Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 6774 del 01/03/2022

Cassazione civile sez. I, 01/03/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 01/03/2022), n.6774

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6601/2016 proposto da:

Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in persona del

commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Virginio Orsini n. 19, presso lo studio dell’avvocato

Gentile Domenico, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Arato Marco, Sterbini Nicola, Varni Elisabetta, Zoppini

Andrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Lazzaro Spallanzani n. 22/a, presso lo studio dell’avvocato Nuzzo

Antonio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Giovanardi Carlo Alberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso successivo proposto da:

Banca Nazionale del Lavoro S.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Lazzaro Spallanzani n. 22/a, presso lo studio dell’avvocato Nuzzo

Antonio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Giovanardi Carlo Alberto, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in persona del

commissario straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Virginio Orsini n. 19, presso lo studio dell’avvocato

Gentile Domenico, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati Arato Marco, Sterbini Nicola, Varni Elisabetta, Zoppini

Andrea, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

nonché contro

SC LOWY PI (Italy) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ombrone n. 14,

presso lo studio dell’avvocato Cipolla Luciana, che la rappresenta e

difende, giusta procura speciale per Notaio J.A.J. di

(OMISSIS);

– controricorrente per intervento –

avverso il decreto n. 1514/2016 del TRIBUNALE di LIVORNO, depositato

il 09/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2021 dal Consigliere Dott. Paola Vella;

lette le conclusioni scritte, ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art.

23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del

2020, del P.M. in persona del Sostituto procuratore generale Dott.

Nardecchia Giovanni Battista, che chiede il rigetto del ricorso di

Banca Nazionale del Lavoro s.p.a. e del ricorso dell’amministrazione

straordinaria Lucchini s.p.a.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. In data 21/12/2011 la Lucchini S.p.a. (di seguito Lucchini) concluse con i propri soci (Varndell Ltd e Uperoft Ltd), le banche creditrici – tra le quali la Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. (di seguito BNL) – ed alcuni fornitori, un accordo di ristrutturazione dei debiti L.Fall., ex art. 182-bis (di seguito ADR) – poi omologato dal Tribunale di Milano in data 29/02/2012 – cui era collegato un contratto di finanziamento denominato Facility Agreement (successivamente confluito, insieme ad un Amendement and Restatement Agreement del 29/12/2012, nel “Contratto di Finanziamento Consolidato”) che contemplava il consolidamento e riscadenziamento del debito di Lucchini per pregressi finanziamenti delle banche, l’impegno di queste ultime a rilasciare in suo favore lettere di credito e garanzie, ed il rimborso di una cospicua parte del debito così riscadenziato, tramite il ricavato dalla vendita di alcune partecipazioni di Lucchini; in particolare, l’ADR prevedeva al punto 4.5, tra l’altro, l’impegno delle banche finanziatrici a valutare in buona fede ma discrezionalmente la possibilità di intervenire a favore di Lucchini “per facilitare il buon andamento della Società al fine di mantenere una dotazione patrimoniale idonea allo svolgimento dell’attività d’impresa”.

1.1. Sin dai primi mesi del 2012 l’andamento di Lucchini si rivelò peggiore del previsto (v. relazione al bilancio al 31 dicembre 2011 che registrava “un deciso scostamento rispetto agli obbiettivi del piano industriale sotteso alla ristrutturazione del debito”, con conseguenti “incertezze sul presupposto della continuità aziendale”, tanto che la KPMG S.p.a. certificò il bilancio, come era avvenuto per il bilancio dell’esercizio precedente), rendendo necessaria una ricapitalizzazione.

1.2. Di conseguenza, in data 07/08/2012 le banche conclusero con Lucchini, in attuazione del predetto punto 4.5. dell’ADR, un “Accordo SFP” che prevedeva al punto 4 la conversione dei crediti da finanziamento consolidato in strumenti finanziari partecipativi (di seguito SFP) ex art. 2346 c.c., comma 6; venne così emessa in pari data una prima tranche di SFP, sottoscritta “automaticamente” dalle banche con efficacia immediata, mediante compensazione con il credito da finanziamento consolidato; si previde inoltre che la Lucchini, qualora avesse subito perdite eccedenti di 28 milioni di Euro le perdite esistenti al 30 giugno 2012 (condizione sospensiva), avrebbe emesso ulteriori tranches di SFP – sino all’ammontare complessivo di Euro 38.828.242,00 (di cui Euro 3.732.187,39 imputabili alla quota di BNL) – che avrebbero seguito la stessa sorte della prima tranche.

1.3. La suddetta condizione si verificò il 31/08/2012 e il 31/10/2012, sicché Lucchini emise la 2 tranche in data 27/09/2012 (comunicata a BNL il 25/10/2012) e poi la 3 tranche in data 20/11/2012 (comunicata a BNL il 13/12/2012), con conseguente riduzione del credito da finanziamento consolidato di BNL per la somma di Euro 10.054.583,00. Tuttavia BNL, che nel frattempo aveva rilasciato una serie di garanzie in favore di Lucchini, non ritirò i relativi certificati né contabilizzò la conversione, ritenendo che la seconda e terza tranche fossero state emesse al di fuori delle previsioni dell’Accordo SFP, poiché, alla data di emissione degli strumenti, Lucchini versava ormai in stato di dissesto ed erano venuti meno i presupposti di facilitazione del buon andamento della società e di mantenimento di una dotazione patrimoniale idonea allo svolgimento dell’attività di impresa, che erano asseritamente alla base della conversione (tanto che il 12 dicembre 2012, giorno anteriore all’emissione della terza tranche, gli amministratori di Lucchini avevano convocato l’assemblea degli azionisti per deliberare la richiesta di “ammissione a procedure concorsuali”).

1.4. Con decreto del 21/12/2012 il Ministero dello sviluppo economico ammise Lucchini alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del D.L. 23 dicembre 2003, n. 347, art. 2, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 18 febbraio 2004, n. 39. Quindi, con sentenza del 9 gennaio 2013 il Tribunale di Livorno ne dichiarò lo stato di insolvenza ai sensi della L. n. 39 del 2004, art. 4.

1.5. BNL ha chiesto l’ammissione al passivo della procedura per i seguenti crediti: (i) Euro 60.409.054,57 in via chirografaria, a titolo rimborso dei finanziamenti oggetto di consolidamento; (ii) Euro 932.959,00 in via chirografaria e condizionale, per gli eventuali crediti di regresso derivanti dall’escussione delle garanzie fideiussorie rilasciate prima della stipula dell’ADR e non ancora escusse (“fideiussioni esistenti”); (iii) Euro 40.190,58 in prededuzione e in via condizionale, per gli eventuali crediti di regresso derivanti dall’escussione delle garanzie emesse da Banca Intesa San Paolo S.p.A. in nome e per conto di BNL e non ancora escusse (“garanzie B1”), oltre commissioni; (iv) Euro 1.257.037,73 in prededuzione e in via condizionale, per gli eventuali crediti di regresso derivanti dall’escussione delle garanzie emesse da Banca Intesa San Paolo S.p.A., controgarantite in parte qua da BNL e non ancora escusse (“garanzie B2”), nonché “fees”.

1.6. Il giudice delegato ha ammesso parzialmente i crediti di BNL, in particolare: i) ha ridotto l’importo del credito chirografario da finanziamento consolidato da Euro 60.409.054,57 a Euro 56.817.185,97 (oltre interessi per Euro 859.681,21) “in quanto la banca non ha decurtato le ultime due tranche di SFP emesse”; ii) ha ridotto a Euro 908.243,44 l’importo richiesto in via chirografaria condizionale con riserva per le “fideiussioni esistenti”, “in quanto la garanzia pari a Euro 24.715,56 risulta essere priva di efficacia”; iii) ha ammesso (non già in prededuzione L.Fall., ex artt. 111 e 182-quater, “in quanto non sussistono i presupposti di legge”, ma) in via chirografaria condizionale con riserva, L.Fall., ex art. 96, comma 2, n. 1, e per un minore importo, i crediti relativi alle “garanzie B1 e B2” per essere le stesse scadute e quindi prive di efficacia, nonché, per la “garanzia Eni”, per intervenuta escussione; iv) ha ammesso al chirografo l’importo di Euro 16.744,44 “in quanto non sussistono i presupposti di legge per il privilegio richiesto”.

1.7. Il Tribunale di Livorno ha accolto parzialmente l’opposizione allo stato passivo della Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria (di seguito Lucchini AS) proposta da BNL, ed ha altresì accolto l’impugnazione incidentale tardiva proposta dalla procedura.

1.8. In particolare, il tribunale ha ritenuto corretta la decurtazione del credito chirografario da finanziamento consolidato della somma di Euro 3.732.187,39 per tener conto anche delle ulteriori due tranches di SFP emessi da Lucchini a favore della BNL, osservando che (v. p.to 2 del decreto impugnato): a) l’Accordo SFP non prevedeva condizioni ulteriori rispetto alla condizione sospensiva che Lucchini subisse perdite eccedenti di 28 milioni di Euro quelle esistenti al 30 giugno 2012, condizione che si era pacificamente verificata; b) la conversione dei crediti in SFP era stata prevista “con efficacia immediatamente vincolante a far data dal 7.8.2012 (data nella quale parte opponente non contesta che sussistessero le condizioni per dare attuazione al piano di ristrutturazione) ed era subordinata al solo verificarsi di perdite ulteriori per Euro 28.000.000”, in forza della condizione sospensiva contenuta nell’Accordo SFP; c) “solo ove alla data del 7.8.2012 fossero mancate le possibilità di dare attuazione al piano di ristrutturazione omologato dal Tribunale, essendo la emissione di SFP funzionale alla attuazione dello stesso (…) ciò avrebbe comportato la nullità del negozio in quanto privo di causa concreta”, come eccepito dalla procedura; d) “invece, poiché a quella data parte opponente non contesta che il piano fosse attuabile e poiché a quella data di ha la conversione dell’intero credito consolidato (…) sono irrilevanti le successive sopravvenienze che rendono inattuabile il piano, che pertanto non possono costituire né una condizione non sviluppata, né comportare la risoluzione per impossibilità sopravvenuta dello stesso”.

1.9. Quanto ai crediti di regresso per le garanzie prestate in favore di Lucchini, il tribunale ha riformato la decisione del giudice delegato riconoscendo la prededuzione L.Fall., ex art. 182 quater per le garanzie sopra indicate come Eni, B1 e B2 non scadute, osservando, tra l’altro (v. p.to 6 del decreto impugnato): i) che “anche i cc.dd. crediti di firma (tra cui la fideiussione bancaria prestata nell’interesse dell’impresa ed a favore di terzi)” rientrano tra i “finanziamenti effettuati in qualsiasi forma” tutelati dalla L.Fall., art. 182-quater; ii) che già nel proprio “precedente decreto del 1.7.2015 richiamato da parte opponente” era stata esclusa la “concreta possibilità da parte del tribunale di compiere l’accertamento circa l’attuabilità del piano al momento della prestazione della garanzia”, in epoca successiva alla sua omologazione; iii) che in ogni caso, valutando la documentazione prodotta, non vi è prova “della impossibilità di dare attuazione all’accordo di ristrutturazione omologato, al momento nel quale sono state prestate le fideiussioni”.

2. Avverso detta decisione Lucchini AS ha proposto ricorso per cassazione notificato a BNL in data 04/03/2016, affidato a sei motivi, cui BNL ha resistito con controricorso (notificato il 13/04/2016), espressamente riferito ai soli crediti di Euro 592.391,54 ammessi in prededuzione L.Fall., ex artt. 111 e 182-quater con riserva in via condizionale L.Fall., ex art. 96, comma 2, n. 1 (di cui al par. 5.4.c) del controricorso), e non anche a quelli ammessi in prededuzione senza riserva (di cui ai par. 5.4.b) e 5.4.d) del controricorso) in quanto ceduti a terzi, ai sensi della L. n. 130 del 1999, in data 24/03/2016.

2.1. Lo stesso decreto è stato impugnato da BNL con ricorso per cassazione affidato a due motivi – notificato il 05/03/2016 e quindi riunito al primo ricorso ai sensi dell’art. 335 c.p.c. – cui Lucchini AS ha resistito con controricorso.

2.2. Successivamente la SC Lowy PI (Italy) s.r.l. (di seguito SC), dichiarandosi “interessata a far valere nel presente giudizio i diritti derivanti” dai crediti oggetto di cessione onerosa e pro soluto in data 24/03/2016, “in quanto non azionati dal cedente BNL” (sostanzialmente i crediti da regresso relativi alla garanzia Eni e le commissioni e fees relativi alle garanzie B1 e B2), ha notificato a Lucchini AS, in data 16/03/2018, un “controricorso per intervento ex art. 111 c.p.c., comma 3”.

2.3. In vista della pubblica udienza del 2 dicembre 2021, Lucchini AS ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

2.4. La Procura generale ha depositato conclusioni scritte nel senso dell’inammissibilità dell’intervento di SC e dell’infondatezza dei ricorsi di Lucchini AS e BNL.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Preliminarmente il Collegio ritiene che sia ammissibile il “controricorso per intervento ex art. 111 c.p.c., comma 3” depositato da SC per far valere i crediti ad essa ceduti da BNL dopo la proposizione dei due ricorsi per cui è causa, tenuto conto che la cedente ha espressamente dichiarato a pag. 12 del controricorso che quest’ultimo “deve intendersi esclusivamente riferito” al credito chirografario escluso e ai crediti ammessi in prededuzione con riserva in via condizionale, “essendo rimessa al cessionario l’eventuale difesa delle linee acquisite”.

3.1. Invero, sul ruolo processuale che il successore a titolo particolare può assumere nel giudizio di legittimità si registra un percorso evolutivo della giurisprudenza di questa Corte.

3.2. In un primo momento si è sostenuto che, pur essendo esclusa nel giudizio di cassazione l’ammissibilità dell’intervento volontario del terzo che non abbia partecipato alle pregressi fasi di merito (Cass. Sez. U, 9753/1994, 1245/2004), tuttavia “nessuna preclusione sussiste invece in caso di intervento adesivo del successore a titolo particolare nel diritto controverso” (Cass. 10598/2005).

3.3. Tale orientamento è stato poi superato, consolidandosi nel tempo il diverso principio per cui “il successore a titolo particolare nel diritto controverso può ben impugnare per cassazione la sentenza di merito, entro i termini di decadenza” – in forza di una legittimazione autonoma a titolo derivativo – “ma non può intervenire nel giudizio di legittimità, mancando una espressa previsione normativa riguardante la disciplina di quell’autonoma fase processuale, che consenta al terzo la partecipazione al giudizio con facoltà di esplicare difese, assumendo una veste atipica rispetto alle parti necessarie, che hanno partecipato al giudizio di merito” (Cass. 10215/2007, 11375/2010, 7986/2011, 12179/2014, 3336/2015, 5759/2016, 5987/2021), fermo restando che “il giudizio si svolge comunque tra le parti originarie” (Cass. 11322/2005) e che “la sentenza spiegherà comunque i suoi effetti nei confronti del successore a titolo particolare” (Cass. 6610/1988).

3.4. In seno a questo nuovo orientamento si è però venuta nel tempo a consolidare un’eccezione alla regola della inammissibilità dell’intervento del terzo in cassazione, qualora essa dia luogo ad una sostanziale preclusione dell’esercizio del diritto di difesa (Cass. 18967/2013, 25423/2019), nel senso che tale facoltà deve essere riconosciuta al successore a titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., “nell’ipotesi di mancata costituzione del dante causa, ai fini dell’esercizio del potere d’azione derivante dall’acquistata titolarità del diritto controverso, determinandosi, in difetto, un’ingiustificata lesione del suo diritto di difesa” (Cass. 11638/2016, 23439/2017, 33444/2018, 25423/2019; cfr. Cass. 5987/2021 in motivazione).

3.5. Il Collegio ritiene che a quest’ultima fattispecie sia assimilabile – pena analoga lesione del diritto di difesa – l’ipotesi in cui, come nel caso di specie, vi sia una successione a titolo particolare parziale e il dante causa si costituisca dichiarando espressamente di svolgere difese esclusivamente con riguardo ai crediti rimasti nella sua titolarità, non anche per quelli ceduti al terzo, rimettendo all’iniziativa di quest’ultimo le relative difese; in tal caso, infatti, l’intervento del terzo è finalizzato non già a sostenere o aderire alla posizione sostanziale e processuale della parte già presente nel processo, ma ad esercitare una legittimazione propria (v. Cass. 25423/2019 in motivazione, discutendosi in tema di ammissibilità del controricorso della società cessionaria dei crediti di una banca).

4. Passando all’esame del ricorso di Lucchini AS, esso va rigettato per ragioni di inammissibilità o infondatezza dei motivi.

4.1. In particolare, il primo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione della L.Fall., art. 182-quater, comma 1, sull’assunto che le linee di “finanziamento per firma” non rientrerebbero nella nozione di “finanziamenti in qualsiasi forma effettuati”, trattandosi di “crediti di regresso relativi a fideiussioni bancarie prestate nell’interesse dell’imprenditore a favore di terzi (aventi, com’e’ noto, causa di garanzia e non di finanziamento)”.

4.2. Il secondo attribuisce lo stesso vizio all’affermazione del tribunale per cui gli scostamenti rispetto agli obbiettivi del piano industriale dell’ADR verificatisi nei mesi successivi al primo trimestre 2012 non erano tali da compromettere l’attuazione del piano, mentre “uno scostamento oggettivo (specie se sensibile) rispetto alle previsioni del piano dovrebbe determinate di per sé solo il venir meno degli effetti protettivi dell’omologa”, ed eventuali finanziamenti erogati in simili condizioni non potrebbero più essere considerati “in esecuzione” dell’ADR omologato, in assenza di una nuova attestazione ed una nuova omologazione.

4.3. Il terzo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., per avere il tribunale escluso che gli scostamenti avessero compromesso l’attuabilità del piano (con conseguente necessità per le banche di sottoporre al tribunale una revisione dell’ADR) pur non avendolo BNL mai contestato ed avendo anzi ammesso l’esistenza e la propria conoscenza dell’inattuabilità dell’ADR e del piano su cui esso si fondava (come sarebbe emerso dagli atti difensivi di BNL nel giudizio di opposizione allo stato passivo).

4.4. Il quarto denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e L.Fall., art. 99, comma 7, per avere il tribunale escluso che, ai fini della prova dell’asserita inattuabilità del piano, fosse utilizzabile la relazione tecnica della Dott.ssa C. del (OMISSIS), trattandosi di documento “versato in atti tardivamente e non essendo detta relazione già stata prodotta da parte opponente”, posto che la decadenza L.Fall., ex art. 99, comma 7 non opererebbe nell’ipotesi di accettazione, anche implicita, del contraddittorio e conseguente “rinuncia a far valere la tardività della produzione”.

4.5. Il quinto deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., per avere il tribunale omesso di valutare prove decisive, quali i documenti prodotti sugli scostamenti dal piano.

4.6. Il sesto torna a denunciare la violazione o falsa applicazione della L.Fall., art. 182-quater, comma 1, poiché non avrebbero potuto essere considerati finanziamenti “in esecuzione” del piano quelli effettuati a fronte di scostamenti che avrebbero dovuto indurre le banche creditrici a richiedere a Lucchini una modifica del piano e una nuova asseverazione, da sottoporre a consenso e nuova omologa.

5. Il primo, il secondo ed il sesto motivo sono infondati, alla luce dei precedenti specifici di questa Corte, cui si intende dare continuità, in base ai quali la prededucibilità attribuita dalla L.Fall., art. 182 quater, comma 1, ai crediti derivanti da finanziamenti “in qualsiasi forma effettuati” in esecuzione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti omologato L.Fall., ex art. 182 bis è coessenziale al fatto che si tratti di crediti annoverabili nella suddetta categoria, sicché, una volta accertata la presenza di tali crediti ed omologato l’accordo, la prededucibilità consegue senza che il tribunale debba svolgere una nuova verifica di funzionalità dell’accordo medesimo, insita nell’omologazione, e quale che sia la tipologia di finanziamento adottata, anche diversa dal mutuo, stante l’ampiezza della previsione e la sua “ratio” compensativa del rischio del finanziatore realizzata con la prededucibilità del relativo credito (Cass. 2627/2018, in fattispecie in cui il finanziamento consisteva in una fideiussione; conf. Cass. 16347/2018, sempre in tema di fideiussioni, sia pure a condizione che “esse siano state già escusse, atteso che prima dell’escussione del garante non sussiste alcun credito verso il debitore principale”, aspetto, questo, che non rientra nel perimetro di indagine del presente giudizio).

5.1. Sul punto il tribunale, dopo aver richiamato a pag. 6 del decreto un proprio precedente che esclude la possibilità di sindacare l’attuabilità del piano una volta omologato il relativo accordo di ristrutturazione dei debiti, ha aggiunto che tale questione nemmeno si pone in concreto nel caso in esame, in quanto dalle risultanze istruttorie non emerge che, nel momento in cui furono prestate le fideiussioni de quibus, vi fosse una “impossibilità di dare attuazione all’accordo di ristrutturazione omologato”.

5.2. Ne’ a diversa conclusione induce l’art. 101 del codice della crisi e dell’insolvenza di prossima applicazione (D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 4 e succ. modifiche e integrazioni) – invocato a pag. 22 della memoria di Lucchini AS ai fini della possibilità di rinvenire nel CCII un utile criterio interpretativo degli istituti concorsuali vigenti con i quali sussista una “continuità” di regime (Cass. Sez. U, 12476/2020, 8504/2021, 12154/2021) – poiché la norma esclude la prededuzione in casi ben definiti (e cioè quando il piano, secondo una valutazione ex ante al momento del suo deposito, risulta basato su dati falsi o sull’omissione di informazioni rilevanti, o quando il debitore ha compiuto atti in frode ai creditori e il curatore dimostra che i soggetti che hanno erogato i finanziamenti, alla data dell’erogazione, conoscevano tali circostanze) tra i quali non rientra quello in disamina, relativo alla non attuabilità del piano per fatti sopravvenuti alla sua omologazione.

6. I motivi terzo e quinto, al di là della mancata impugnazione della prima ratio decidendi sopra riportata al punto 5.1. (rispetto alla quale Lucchini AS obietta la contraddittorietà con l’affermazione, a pag. 4 del decreto impugnato, che l’impossibilità di dare attuazione al piano di ristrutturazione omologato, al momento della prima emissione degli SFP, avrebbe potuto comportare “la nullità del negozio in quanto privo di causa concreta”), presentano comunque ulteriori profili di inammissibilità.

6.1. Secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, “per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c..” (Cass. Sez. U, 20867/2020, 16598/2016).

6.2. Il presupposto della violazione dell’art. 116 c.p.c. è invece che il giudice, nel valutare una risultanza probatoria, non abbia operato (in assenza di diversa indicazione normativa) secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento; diversamente, ove si deduca che il giudice abbia solo male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui è ancora consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione, e dunque solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati dalle stesse Sezioni unite (Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014, n. 34474 del 2019, n. 20867 del 2020).

6.3. Nel caso di specie, la “non contestazione” allegata con il terzo motivo, a supporto della dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c., difetta di univocità, poiché le affermazioni contenute negli atti difensivi di BNL nel giudizio di opposizione allo stato passivo, riportate a pag. 41 e 42 del ricorso di Lucchini AS, risultano collocate temporalmente all’epoca di emissione della seconda e terza tranche di SFP, dunque non già alla data del 7 agosto 2012 (presa in considerazione a pag. 4 del decreto impugnato), ma a quelle successive del 27/09/2012 (comunicata a BNL il 25/10/2012) e del 20/11/2012 (comunicata a BNL il 13/12/2012), a fronte di garanzie che, come si legge a pag. 6 dello stesso decreto, sarebbero state “emesse tra il 9.3.2012 e il 3.10.2021”, con la conseguenza che le evocate deduzioni difensive non risultano decisive ai fini della configurazione del “fatto non contestato” in tesi preclusivo dell’accertamento in fatto compiuto dal tribunale – alla luce della documentazione specificamente analizzata a pag. 6 e 7 del decreto impugnato – circa l’insussistenza dell’impossibilità di dare attuazione all’ADR omologato “al momento nel quale sono state prestate le fideiussioni”, e ciò anche “a prescindere dall’aspetto sopra evidenziato” (ossia alla negata ammissibilità di un sindacato giudiziale sulla sopravvenuta inattuabilità dell’accordo ai fini del diniego di prededuzione L.Fall., ex art. 182-quater, comma 1).

6.4. Alla luce di quanto precede è evidente l’inammissibilità del quinto motivo, dovendosi rammentare che, in tema di attività valutativa del giudice rispetto alle fonti probatorie, occorre distinguere l’errore di percezione – che, cadendo sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è sindacabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. (che appunto vietano al giudice, rispettivamente, di fondare la decisione su prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, nonché di disattendere prove legali secondo il suo prudente apprezzamento) – dall’errore di valutazione, che invece, investendo l’apprezzamento dell’efficacia dimostrativa della fonte di prova rispetto al fatto che si intende provare, non è mai sindacabile in sede di legittimità (Cass. 1229/2019, 27033/2018, 9356/2017).

6.5. Orbene, quella che nel caso di specie appare, in effetti, come contestazione del cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove (non legali) da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile né nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. 23153/2018, 11892/2016); e ciò sia perché la contestazione della persuasività del ragionamento del giudice di merito nella valutazione delle risultanze istruttorie attiene alla sufficienza della motivazione, non più censurabile secondo il nuovo parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia perché con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione (contrapponendovi le proprie) la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, trattandosi di accertamento di fatto, precluso in sede di legittimità (ex plurimis Cass. 11863/2018, 29404/2017, 16056/2016).

6.6. E’ evidente, infatti, che ammettere in sede di legittimità la verifica della sufficienza o della razionalità della motivazione in ordine alle quaestiones facti significherebbe consentire un inammissibile raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella decisione impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito (Cass. Sez. U, 28220/2018).

7. Con riguardo al quarto motivo, premesso in generale che le decadenze stabilite dalla L.Fall., art. 99, comma 2, n. 4) e comma 7, ineriscono a materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. 15037/2016, 19610/2017; conf., in materia di rito del lavoro, Cass. 24900/2005, Sez. U, 7708/1993) e che la violazione delle norme che prevedono preclusioni assertive ed istruttorie nel processo civile, in quanto preordinate a tutelare interessi generali, “e’ sempre rilevabile d’ufficio, anche in presenza di acquiescenza della parte legittimata a dolersene” (Cass. 7270/2008, 16800/2018), si rileva che la pretesa accettazione del contraddittorio – quale limite alla rilevabilità d’ufficio della tardività della produzione istruttoria (Cass. 10454/2019, 9491/2007) – viene allegata sulla scorta dei riferimenti al doc. n. 12, tardivamente prodotto, contenuti nelle note riepilogative depositate da BNL nel giudizio di opposizione allo stato passivo (v. pag. 45 ricorso Lucchini AS), circostanza che, oltre ad essere specificamente contestata (v. pag. 20 controricorso BNL), risente della medesima non conducenza cronologica segnalata sopra, al punto 6.3. e riveste dubbia decisività, alla luce della puntuale disamina del restante compendio documentale operata dal collegio livornese.

8. Passando all’esame del ricorso di BNL, con il primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 1363 e 1362 c.c. “per non avere il tribunale interpretato le clausole le une per mezzo delle altre e, in presenza di vicenda negoziale oggetto di più atti scritti, per non avere interpretato tutte le convenzioni, anche inseriti in atti scritti diversi, le une per mezzo delle altre (e, nello specifico, per non avere il Tribunale interpretato l’art. 4 dell’Accordo SFP anche alla luce dell’art. 4.5 dell’Accordo di ristrutturazione, e non avere pertanto verificato se la Condizione Sospensiva di cui all’art. 4 dell’Accordo SFP non potesse dirsi avverata se in assenza dei presupposti necessari a “facilitare il buon andamento della società al fine di mantenere una dotazione patrimoniale idonea allo svolgimento dell’attività di impresa” previsti dall’art. 4.5 dell’accordo di ristrutturazione)”.

8.1. La censura è inammissibile, sia per difetto di autosufficienza in mancanza della trascrizione integrale delle clausole interessate (Cass. 2560/2007, 24461/2005, 12518/2001) – sia perché le statuizioni censurate non rivelano una violazione né dei canoni ermeneutici denunziati (interpretazione letterale e logico-sistematica) né del doveroso esame complessivo degli accordi (Cass. 20294/2019), avendo il ricorrente piuttosto fornito un’interpretazione delle varie pattuizioni inter partes diversa e contrapposta a quella data dal giudice di merito (Cass. 34672/2021, 995/2021, 28319/2017, 27136/2017, 17168/2012, 13242/2010); ma, come è noto, l’interpretazione del contratto (e, più in generale, degli atti di autonomia privata) è attività riservata al giudice di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità (ex plurimis, Cass. 34630/2021, 32502/2021, 17385/2017). In ogni caso, dal contesto pattizio della vicenda, ed in particolare dal tenore letterale della clausola n. 4 dell’Accordo SFP, emerge chiaramente (art. 1362 c.c., comma 1) che la conversione del credito da finanziamento consolidato delle banche nella seconda e terza tranche di SFP era sospensivamente condizionata al peggioramento della situazione patrimoniale di Lucchini per effetto di perdite eccedenti di oltre Euro 28.000.000,00 quelle registrate alla data del 30 giugno 2012.

9. Il secondo mezzo lamenta testualmente la “violazione o falsa applicazione degli artt. 1353,1463,1467,1256 c.c.: (I) per avere il tribunale ritenuto che, pur in pendenza di condizione sospensiva, gli effetti contrattuali si fossero verificati alla data del consenso e (II) per avere ritenuto, anche sulla base di tale erroneo presupposto, che la persistenza o meno della causa concreta dell’accordo andasse verificata solo alla data del consenso, e non anche alla data di avveramento della condizione sospensiva e di produzione degli effetti contrattuali (e, nello specifico, (I) per avere ritenuto il tribunale che la conversione di debiti in SFP si fosse realizzata già dal 7 agosto 2012 anche per la seconda e terza tranche, (II) per non avere invece ritenuto che l’efficacia di tale conversione fosse differita all’avveramento della condizione sospensiva, nonché, (III) per avere ritenuto, anche sulla base di tali erronei presupposti, che la persistenza o meno della causa concreta dell’accordo SFP andasse verificata solo al momento della conclusione dell’accordo SFP medesimo e non anche al momento di avveramento della condizione sospensiva)”. In sintesi, il tribunale avrebbe dovuto accertare la non attuabilità dell’ADR, e il venir meno della “causa di risanamento” sottesa all’Accordo SFP, al momento del verificarsi della condizione sospensiva, e quindi dichiarare la risoluzione dell’Accordo SFP – per impossibilità sopravvenuta ex art. 1463 c.c. o per eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 c.c. – ovvero il suo scioglimento ex art. 1256 c.c.

9.1. La censura è inammissibile. In primo luogo, la ratio decidendi del tribunale presuppone anche l’efficacia retroattiva della condizione, aspetto che non viene esplicitamente censurato: a pag. 12 del ricorso BNL ci si limita a rilevare che, ai sensi dell’art. 1353 c.c., “in pendenza della condizione il contratto non produce pacificamente effetti” e a pag. 15 si ribadisce il concetto, trascurandosi però che l’art. 1360 c.c. prevede la retroattività della condizione, salvo che per volontà delle parti o per la natura del rapporto gli effetti debbano essere riportati ad un momento diverso.

9.2. La questione connessa del venir meno della “causa concreta” dell’Accordo SFB si inscrive invece nell’interpretazione sistematica degli accordi, che prevedevano l’intervento delle banche proprio in caso di perdite superiori ad una certa soglia, per consentire l’attuazione dell’ADR. Ne’ risponde al vero che il tribunale abbia sostenuto che la causa concreta dell’accordo di ristrutturazione dei debiti fosse il risanamento (come sostiene BNL a pag. 14 del ricorso, senza peraltro considerare che gli accordi di ristrutturazione L.Fall., ex art. 182-bis possono anche avere natura liquidatoria, sicché la causa concreta appare semmai essere quella di impedire l’insolvenza), avendo piuttosto affermato che l’attuabilità dell’accordo va valutata ex ante, al momento della sua conclusione, e non ex post (tenendo conto cioè delle sopravvenienze che possono rendere inattuabile il piano).

9.3. Ulteriori profili di inammissibilità del motivo risiedono nella novità delle domande di risoluzione proposte in questa sede (come eccepito da Lucchini AS) e nell’impossibilità per il debitore soggetto a fallimento, così come ad amministrazione straordinaria, di proporre domanda di risoluzione del contratto (come argomentato nelle conclusioni della Procura generale), “neanche nell’ipotesi diretta ad accertare – con riferimento ad inadempimento anteriore l’avveramento di una condizione risolutoria, a meno che la domanda non sia stata introdotta prima della dichiarazione di fallimento, atteso che la relativa pronuncia produrrebbe effetti restitutori e risarcitori lesivi del principio di paritario soddisfacimento di tutti i creditori e di cristallizzazione delle loro posizioni giuridiche” (Cass. 19914/2017, 25868/2011, 9170/2005).

10. In conclusione, entrambi i ricorsi vanno respinti e ricorrono i presupposti per la compensazione delle spese tra i ricorrenti Lucchini AS e BNL, in ragione della reciproca soccombenza. Va invece disposta la condanna di Lucchini in AS alla rifusione delle spese in favore della controricorrente SC, liquidate come da dispositivo.

11. Sussistono i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019; Cass. Sez. U, 4315/2020).

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso di Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. Rigetta il ricorso di Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria. Dichiara compensate le spese tra Banca Nazionale del Lavoro S.p.a. e Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria.

Condanna Lucchini S.p.a. in Amministrazione Straordinaria alla rifusione delle spese processuali in favore di SC LOWY PI (Italy) S.r.l., che si liquidano nella misura di Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2022

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