto motivo di ricorso deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte
e con assorbimento di tutti gli altri motivi.
10

costituendosi in giudizio e che, si può aggiungere, lascia supporre l’utilizzo di una modalità di
conservazione dei dati personali dei lavoratori ín contrasto con l’obbligo assunto in sede
contrattuale della tenuta dei fascicoli personali completi presso la struttura organizzativa
competente per la gestione delle risorse umane – e pur avendo il Garante invitato la TELECOM
ITALIA a “rendere più agevole l’accesso della richiedente a tutti i propri dati personali, riferiti
all’intero periodo lavorativo, contenuti anche in giudizi o valutazioni comunque espressi”;

1) in materia di trattamento dei dati personali, il principio della alternatività del ricorso
all’autorità giudiziaria rispetto al ricorso al Gerente, previsto nell’ipotesi in cui entrambe le
suddette iniziative abbiano il “medesimo oggetto per essere compatibile con l’art. 24 Cost.
deve essere inteso in senso specifico e conforme ai principi generali del diritto processuale e
quindi nel senso che può applicarsi solo quando la domanda proposta in sede giurisdizionale e
quella proposta in sede amministrativa (con ricorso al Gerente) siano tali che in ipotesi di
contestuale pendenza davanti a più giudici, potrebbero, in via generale, essere assoggettate al
regime processuale della litispendenza o della continenza. Ne consegue che tutte le volte che,
in sede giurisdizionale, si fa valere l’inottemperanza da parte del gestore dei dati personali
rispetto ai provvedimenti assunti dal Gerente e/o viene proposta una domanda di risarcimento
del danno patrimoniale o non patrimoniale – che è riservata all’esame del giudice ordinario e
che comunque ha causa petendi e petitum specifici e del tutto diversi rispetto alle ragioni fatte
valere con il ricorso al Garante – non può certamente ipotizzarsi l’applicazione del suddetto
principio di alternatività delle tutele (vedi: Cass. 17 settembre 2014, n. 19534);
2)11 diritto soggettivo del lavoratore di accedere al proprio fascicolo personale è tutelabile
in quanto tale perché si tratta di una posizione giuridica soggettiva che trae la sua fonte dal
rapporto di lavoro (arg. ex Cass. SU 4 febbraio 2014, n. 2397). L’obbligo del datore di lavoro di
consentirne il pieno esercizio, prima ancora che nella legge n. 675 del 1996 (nella specie
applicabile ratione temporis), deriva dal rispetto dei canoni di buona fede e correttezza che
incombe sulle parti del rapporto di lavoro ai sensi degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., come, del
resto è confermato dal fatto che, da tempo, la contrattazione collettiva dei diversi settori
prevede* che i datori di lavoro debbano conservare, in un apposito fascicolo personale, tutti
gli atti e i documenti, prodotti dall’ente o dallo stesso dipendente, che attengono al percorso
professionale, all’attività svolta ed ai fatti più significativi che lo riguardano e che il dipendente
ha diritto di prendere visione liberamente degli atti e documenti inseriti nel proprio fascicolo
personale. Ciò non esclude – ma anzi rafforza – il diritto del lavoratore di rivolgersi al Gerente
per la protezione dei dati personali tutte le volte in cui intenda ottenere, in tempi ragionevoli,
alcuno dei provvedimenti – di natura provvisoria o definitiva – previsti dall’art. 13 della legge
n. 675 del 1996 cit. al fine di ottenere, ad esempio, l’integrazione dei dati personali detenuti
dal datore di lavoro con documenti ulteriori, che attestino valutazioni di merito o che
comunque a suo avviso rilevino in ogni caso, restando salva la discrezionalità del datore circa
le modalità di utilizzo di dette integrazioni.
3) il diritto riconosciuto ai lavoratori dipendenti di ottenere che le valutazioni datoriali su
rendimento e capacità professionale, espresse con le note di qualifica, siano formulate nel
rispetto dei parametri oggettivi previsti dal contratto collettivo e degli obblighi contrattuali di
correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375, cod. civ., oltre che della inerente
necessaria trasparenza può essere fatto valere in sede giudiziaria – pure a prescindere da un
immediato effetto negativo subito, venendo in considerazione la tutela della dignità del
lavoratore – onde ottenere il controllo da parte del giudice della conformità del procedimento
seguito per la formulazione delle suindicate valutazioni ai suddetti parametri, gravando sul
datore di lavoro l’onere di motivare le note di qualifica medesime, per permettere lo
svolgimento di tale controllo giudiziale, il quale non è limitato alla mera verifica della coerenza
estrinseca del giudizio riassuntivo della valutazione, ma ha ad oggetto la verifica della
correttezza del procedimento di formazione del medesimo. Sicché esso richiede di prendere in
11

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cessata, con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di cessazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si
atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e,
quindi, anche ai seguenti:

esame i dati sia positivi che negativi rilevanti al fine della valutazione, non potendo invece
tenersi conto di quelli estranei alla prestazione lavorativa (Cass. 20 giugno 2003, n. 9898;
(Cass. 9 gennaio 2001, n. 206; Cass. 8 agosto 2000, n. 10450), comportando la violazione del
suddetto obbligo datoriale la conseguenza, che, la valutazione stessa debba ritenersi non
avvenuta (Cass. 22 agosto 2001, n. 11207).
P.Q.M.

Così • -ciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 21 gennaio 2016.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri. Cassa la sentenza
impugnata,in relazione alle censure accolte, e rinvia, anche per le spese del presente giudizio
di cassazione alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

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